domenica 27 febbraio 2022

Putin, il potere del padre-padrone

Lo sguardo di rimprovero del capo Vladmir Putin

Fino a che punto può arrivare la sudditanza padrone-dipendente? Vladmir Putin e il Capo dei Servizi Segreti russi, Sergey Naryshkin, ce lo hanno ricordato nel modo peggiore.

di Luca Ferrari

Un'idea subito sfumata nella teoria sostenuta dal proprio Capo. Una tesi abortita nel momento stesso in cui arriva alle orecchie del Padrone supremo. Inizia un balbettio, un deglutire tragicamente  impaurito. Nella politica come nel mondo del lavoro (ma anche nella vita), il rapporto capo-dipendente è uno scontro impari dove il secondo ha tutto da perdere, e il primo, da vero bullo, esercita un'autorità basata esclusivamente sulla paura e sulla quasi sempre impossibilità di giocare ad armi pari. L'ultima in ordine temporale, è andata in scena tra Vladimir Putin Sergey Naryshkin

Nei giorni scorsi, durante la riunione sul riconoscere l'indipendenza delle autoproclamate Repubbliche del Donetsk e Lugansk, nella già divisa e martoriata Ucraina, è andato in scena un teatrino degno del più tragico Fantozzi dinnanzi al mega-direttore di turno, tra il leader supremo della Russia, il presidente Vladimir Putin, e il Capo dei Servizi Segreti russi, Sergey Naryshkin. Non contento della sua risposta, il funzionario si è visto imbeccare le parole corrette, trasformandosi in uno scolaretto colto impreparato dal rigido insegnante, e costretto ad ammettere di essere un asino davanti a tutta la classe. Che cosa avrebbe potuto fare il buon Sergey allora? Nulla, niente di niente.

Lavoro nel campo della comunicazione come freelance, dunque faccio parte di quell'esercito della partita IVA a cui non importa nulla a nessuno, Governo e Sindacati in primis. Quando finisce una collaborazione, si chiude e stop. Giusto qualche giorno di preavviso e tanti saluti, talvolta senza nemmeno il tempo di un "grazie" per il lavoro svolto. Ciò che non smette di sorprendermi però, è l'arroganza di certi capetti che, a dispetto di pessime scelte adottate e palesi a chiunque, fanno pagare il prezzo del proprio fallimento a chi non fa parte della loro ristretta cerchia. E questa è l'Italia. Lo è sempre stata e continua ad esserlo a dispetto delle nuove generazioni.

Rispetto alla mia recente esperienza però, almeno Putin ci ha messo la faccia e lo sguardo (di ghiaccio) dinnanzi alla sua "vittima", ma il risultato non è differente. Naryshkin sarebbe stato un pazzo suicida se avesse osato ribellarsi sostenendo la sua idea del dare un'ultima chance al dialogo, mettendo a repentaglio di sicuro la propria carriera e forse anche la vita. Incalzato dall'uomo del comando supremo/estremo, si è inesorabilmente prostrato, probabilmente chiedendogli scusa in privato e aumentando così la propria sudditanza. Il mondo del lavoro così come quello della politica, non è una democrazia. Non esiste libertà di parola, se non pagandola sulla propria pelle e Vladimir Putin ce lo ha ricordato nel modo peggiore. 

Vladimie Putin, e la riunione

Sergey Naryshkin, capo dei Servizi Segreti russi

giovedì 24 febbraio 2022

Vilnius, l'orrore del KGB Museum

Vilnius, il memoriale fuori dal KGB Musuem © Luca Ferrari

Finita la II Guerra Mondiale, l'orrore in Lituania continuò sotto l'atroce dittatura sovietica, tramandato nel KGB Museum - Museo delle vittime del genocidio, a Vilnius.

di Luca Ferrari

"[...] qualcuno ha trovato
due piccole matite
rosse...sono scivolate fuori dal fischio
del bagaglio deportato...nel mezzo
di una rotaia diroccata
c’era anche una camicia bianca…un
indumento che avrebbe potuto indossare
anche la persona che amo"
                                          (Vilnius, 4 Agosto 2010)

