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martedì 3 ottobre 2023

Fallire significa (anche) ricominciare... e vincere!

Un abbattuto (ma mai domito) Michael Jordan
Perdere significa anche fallire ma ci vuole maturità per ammetterlo. Dalla fine ci si rialza per vincere. Niente alibi, solo volontà e forza. Chiedetelo a "un certo" Michael Jordan.

di Luca Ferrari

Fallire, che brutta parola. Fallire, com'è diseducativo. Fallire, com'è politicamente scorretto! Fallire, fallire, fallire. Sssh, non si può dire! Che ci piaccia ammetterlo o meno, la vita è costellata di fallimenti: relazioni umane, lavoro, sport, qualsiasi cosa. Ognuno però ha modi differenti di affrontare la cosa e in certi casi, si può addirittura negare l'evidenza, come è accaduto nei mesi scorsi all'applauditissima stella NBA, Giannis Antetokounmpo. Altri invece, famosi e non, prendono coscienza della situazione, ripartendo proprio da lì, per poi risorgere e vincere con una rinnovata e ancor maggiore energia. Io come, ciascuno di voi, ho fallito. Ci sono state delle volte che mi sono arreso e altre volte che mi è servita da molla per ripartire. Io non ho problemi ad ammetterlo, e voi?

Giannis Antetokounmpo è un fortissimo giocatore greco di basket. Dal 2013 milita nella franchigia dei Milwaukee Bucks con la quale si è laureato campione NBA nel 2021, vincendo nello stesso anno il titolo di MVP delle finali. Un successo personale quest'ultimo che va a sommarsi al doppio titolo (consecutivo) di MVP delle regular season 2018-19 e 2019-20. Nell'ultima stagione i Bucks sono arrivati ai playoff da primi della classe, tanto nella Central Division quanto nella Eastern Conference con 58 vittorie e 24 sconfitte. Nessuno come loro! Logico dunque che fossero tra i favoriti all'anello. Al primo turno degli scontri diretti però, è successo l'incredibile. Sono stati fatti fuori dai Miami Heats, questi ultimi con due partite extra alle spalle (sconfitta contro gli Atlanta Hawks e vittoria sui Chicago Bulls), cosa che gli ha permesso di strappare uno degli ultimi posti per i play off.

I Bucks sono strafavoriti ma sul campo cambia tutto. La corsa al titolo finisce subito al 1° turno e appena alla quinta partita, con il sorprendente risultato di 4-1 per Miami. In conferenza stampa il giornalista Erich Nehm (The Athletics) pone una legittima domanda ad Antetokounmpo, parlando di stagione fallimentare, alla quale però il cestista replica infastidito con deboli paragoni sulla carriera dell'intervistatore, e andando a scomodare perfino Michael Jordan, dimenticandosi evidentemente che tipo di giocatore fosse His Airness. Torniamo allora alla stagione '89-90 quando in gara 7 i Bulls vennero bloccati in finale di Eastern dai formidabili Detroit Pistons di Isiah Thomas per il terzo anno consecutivo. Jordan mastica amaro e sarei pronto a scommettere che per lui, quella che si era appena conclusa, è stata una stagione fallimentare, poiché non aveva raggiunto l'obiettivo che si era prefissato: diventare campione NBA.

Che cosa ha fatto Michael Jordan? Ha stretto le mani agli avversari, ha annullato le vacanze e il giorno dopo era già in palestra con un solo obiettivo: strapazzare i Bad Boys l'anno successivo e vincere, cosa che puntuale avverrà. Giannis Antetokounmpo invece, esce come un trionfatore dalla conferenza stampa. Blogger, sportivi accomodanti e l'immancabile esperto popolo dei social media applaudono tutti la possente ala che, a loro dire, ha demolito il giornalista. Al contrario, fin dalla prima volta che vidi questa intervista, ho sempre empatizzato con il collega dei media. No, non per affinità lavorative, più che altro per una questione di onestà. Personalmente non ho alcun problema ad ammettere i miei fallimenti. So bene quando ce l'ho fatta e quando no. Alle volte i fallimenti mi hanno condotto a nuovi successi, altre volte a mollare. E con questo?

