mercoledì 24 febbraio 2021

TikTok e la (s)vendita dei minori

La app di TikTok pronta per essere scaricata

Tutti a demonizzare TikTok e i social network, ma cosa dovrebbero pensare quei bambini oggi ragazzini, per anni testimoni della propria impotente (s)vendita online?

di Luca Ferrari

Sono un genitore e non ho mai postato foto di mio figlio sui social network. Lavoro (anche) come Social Media Editor. Sono presente da anni su Facebook, Twitter, Instagram, Pinterest e Linkedin. Credete che non mi sarebbe piaciuto pubblicare in rete foto di mio figlio? Assolutamente si, ma non l'ho mai fatto perché ho pensato prima a lui e poi al mio ego. Quando nacque, a costo anche di sembrare antipatico, fui inflessibile con i miei amici e qualsiasi contatto lo incrociasse sul proprio monitor telefonico: chiunque lo posta in rete, lo denuncio!

Sono passati quasi quattro anni da allora e conscio sempre più dei rischi, non ho cambiato opinione, anzi. Nonostante ciò, non c'è giornata in cui i social non si riempiano di foto di minori, anche piccolissimi. Gli adulti, coloro i quali li dovrebbero proteggere, ignorano/se ne fregano di tutti i rischi della situazione. In molti si difendono dicendo che utilizzano l'impostazione "amici" su Facebook e magari per Instagram bisogna richiederne la visualizzazione. Ottima strategia di autodifesa, certo, dimenticandosi due piccole tragiche realtà:

  1. Qualunque contenuto postiamo in rete, lo regaliamo all'azienda titolare del marchio che un giorno, se volesse, potrebbe fare un book fotografico e venderlo senza che gli autori possano dire alcunché.
  2. Un qualsiasi cracker capace di entrare nel nostro account, può tranquillamente accedere alle foto dei nostri figli e farne ciò che vuole (incluso venderle a pedofili, ndr) come ha di recente scritto Repubblica, seppur sbagliando la terminologia e parlando di hacker, che sono un'altra cosa.
Tutto questo però non sembra preoccupare i cosiddetti "adulti", che imperterriti postano foto su foto, restando sgomenti poi se qualche bambino utilizza applicazioni come TikTok fino alle più estreme conseguenze, com'è tragicamente accaduto alla giovanissima palermitana Antonella Sicomoro. Quindi, cerchiamo di ricapitolare: un bambino si vede pubblicato sui social network per anni da mamma, papà, zii, amici, etc. e poi dovrebbe avere la maturità per dire "No, non mi interessano perché un uso scorretto mi potrebbe nuocere contro?". E in tutto questo le aziende produttrici dei social che fanno? Niente, ovviamente. A loro cosa interessa, anzi. Fanno quello che le leggi consentono e la legislazione, italiana come di qualsiasi altra nazione, non vieta nulla.

Appurato il fallimento umano dinnanzi al "giocattolo social network", spetterebbe ai Governi proteggere i più piccoli, vietando la pubblicazione di foto dei minori in rete. Finché la questione non sarà affrontata con serietà e determinazione, la situazione potrà solo peggiorare. Nei prossimi dieci anni verranno create nuove applicazione di condivisione istantanea e il web si popolerà di minori, già online appena venuti al mondo, spianando (anche) la strada a quel cyberbullismo che, invano, si sta cercando di contenere. I primi rigurgiti del mostro però, come troppo spesso accade, non vengono da fuori e/o in qualche comodo ufficio della Silicon Valley, ma tra le placide mura domestiche.

Un gruppo di applicazioni social scaricate sullo smartphone