... così si concludeva una poesia scritta subito dopo la mia visita al Museo del KGB, dedicato alle vittime del genocidio lituano perpetrato durante l’occupazione dell'URSS (1945 ca - 1991). "Ho gironzolato dentro e fuori la Repubblica degli Artisti di Uzupis, nella capitale lituana Vilnius, rimanendo ammutolito dinnanzi agli orrori tramandati nel museo del KGB, e ritrovando infine la strada per la libertà a bordo di un pedalò, nel lago di Trakai" specficavo più prosaicamente nella prefazione del mio libro edito, Latitudini V - Parole in viaggio (2011), dove è contenuta anche il suddetto testo. E lì dentro, ci sono stato per davvero. E non l'ho mai potuto dimenticare.

Ospitato nel palazzo dei servizi repressivi sovietici del NKVD e NKGB – MGB – KGB, il museo è un autentico viaggio nell'orrore tra celle della prigione, stanze della morte, oltre a documenti, materiale fotografico e mappe che mostrano il processo di sovietizzazione. Una visita che è tassativo fare una volta giunti in Lituania, e fondamentale per conoscere la storia della nazione baltica. Una visita che ancor prima di cominciare durante il mio reportage con il reporter - raccontare oltre confine, sapevo mi avrebbe segnato l'anima. 

Una ferita (enorme) ancora molto aperta quella della repressione sovietica, perché se è  vero che per noi occidentali l'ex Segretario del Partito Comunista dell'URSS, Michail Gorbačëv, è visto come l'uomo che avvicinò Est e Ovest, per i lituani, che si ritrovarono con le barricate contro i carro armati dell'Armata Rossa a più di un anno dalla caduta del muro di Berlino (1991), l'Unione Sovietica (e oggi Russia) è ancora un nome che evoca i peggiori incubi, anche di più dell'occupazione nazista. 

Vilnius, il KGB Musuem © Luca Ferrari
Vilnius, il KGB Musuem © Luca Ferrari
Vilnius, il KGB Musuem © Luca Ferrari
Vilnius, il KGB Musuem © Luca Ferrari

mercoledì 16 febbraio 2022

Alla ricerca della Venezia Orientale

Venezia, campo dei Mori © Luca Ferrari

Alla scoperta delle testimonianze storico-artistiche che raccontano i secolari rapporti tra Venezia e l’Oriente, giovedì 17 febbraio all'Ateneo Veneto.

di Luca Ferrari

L'Oriente in laguna è ovunque. Basta cercarlo. Basta guardare Venezia per davvero. Dal celebre bassorilievo con il cammello sulla facciata di Palazzo Mastelli (casa dei ‘Mori’, i tre fratelli greci Rioba, Sandi e Alfani) alla magnificenza di Palazzo Zenobio, dove si formavano giovani provenienti da tutte le comunità armene, dall'India a Costantinopoli, da Cipro all'Egitto, senza trascurare la Cina e l’importantissima componente ebraica presente in città.

Giovedì 17 febbraio, all'Ateneo Veneto, la più antica istituzione culturale veneziana in attività, si parla di "Venezia Orientale" (Aula Magna, ore 15). Un incontro che è l’occasione per conoscere più a fondo il patrimonio culturale a cielo aperto dell'antica Repubblica Marinara, città che da sempre ha avuto rapporti con il mondo orientale e che è un simbolo di integrazione, multiculturalità e tolleranza religiosa.

"Questa città è un’enciclopedia aperta per ogni area disciplinare, che sia scientifica, umanistica, economica o linguistica" ha evidenziato Caterina Carpinato,  prorettrice dell'Università Ca’ Foscari (istituzione con cui è realizzato l'evento insieme all'Associazione Guide Turistiche Venezia nell’ambito delle iniziative per Venezia 1600). "Apriamo con questa iniziativa una riflessione seria e partecipata su quello che possiamo offrire, come Università, a uno dei comparti lavorativi più importanti per il tessuto cittadino: l’industria del turismo, serio, competente e di qualità”.