E sempre chiamando in causa quello che è universalmente considerato il più grande giocatore della storia del basket, guardando alla sua carriera, parlò così: "Nella mia vita ho sbagliato più di novemila tiri. Ho perso quasi trecento palle. Ventisei volte i miei compagni di squadra mi hanno affidato il tiro decisivo e l’ho sbagliato. Ho fallito. Molte, molte volte. Ed è per questo che alla fine ho vinto tutto". Ladies and gentleman, questo è Michael Jordan! Anche io, come tutti voi sono un essere umano. Non sento il bisogno di pormi come un indomito vincitore sempre e comunque, anche perché non lo sono. Nessuno lo è, MJ incluso. Anche se nella mia vita ho fallito e fallirò ancora, vivo bene, mi guadagno da vivere e mi godo la mia famiglia ogni giorno. 

La conferenza stampa di Giannis Antetokounmpo

giovedì 24 agosto 2023

Un'estate senza web

Relax "cartaceo" © Luca Ferrari

Un'estate senza essere perennemente connessi online? L'ho sperimentato, almeno, per un certo periodo ed è stato davvero piacevole. 

di Luca Ferrari

Le vacanze di un tempo non prevedevano "compiti" in sospeso. La rivoluzione digitale e un errato modus operandi lavorativo sempre più opprimente con l'avvallo dei governi, hanno cambiato tutto. Sono stato all'estero quest'estate. Un paio di settimane dove comunque avevo dei compiti da rifinire e tenere d'occhio. Dopo pochi giorni però, ecco il messaggio più odioso e inaspettato: copertura dati in esaurimento. Cosa?!? Già pronto a ingaggiare battaglia, mi sono fermato e ho riflettuto. Tutto quello che dovevo fare avveniva la mattina presto ed eventualmente la sera, ossia in orari in cui solitamente avevo sempre wifi a disposizione. Detto fatto! Mi sono rilassato e una volta ottemperati i miei obblighi, ho iniziato a lasciare il telefono in modalità aereo per la stragrande maggioranza della giornata.

Lavoro ma non solo. Viviamo costantemente con la tecnologia e ogni minima attesa viene subito "sedata" da una sorta di intrattenimento, azzerando i fatidici tempi morti. Nel mio ultimo periodo vacanziero ho come fatto un salto nel tempo, rimanendo senza internet per gran parte della giornata. Lo smartphone in costante modalità aereo. Il piacere di un libro da leggere senza l'assillo (involontario ormai) di controllare posta elettronica e social network. Lo ammetto, in principio era molto strano ma non ci è voluto così tanto per re-imparare a riappropriarsi del proprio tempo, godendosi tanto i momenti speciali quanto la semplicità di una conversazione e di una passeggiata slegata da internet, standosene al mare senza scrollare alcunché (non sa cosa si perde, esimio Dott. Feltri, ndr).

Un'ulteriore step sono state le incursioni museali, per le quali mi sono affidato unicamente a brochure locali, suggerimenti dei centri informativi e le spiegazioni del personale, senza "documentarmi" su siti od opinionisti dell'acqua tiepida e simili. Lo vediamo ogni giorno. A ogni minima pausa, lo smartphone viene subito estratto, e a prescindere dall'utilizzo, è un uso sempre più massiccio e invasivo. La vacanza 2023 mi ha insegnato qualcosa di più.  Credo che utilizzerò sempre di più la modalità aereo nella mia vita. Quando avrò terminato i miei compiti, chiuderò con internet. Credo che ciascuno di noi si meriti di vivere il proprio tempo senza distrazioni, e questo vale sia nella sfera lavorativa sia in quella ludico-privata

martedì 10 agosto 2021

Settimana della salute mentale per tutti

Il rilassante mare di Schiavonea (Cs) © Luca Ferrari

Nel corso della loro stressante attività, gli operatori umanitari delle Peace Brigades si dovevano prendere la Settimana della salute mentale. La estendiamo anche a (tutti) noi?

di Luca Ferrari

Umanità sempre più sull'orlo di una crisi nervosa (isterica). Dietro il passeggero senso di unità dettato dalle imprese sportive, calcistiche e olimpioniche, si nascondo i contrasti più beceri, alimentati nel quotidiano dai social network, ultimo in ordine temporale: il "famigerato" green pass. Da sempre un sostenitore delle vacanze, quale momento fondamentale nella propria vita, importante anche nel lavoro, sono sempre più convinto che il nuovo Governo dovrebbe adottare una formula conosciuta ai tempi dei miei reportage umanitari, quando un operatore di Peace Bridages International mi parlò della Settimana della salute mentale.

