domenica 27 febbraio 2022

Putin, il potere del padre-padrone

Lo sguardo di rimprovero del capo Vladmir Putin

Fino a che punto può arrivare la sudditanza padrone-dipendente? Vladmir Putin e il Capo dei Servizi Segreti russi, Sergey Naryshkin, ce lo hanno ricordato nel modo peggiore.

di Luca Ferrari

Un'idea subito sfumata nella teoria sostenuta dal proprio Capo. Una tesi abortita nel momento stesso in cui arriva alle orecchie del Padrone supremo. Inizia un balbettio, un deglutire tragicamente  impaurito. Nella politica come nel mondo del lavoro (ma anche nella vita), il rapporto capo-dipendente è uno scontro impari dove il secondo ha tutto da perdere, e il primo, da vero bullo, esercita un'autorità basata esclusivamente sulla paura e sulla quasi sempre impossibilità di giocare ad armi pari. L'ultima in ordine temporale, è andata in scena tra Vladimir Putin Sergey Naryshkin

Nei giorni scorsi, durante la riunione sul riconoscere l'indipendenza delle autoproclamate Repubbliche del Donetsk e Lugansk, nella già divisa e martoriata Ucraina, è andato in scena un teatrino degno del più tragico Fantozzi dinnanzi al mega-direttore di turno, tra il leader supremo della Russia, il presidente Vladimir Putin, e il Capo dei Servizi Segreti russi, Sergey Naryshkin. Non contento della sua risposta, il funzionario si è visto imbeccare le parole corrette, trasformandosi in uno scolaretto colto impreparato dal rigido insegnante, e costretto ad ammettere di essere un asino davanti a tutta la classe. Che cosa avrebbe potuto fare il buon Sergey allora? Nulla, niente di niente.

Lavoro nel campo della comunicazione come freelance, dunque faccio parte di quell'esercito della partita IVA a cui non importa nulla a nessuno, Governo e Sindacati in primis. Quando finisce una collaborazione, si chiude e stop. Giusto qualche giorno di preavviso e tanti saluti, talvolta senza nemmeno il tempo di un "grazie" per il lavoro svolto. Ciò che non smette di sorprendermi però, è l'arroganza di certi capetti che, a dispetto di pessime scelte adottate e palesi a chiunque, fanno pagare il prezzo del proprio fallimento a chi non fa parte della loro ristretta cerchia. E questa è l'Italia. Lo è sempre stata e continua ad esserlo a dispetto delle nuove generazioni.

Rispetto alla mia recente esperienza però, almeno Putin ci ha messo la faccia e lo sguardo (di ghiaccio) dinnanzi alla sua "vittima", ma il risultato non è differente. Naryshkin sarebbe stato un pazzo suicida se avesse osato ribellarsi sostenendo la sua idea del dare un'ultima chance al dialogo, mettendo a repentaglio di sicuro la propria carriera e forse anche la vita. Incalzato dall'uomo del comando supremo/estremo, si è inesorabilmente prostrato, probabilmente chiedendogli scusa in privato e aumentando così la propria sudditanza. Il mondo del lavoro così come quello della politica, non è una democrazia. Non esiste libertà di parola, se non pagandola sulla propria pelle e Vladimir Putin ce lo ha ricordato nel modo peggiore. 

Vladimie Putin, e la riunione

Sergey Naryshkin, capo dei Servizi Segreti russi

giovedì 24 febbraio 2022

Vilnius, l'orrore del KGB Museum

Vilnius, il memoriale fuori dal KGB Musuem © Luca Ferrari

Finita la II Guerra Mondiale, l'orrore in Lituania continuò sotto l'atroce dittatura sovietica, tramandato nel KGB Museum - Museo delle vittime del genocidio, a Vilnius.

di Luca Ferrari

"[...] qualcuno ha trovato
due piccole matite
rosse...sono scivolate fuori dal fischio
del bagaglio deportato...nel mezzo
di una rotaia diroccata
c’era anche una camicia bianca…un
indumento che avrebbe potuto indossare
anche la persona che amo"
                                          (Vilnius, 4 Agosto 2010)

... così si concludeva una poesia scritta subito dopo la mia visita al Museo del KGB, dedicato alle vittime del genocidio lituano perpetrato durante l’occupazione dell'URSS (1945 ca - 1991). "Ho gironzolato dentro e fuori la Repubblica degli Artisti di Uzupis, nella capitale lituana Vilnius, rimanendo ammutolito dinnanzi agli orrori tramandati nel museo del KGB, e ritrovando infine la strada per la libertà a bordo di un pedalò, nel lago di Trakai" specficavo più prosaicamente nella prefazione del mio libro edito, Latitudini V - Parole in viaggio (2011), dove è contenuta anche il suddetto testo. E lì dentro, ci sono stato per davvero. E non l'ho mai potuto dimenticare.

Ospitato nel palazzo dei servizi repressivi sovietici del NKVD e NKGB – MGB – KGB, il museo è un autentico viaggio nell'orrore tra celle della prigione, stanze della morte, oltre a documenti, materiale fotografico e mappe che mostrano il processo di sovietizzazione. Una visita che è tassativo fare una volta giunti in Lituania, e fondamentale per conoscere la storia della nazione baltica. Una visita che ancor prima di cominciare durante il mio reportage con il reporter - raccontare oltre confine, sapevo mi avrebbe segnato l'anima. 