Un Oriente rintracciabile anche sulla Madonna Mesopanditissa della Chiesa della Salute, originaria dell’isola di Creta, o ancora tra le colonne istoriate su cui poggia il Palazzo più importante della città, Palazzo Ducale, che raccontano storie della dimensione multiculturale veneziana.

“Sono tutte testimonianze dei rapporti internazionali dei quali la città ancora vive, ma che rischiano di restare muti se nessuno, adeguatamente preparato, li racconta – spiega Aldo Ferrari - Da qui il senso della presenza a questo incontro delle guide turistiche veneziane, che sono le prime persone che raccontano Venezia ai viaggiatori. I nostri studi, le ricerche accademiche, possono incoraggiare una proposta di itinerari turistici alternativi, per far scoprire una caratteristica di Venezia determinante ma poco conosciuta, spesso anche ai veneziani stessi. Si pensi che non esiste ancora una pubblicazione che riunisce tutti gli elementi orientali presenti in città. Questi incontri sono un’iniziativa di ampio respiro che va anche in questa direzione”.

Venezia, facciata di Palazzo Mastelli

venerdì 11 febbraio 2022

Slovenia, sciando sull'altopiano di Pokljuka

Sciando sulle piste in Slovenia © Luca Ferrari
Sciare in Slovenia non è solo Kranjska Gora. Ci sono tante piste immerse nella natura, come nel placido altopiano di Pokljuka, poco distante dal lago di Bled.

di Luca Ferrari

Piste immacolate, quanto mi siete mancate! Sentire il vento carezzarti il viso mentre sfrecci (con giudizio) su qualche candida autostrada. Sciare non mi basta. Sciare in mezzo alle folle? Non fa per me. Sciare non significa solo Cortina, Madonna di Campiglio o... l'incantevole Kranjska GoraLa natura mi chiama e questa volta rispondo presente, oltre confine. Poco lontano dall'incantevole lago di Bled, in Slovenia, a Podjelje, nel cuore dell'altopiano di Pokljuka, su e giù con lo skilift e lo slittino. A tu per tu con un ambiente dolcemente familiare e davvero rigenerante per l'anima.

Viaggiare al tempo del covid, è un'avventura. Il web però fornisce tutte le risposte se si attivano i canali giusti, diventa tutto più facile. Così, complice quattro chiacchiere con il gentile (e veloce) personale dell'Ente Sloveno per il Turismo Italia, e poi direttamente con l'altrettanto efficiente Ente del Turismo sloveno di Bled, riesco ad avere tutte le informazioni possibili, inclusa la certezza che gli impianti di Podjelje nell'altopiano di Pokljuka, sono aperti. Dulcis in fundo, al ritorno del mio viaggio dovrò compilare e inviare il PLF - Passenger Local Form.

A dispetto della vicinanza con la mia natia Venezia, conosco poco la Slovenia. Come per molte regioni italiane, "paga l'effetto del ci posso sempre andare", venendo dunque messa in attesa rispetto a mete più lontane che so bene, a 70 anni e più, avrò maggiori difficoltà a raggiungere. Questa volta però, è la regione slava la mia unica meta. Dopo la prima notte trascorsa poco fuori Bled, imposto Google Maps, curioso assai di vedere questa pista. Dalla mia abitazione sono più di 20 km in tutto per una mezz'ora complessiva di viaggio, guidando sulla statale 905 e passando dai 500 metri lacustri agli oltre 1000 metri montani.

Superato anche l'ultimo avamposto umano, ecco finalmente la neve, in copiosa e generosa quantità. Dagli alberi è caduta, ma il manto è davvero imponente. Pur senza gomme termiche, si guida benissimo. Il battistrada è perfetto. Finalmente arrivo, e parcheggio nell'unico spazio a pagamento (5 euro) davanti all'Hotel Jelka Pokljuka, ignorando che poco dopo ci sia ampia disponibilità free. Intanto è l'ora delle informazioni. Alla reception dell'albergo trovo personale molto gentile con cui parlo in italiano e inglese, che mi fornisce tutte le informazioni per il noleggio sci (scarponi, racchette) e... slittino!

Dall'albergo si domina la vallata. Fatti pochi passi, ecco subito la discesa per grandi e piccini che armati di slittino, vanno su e giù per infinite sessioni di divertimento. In parallelo, gli skilift minuscoli di nuova generazione con cui gli inesperti iniziano a muovere i primi passi. E lì a ridosso, la pista vera e propria. Da una parte lo skilift per chi sa già sciare e per i piccolini che vanno a scuola, dall'altra un altro mini-skilift per chi predilige un approccio (e una discesa) meno pendente. Intorno a me, solo famiglie slovene. Immancabile un piccolo chiosco sulle piste completo di panchine & tavoli in legno, per gustarsi qualcosa di caldo e a pranzo, hot dog & patatine fritte.

Tra una salita e un'altra, volgo lo sguardo ovunque. Le persone sono rilassate. La paura della pandemia sembra un lontano ricordo. Ci sono le giuste distanze, e una doverosa voglia di rimettersi in gioco anche con l'allegria e la spensieratezza. Durante le discese in slittino, sono in molti a cadere, e sempre rialzandosi sporchi di neve e traboccanti di risate. Lì vicino ci sono anche dei cavalli. Mi basta un loro nitrito per immaginarmi cavalcare durante la stagione estiva. 

Scio, vado sullo slittino e scio ancora. Respiro l'aria montana. Dopo due giorni così, intervallati anche da una rustica e deliziosa cenetta al Dino Grill di Lesce (consigliatissimo, a due passi dal Dino Park che riaprirà a marzo), faccio la mia ultima discesa. Prima di rimettere in moto l'automezzo, mi concedo un'immancabile fetta di strudel con tanto di tisana ai frutti di bosco. Sento il cuore un po' dolente, e non sono il solo a pensarla così. Anche i miei due compagni di viaggio, sentono uguale. Non sapevamo di preciso cosa avremmo fatto/trovato durante questa incursione, ma una cosa adesso la sappiamo con assoluta certezza: il prossimo anno torneremo ancora a sciare tutti insieme sull'altopiano di Pokljuka, in Slovenia. 

In discesa sulla pista da Podjelje (Slovenia)

Pista da slittino a Podjelje (Slovenia) © Luca Ferrari
Pista da slittino a Podjelje (Slovenia) © Luca Ferrari
Pista da slittino a Podjelje (Slovenia) © Luca Ferrari
Slittino a Podjelje (Slovenia) © Luca Ferrari
Panoramica della pista da slittino a Podjelje (Slovenia) © Luca Ferrari
Cavallo a Podjelje (Slovenia) © Luca Ferrari
Pista da sci a Podjelje (Slovenia) - skilift © Luca Ferrari
Pista da sci a Podjelje (Slovenia) - sullo skilift © Luca Ferrari
Pista da sci a Podjelje (Slovenia) - skilift © Luca Ferrari
Pista da sci a Podjelje (Slovenia) - in discesa © Luca Ferrari
Pista da sci a Podjelje (Slovenia) - in discesa © Luca Ferrari
Strudel e tisana calda ai frutti di bosco © Luca Ferrari
Ci vediamo il prossimo anno... è una promessa! © Luca Ferrari

giovedì 27 gennaio 2022

Brescello, sulle sponde del fiume Po

Brescello (Re), il fiume Po © Federico Roiter

Pioppeti e aironi accompagnano il mio viaggio lungo le acque placide del torrente Enza. Pochi rilassanti minuti a piedi da Brescello fino alla sua foce, direttamente nel fiume Po.

di Luca Ferrari

Un fiume. La sua storia. Le alterne vicende. In un momento sono sulle rive del Don, durante la gara di pesca “Guareschiana” tra la delegazione italiana insieme opposta alla rappresentanza sovietica. Basta un niente, e via. Un pesce che salta fuori dall’acqua mi fa cambiare abiti, epoca e continente. Ed eccomi sul Mississippi, con una canna da pesca insieme a Huckleberry Finn, in nuova avventura “Twainiana”.