Una ferita (enorme) ancora molto aperta quella della repressione sovietica, perché se è  vero che per noi occidentali l'ex Segretario del Partito Comunista dell'URSS, Michail Gorbačëv, è visto come l'uomo che avvicinò Est e Ovest, per i lituani, che si ritrovarono con le barricate contro i carro armati dell'Armata Rossa a più di un anno dalla caduta del muro di Berlino (1991), l'Unione Sovietica (e oggi Russia) è ancora un nome che evoca i peggiori incubi, anche di più dell'occupazione nazista. 

Vilnius, il KGB Musuem © Luca Ferrari
Vilnius, il KGB Musuem © Luca Ferrari
Vilnius, il KGB Musuem © Luca Ferrari
Vilnius, il KGB Musuem © Luca Ferrari

mercoledì 16 febbraio 2022

Alla ricerca della Venezia Orientale

Venezia, campo dei Mori © Luca Ferrari

Alla scoperta delle testimonianze storico-artistiche che raccontano i secolari rapporti tra Venezia e l’Oriente, giovedì 17 febbraio all'Ateneo Veneto.

di Luca Ferrari

L'Oriente in laguna è ovunque. Basta cercarlo. Basta guardare Venezia per davvero. Dal celebre bassorilievo con il cammello sulla facciata di Palazzo Mastelli (casa dei ‘Mori’, i tre fratelli greci Rioba, Sandi e Alfani) alla magnificenza di Palazzo Zenobio, dove si formavano giovani provenienti da tutte le comunità armene, dall'India a Costantinopoli, da Cipro all'Egitto, senza trascurare la Cina e l’importantissima componente ebraica presente in città.

Giovedì 17 febbraio, all'Ateneo Veneto, la più antica istituzione culturale veneziana in attività, si parla di "Venezia Orientale" (Aula Magna, ore 15). Un incontro che è l’occasione per conoscere più a fondo il patrimonio culturale a cielo aperto dell'antica Repubblica Marinara, città che da sempre ha avuto rapporti con il mondo orientale e che è un simbolo di integrazione, multiculturalità e tolleranza religiosa.

"Questa città è un’enciclopedia aperta per ogni area disciplinare, che sia scientifica, umanistica, economica o linguistica" ha evidenziato Caterina Carpinato,  prorettrice dell'Università Ca’ Foscari (istituzione con cui è realizzato l'evento insieme all'Associazione Guide Turistiche Venezia nell’ambito delle iniziative per Venezia 1600). "Apriamo con questa iniziativa una riflessione seria e partecipata su quello che possiamo offrire, come Università, a uno dei comparti lavorativi più importanti per il tessuto cittadino: l’industria del turismo, serio, competente e di qualità”.

Un Oriente rintracciabile anche sulla Madonna Mesopanditissa della Chiesa della Salute, originaria dell’isola di Creta, o ancora tra le colonne istoriate su cui poggia il Palazzo più importante della città, Palazzo Ducale, che raccontano storie della dimensione multiculturale veneziana.

“Sono tutte testimonianze dei rapporti internazionali dei quali la città ancora vive, ma che rischiano di restare muti se nessuno, adeguatamente preparato, li racconta – spiega Aldo Ferrari - Da qui il senso della presenza a questo incontro delle guide turistiche veneziane, che sono le prime persone che raccontano Venezia ai viaggiatori. I nostri studi, le ricerche accademiche, possono incoraggiare una proposta di itinerari turistici alternativi, per far scoprire una caratteristica di Venezia determinante ma poco conosciuta, spesso anche ai veneziani stessi. Si pensi che non esiste ancora una pubblicazione che riunisce tutti gli elementi orientali presenti in città. Questi incontri sono un’iniziativa di ampio respiro che va anche in questa direzione”.

Venezia, facciata di Palazzo Mastelli

venerdì 11 febbraio 2022

Slovenia, sciando sull'altopiano di Pokljuka

Sciando sulle piste in Slovenia © Luca Ferrari
Sciare in Slovenia non è solo Kranjska Gora. Ci sono tante piste immerse nella natura, come nel placido altopiano di Pokljuka, poco distante dal lago di Bled.

di Luca Ferrari

Piste immacolate, quanto mi siete mancate! Sentire il vento carezzarti il viso mentre sfrecci (con giudizio) su qualche candida autostrada. Sciare non mi basta. Sciare in mezzo alle folle? Non fa per me. Sciare non significa solo Cortina, Madonna di Campiglio o... Kranjska Gora! La natura mi chiama e questa volta rispondo presente, oltre confine. Poco lontano dall'incantevole lago di Bled, in Slovenia, a Podjelje, nel cuore dell'altopiano di Pokljuka, su e giù con lo skilift e lo slittino. A tu per tu con un ambiente dolcemente familiare e davvero rigenerante per l'anima.