Esco da Brescello. Dopo una ricca (e desiderata) indigestione cittadina, il verde dei moltissimi alberi è la mia nuova stella polare. Lasciatomi alle spalle Piazza Matteotti e superato l’incrocio con via Dante Alighieri (mai nome fu più azzeccato), mi affido a un improvvisato istinto Virgiliano dirigendomi in un invitante antro aperto, fino alla foce dell'Enza e e del fiume Po.

Nell’area golenale del “primo cittadino fluviale” d’Italia (dicasi Po, a fronte dei suoi 652 km di lunghezza), c’è una pista ciclabile che porta a Boretto, e un’altra verso la foce dell’Enza. Quest'ultimo è un fiume appenninico che delimita le province di Parma e Reggio Emilia, la cui fonte si trova sull’Alpe di Succiso (2017 m.)

Le precise indicazioni comunali avvisano che l’area può essere soggetta ad allagamento. Quindi, prima di mettersi in marcia, occhio al meteo. E in effetti non sono troppo scrupoloso. Il sole va e viene. Sarebbe meglio dire la pioggia va e viene, ma a un reporter non è concesso avere paura. Anzi, lo è. Il solo obbligo è affrontare comunque le sfide (ma questo dovrebbe valere per tutti).

Seguo l’Enza nei suoi ultimi tratti fino a giungere dinnanzi a lui. Mai visto così da vicino. Sempre da lontano. Adesso è lì. Davanti a me. L’ingresso dell’affluente nel Po crea una grande ansa, mentre tutt’intorno boschi ripariali e pioppeti. In questo ecosistema, anatidi (anatre, oche, cigni) e aironi trovano i loro nidi, e la loro vita.

Strano non ci siano leggende di qualche Lochnessiana creatura nascosta anche qui. Il panorama e l'ecosistema si presterebbero. Le vecchie note di Limahl mi danno il colpo di grazia, e tutto d'un tratto sono che volo sul Fantadrago de La storia infinita sopra la campagna emiliana, relegando ogni respiro a qualche furtivo arcobaleno sempre troppo breve per le mie aspirazioni. 

Le comitive arrivate stamane per fortuna sono ancora nel paese. Ci sono solo io e il Grande Fiume. Posso farmi coccolare dalle sue lente onde. Disegnare mentalmente creature che popolano il territorio subacqueo. Qualcuna di loro in effetti se ne esce, invitandomi a raggiungerla per un bagnetto pre-stagionale.

Il tempo non si ferma come da me richiesto. Le mie scarpe, quasi magiche, si alzano e mi riconducono sulla strada. Vedo in lontananza il campanile della chiesa Santa Maria Nascente….C’era una volta un paesino chiamato Brescello, una fetta di terra tra il fiume e l’Appennino…C’è ancora. Io ci sono dentro. Vi saluto da questa favola fatta di donne e uomini. Alzo il mio secchio di latte appena munto, e brindo a tutti voi.

lunedì 17 gennaio 2022

Rotta su Venezia

Storie di cultura marina, tradizioni e sapori. Rotta su Venezia, in un incredibile viaggio "Kapuścińskiano" tra Chioggia e Trieste in bici e in barca, attraverso lagune, fiumi e canali 

di Luca Ferrari

Viaggio in barca e in bici solcando le lagune, i Fiumi e i canali della Litoranea Veneta, antico sistema di vie d’acqua che collega il Po al Golfo di Trieste, tra terra e mare. Città antiche, Chioggia, Venezia e Trieste, porti, borghi, isole, spiagge e aree naturali si alternano lungo l’arco costiero che si spiega tra Veneto e Friuli Venezia Giulia.

La navigazione e la pedalata, con il loro andamento slow, lasciano spazio a storie, incontri, riflessioni, scorci e tramonti indimenticabili. Paesaggi mai visti e luoghi noti emergono dalle acque come tante nuove scoperte e si fanno conoscere nella loro anima più autentica. Un viaggio tra storia, sapori e tradizioni di genti e terre strappate all’acqua. Esperienze uniche da rivivere grazie alle indicazioni per ripercorrere le tappe del percorso.

Lunedì 17 gennaio (Aula Magna, ore 17.30) all'Ateneo Veneto, la più antica istituzione culturale veneziana in attività, presentazione del volume "Rotta su Venezia” (Ediciclo Editore), dell'imprenditore veneto, Gianni Pasin. Saranno presenti:

  • Antonella Magaraggia, Presidente Ateneo Veneto
  • Renato Boraso, assessore alla Mobilità, Comune di Venezia 
  • Patrizio Roversi (Italia Slow Tour) e Michele Zanetti conversano con l’autore.

Coordina Nadia Pasqual.

Ingresso solo con Super Green Pass con mascherina FFP2.

mercoledì 1 dicembre 2021

Smart working per sempre

Ore 7.00, inizia una nuova giornata di smart working © Luca Ferrari

10 anni di smart working... e non sentirli! Nell'autunno 2011 iniziai a lavorare da remoto, e da allora non ho più smesso. Una scelta che non cambierei per nessuna ragione!

di Luca Ferrari

Contratti inesistenti e prestazioni sottopagate. Fino all'autunno 2011 gran parte delle mie collaborazioni lavorative viaggiavano tragicamente su questi due binari, poi un giorno ebbi una risposta diversa. Nella giungla anarchica degli annunci online, accade qualcosa di inaspettato. Ricevetti una risposta seria da un'azienda straniera che prevedeva una prova pratica, e che a prescindere dall'eventuale inizio della collaborazione, mi sarebbe stata retribuita. Nessun colloquio, qualche scambio di email e un test per dimostrare (o meno) di saper fare o meno ciò che mi veniva richiesto. Un paio di testi (valutati) dopo, la mia avventura nel lavoro a distanza, oggi smart working, iniziò ufficialmente. Dieci anni dopo sto ancora continuando e non farei a cambio con niente al mondo.

Dicembre 2011, scrivania della mia camera da letto. Concordato l'orario, inizio ogni giorno alle 7,30 del mattino collegandomi su Skype. Via chat ricevo le "ordinazioni testuali". Lavoro otto ore al giorno con una di pausa pranzo. Alle 16.30 finisco, e avanti così per cinque giorni la settimana. Ho tre colleghi con cui m'interfaccio. C'è sempre serietà ma anche leggerezza. Un giorno però, la mia capa mi sgrida e neanche poco. Il mio errore? Non averla avvisata che il 5 del mese non ho ancora ricevuto lo stipendio. "Mi devi avvisare subito se non ricevi entro i primi giorni del mese". In un'altra occasione le chiedo di fare un'ora extra. Lei rifiuta, motivando così: "Tu lavori bene, e non voglio che ti stanchi oltre il dovuto. Le ore che fai sono sufficienti". Riposarsi è fondamentale per dare il massimo, e loro lo hanno capito. La collaborazione infatti prosegue a gonfie vele.

Proseguo così per quasi due anni, facendo fattura ogni mese con partita IVA. Nel frattempo però ho iniziato a masticare l'emergente realtà del SEO e decido di proseguire, facendo corsi professionali con l'ottimo Studio Samo di Bologna. Sono temporaneamente senza lavoro ma rispetto a una volta, non mi perdo d'animo. Investo su me stesso. In contatto con i miei ex collaboratori da remoto, inizio a mandare CV ad aziende sparse ovunque nel globo senza aspettare. Sono io a propormi e proporre le mansioni, diventando sempre più intraprendente. Riesco a ottenere risposte da aziende incredibili: tra le altre, le Risorse Umane del Manchester United Football Club e l'Alaskan Airlines. Dall'Italia invece è lo zero assoluto. Nulla di nulla, nemmeno un "grazie, le faremo sapere". Continuo a puntare sull'estero, e dopo qualche mese ricomincio a lavorare online. Altro settore di scrittura, altra collaborazione.