Viaggiare al tempo del covid, è un'avventura. Il web però fornisce tutte le risposte se si attivano i canali giusti, diventa tutto più facile. Così, complice quattro chiacchiere con il gentile (e veloce) personale dell'Ente Sloveno per il Turismo Italia, e poi direttamente con l'altrettanto efficiente Ente del Turismo sloveno di Bled, riesco ad avere tutte le informazioni possibili, inclusa la certezza che gli impianti di Podjelje nell'altopiano di Pokljuka, sono aperti. Dulcis in fundo, al ritorno del mio viaggio dovrò compilare e inviare il PLF - Passenger Local Form.

A dispetto della vicinanza con la mia natia Venezia, conosco poco la Slovenia. Come per molte regioni italiane, "paga l'effetto del ci posso sempre andare", venendo dunque messa in attesa rispetto a mete più lontane che so bene, a 70 anni e più, avrò maggiori difficoltà a raggiungere. Questa volta però, è la regione slava la mia unica meta. Dopo la prima notte trascorsa poco fuori Bled, imposto Google Maps, curioso assai di vedere questa pista. Dalla mia abitazione sono più di 20 km in tutto per una mezz'ora complessiva di viaggio, guidando sulla statale 905 e passando dai 500 metri lacustri agli oltre 1000 metri montani.

Superato anche l'ultimo avamposto umano, ecco finalmente la neve, in copiosa e generosa quantità. Dagli alberi è caduta, ma il manto è davvero imponente. Pur senza gomme termiche, si guida benissimo. Il battistrada è perfetto. Finalmente arrivo, e parcheggio nell'unico spazio a pagamento (5 euro) davanti all'Hotel Jelka Pokljuka, ignorando che poco dopo ci sia ampia disponibilità free. Intanto è l'ora delle informazioni. Alla reception dell'albergo trovo personale molto gentile con cui parlo in italiano e inglese, che mi fornisce tutte le informazioni per il noleggio sci (scarponi, racchette) e... slittino!

Dall'albergo si domina la vallata. Fatti pochi passi, ecco subito la discesa per grandi e piccini che armati di slittino, vanno su e giù per infinite sessioni di divertimento. In parallelo, gli skilift minuscoli di nuova generazione con cui gli inesperti iniziano a muovere i primi passi. E lì a ridosso, la pista vera e propria. Da una parte lo skilift per chi sa già sciare e per i piccolini che vanno a scuola, dall'altra un altro mini-skilift per chi predilige un approccio (e una discesa) meno pendente. Intorno a me, solo famiglie slovene. Immancabile un piccolo chiosco sulle piste completo di panchine & tavoli in legno, per gustarsi qualcosa di caldo e a pranzo, hot dog & patatine fritte.

Tra una salita e un'altra, volgo lo sguardo ovunque. Le persone sono rilassate. La paura della pandemia sembra un lontano ricordo. Ci sono le giuste distanze, e una doverosa voglia di rimettersi in gioco anche con l'allegria e la spensieratezza. Durante le discese in slittino, sono in molti a cadere, e sempre rialzandosi sporchi di neve e traboccanti di risate. Lì vicino ci sono anche dei cavalli. Mi basta un loro nitrito per immaginarmi cavalcare durante la stagione estiva. 

Scio, vado sullo slittino e scio ancora. Respiro l'aria montana. Dopo due giorni così, intervallati anche da una rustica e deliziosa cenetta al Dino Grill di Lesce (consigliatissimo, a due passi dal Dino Park che riaprirà a marzo), faccio la mia ultima discesa. Prima di rimettere in moto l'automezzo, mi concedo un'immancabile fetta di strudel con tanto di tisana ai frutti di bosco. Sento il cuore un po' dolente, e non sono il solo a pensarla così. Anche i miei due compagni di viaggio, sentono uguale. Non sapevamo di preciso cosa avremmo fatto/trovato durante questa incursione, ma una cosa adesso la sappiamo con assoluta certezza: il prossimo anno torneremo ancora a sciare tutti insieme sull'altopiano di Pokljuka, in Slovenia. 

In discesa sulla pista da Podjelje (Slovenia)

Pista da slittino a Podjelje (Slovenia) © Luca Ferrari
Pista da slittino a Podjelje (Slovenia) © Luca Ferrari
Pista da slittino a Podjelje (Slovenia) © Luca Ferrari
Slittino a Podjelje (Slovenia) © Luca Ferrari
Panoramica della pista da slittino a Podjelje (Slovenia) © Luca Ferrari
Cavallo a Podjelje (Slovenia) © Luca Ferrari
Pista da sci a Podjelje (Slovenia) - skilift © Luca Ferrari
Pista da sci a Podjelje (Slovenia) - sullo skilift © Luca Ferrari
Pista da sci a Podjelje (Slovenia) - skilift © Luca Ferrari
Pista da sci a Podjelje (Slovenia) - in discesa © Luca Ferrari
Pista da sci a Podjelje (Slovenia) - in discesa © Luca Ferrari
Strudel e tisana calda ai frutti di bosco © Luca Ferrari
Ci vediamo il prossimo anno... è una promessa! © Luca Ferrari