Questa volta l'approccio è ancora più ideale, e personalmente la formula che prediligo. Mi vengono richiesti un numero (adeguato) di contenuti al giorno, senza necessità di restare collegato online. Posso metterci cinque ore o meno se fossi veloce, o tutte le otto giornaliere. A loro non interessa! Unendo la mia indubbia bravura nello scrivere in un italiano impeccabile e la velocità di scrittura imparata (a furia di sudate) durante gli anni di cronaca al Corriere Veneto, riesco a finire il miei compiti in netto anticipo. Sono libero di fare la spesa, sistemare la casa e pensare alla mia vita. Lavoro tanto e sono rilassato. La differenza è che in questo settore viene pagata la qualità del mio lavoro e non la quantità delle ore

In parallelo all'ottimizzazione dei contenuti, il mondo dei social media si fa sempre più dominante e inizio a muovermi anche in quel settore. Dopo ennesimi lavori di scrittura e traduzione, mi sposto sul fronte della promozione via social finalizzato al turismo, mettendo a frutto tutta la mia esperienza di reporter al momento di interagire con i clienti dall'estero. Scrivo in inglese, fornisco informazioni, il tutto corredato da immagini certosine da me realizzate, per raggiungere la meta. Si chiude una porta, se ne apre un'altra. Dall'hosting passo a un ulteriore settore ancora, di cui ho giù ampia conoscenza grazie al mio variegato percorso scolastico, e nel giro di un paio d'anno inizio due collaborazioni social, entrambe nella mia città d'origine, Venezia, continuando in parallelo a lavorare sul fronte del copywriting e scrittura testi in italiano per aziende straniere.

Qualcosa nella mia vita intanto è cambiato. Nella mia casa c'è una cameretta in più. Con mia moglie tornata al lavoro dopo la maternità, mi occupo io del bambino, riuscendo a gestire il tutto. Lavoro e seguo il piccolo. Un qualcosa che non avrei mai immaginato di saper fare. Un qualcosa, che anche durante la pandemia, ho amorevolmente portato avanti senza il minimo problema. Grazie allo smart working posso prendermi tutte le pause che voglio per stare dietro a mio figlio. Grazie alle mie indubbie competenze, riesco a eseguire tutti i miei compiti. La cronaca raccontata al Lido di Venezia mi ha insegnato/obbligato a sapermi concentrare e scrivere in qualsiasi situazione, cosa che mi è tornata utile tra pappe e teneri abbracci. 

Dicembre 2021. In un mondo ancora sfiancato dalla pandemia, le mie giornate iniziano sempre presto. Preparo la colazione per tutti, e già  che ci sono anche il pranzo per il sottoscritto, così da ottimizzare il tempo. Vesto il piccolo e mia moglie va con lui alla scuola materna. Alle 7,45 del mattino, quando molti ancora devono ancora uscire di casa, io inizio già a lavorare, saltando e postando tra Facebook, Twitter, Linkedin e Instagram. Rispondo/programmo nuove mail. Mi organizzo la giornata, e riprendo a scrivere testi e/o articoli. Abituato ai ritmi del piccolo, ormai sono abituato a pranzare a mezzogiorno. Per staccare un po', se ho bisogno, vado al supermercato subito dopo. E' l'una circa e sono fresco come una rosa. Vado avanti altre due ore a ritmi serratissimi, poi mi bevo il mio "brodo canadese": un'ampia tazza di caffè caldo (ma bella grande) con un po' di latte, accompagnato da un dolcino.

Rivedo le ultime cose, impostando già l'indomani in un'ultima mezz'ora di lavoro a distanza. Controllo news, social, etc. Sono quasi le 4. Preparo la merenda a mio figlio e lo vado a prendere alla Scuola Materna. Adesso tocca a lui. Adesso il mio impegno è stare insieme a lui. Posso farlo ogni giorno senza problemi perché il mio lavoro me lo consente. Lo so bene, nessuno mi versa contributi e ci saranno momenti che guadagnerò meno ma non si può avere tutto e niente a questo mondo è perfetto. Ok, forse l'ultima affermazione è sbagliata. Quando rientra mia moglie e siamo di nuovo tutti e tre insieme, sì, questo è il mio autentico e sincero stato di perfezione. Negli ultimi quattro anni ho vissuto inimmaginabili emozioni familiari, e questo anche grazie allo smart workingBuongiorno lavoro, e buona vita a tutti. 

Venezia, finestra dal mio ufficio/camera © Luca Ferrari