Fino a due anni fa, ogni estate significava andare all'estero. Al momento è tutto ancora un po' complicato e dopo tanti mesi di clausura, andare in vacanza sta diventando sempre più vitale, anche se fosse solo una scampagnata vicino a casa. Uno stacco che spesso risulta insufficiente per ricaricare davvero le batterie, aspetto questo che non sembra interessare nessuno, a parte i diretti interessati. Ed è proprio elucubrando su queste tematiche, che mi è tornata in mente una delle mie prime interviste, quando conobbi un operatore umanitario di Peace Brigades International, rientrato dalla Colombia, che tra i tanti aneddoti mi parlò anche della Settimana della salute mentale.

Lavoro molto duro quello degli operatori delle Peace Brigades, impegnati all'epoca (primi anni Duemila) a presenziare al fianco dei difensori dei diritti umani e i campesinos, spesso tra l'incudine e il martello delle FARC e i paramilitari, all'epoca del conflitto interno colombiano. Complice l'elevato stress a cui erano sottoposti, il personale veniva "invitato" a vivere la cosiddetta "settimana della salute mentale". Non voglio neanche lontanamente paragonare gli stress della vita metropolitana con certe situazioni, ma che sempre di più l'umanità stia ribollendo per mille fattori, è un triste e sconsolante dato di fatto.

Da qualche giorno sono arrivato a Schiavonea (Cs). Il mare è bellissimo in Calabria. Ogni giorno mi risveglio e in pochi minuti di camminata sono sotto l'ombrellone davanti al Mar Ionio. Almeno 2-3 volte al giorno controllo email varie di lavoro e se ho richieste via social, rispondo subito; ieri mi è successo alle sette di sera su Messenger mentre ero ancora in spiaggia. Questo non è stress, è semplicemente il lavoro di chi, come avrebbe detto il Checco Zalone di Quo vado?, è stato condannato alla partita IVA. Col mio lavoro non si stacca mai davvero (reporter, comunicazione, social media editor), ma in questi e nei prossimi giorni, è indubbio che respirerò un'aria diversa e più rilassata. Mi basterà fino alla prossima estate?

Forse una settimana di break ogni due mesi è troppo per chi non vive sotto le bombe, ma siamo proprio sicuri che sia così? Quanto si lavora meglio quando la mente è più rilassata e nell'immediato futuro non si vede solo l'ennesima cavalcata tra impegni, scadenze e obblighi quotidiani? E' indubbio che i prossimi mesi saranno ancora segnati dagli effetti collaterali del covid, e non sappiamo ancora se dovremo affrontare ulteriori limitazioni. Pandemia o meno, prenderci più tempo da dedicare alla nostra salute psicofisica è, e resterà sempre, il più grande investimento che possiamo fare per il benessere nostro, di chi ci sta intorno e anche per una resa ottimale nell'ambito lavorativo.

domenica 22 dicembre 2019

A natale mi hanno "regalato" il Servizio Civile

Venezia, l'ingresso sotto le Procuratie Nuove della Soprintendenza © Luca Ferrari
A ridosso del natale 1997 iniziai il Servizio Civile alla Soprintendenza del Veneto Orientale. Un'esperienza formativa cruciale vissuta insieme a persone straordinarie.

di Luca Ferrari

Venezia, lunedì 22 dicembre 1997. Dopo una lunga attesa di quindici mesi sono atteso in Soprintendenza dei Beni Artistici e Storici del Veneto Orientale, a Venezia, per il mio primo giorno da obiettore di coscienza e dunque impegnato nel Servizio Civile (era la prassi “punitiva” del distretto militare farti attendere fino all’ultimo, ndr). All’epoca non era un diritto, e tutti coloro che facevamo questa scelta, erano visti un po’ come i rinnegati della Patria. Aldilà di qualche esperienza precedente, adesso sarei stato impegnato per la prima volta per 10 mesi consecutivi nel mondo del lavoro.

“A Natale, tutti a lavorare.” Era questo il titolo polemico che in principio avrei dovuto dare a un nuovo articolo contro il mondo dello sfruttamento lavorativo. Dopo le "tante parole" che si beccano le ferie estive, mi chiedevo come mai non sentissi i medesimi strali per il periodo natalizio. Il pensiero resta ma invece di esprimerlo in toni acidi e guerrafondai, mi comporterò bene e voglio fare un regalo. Vi racconterò una fiaba. Una fiaba autentica. La storia del mio primo impiego di lavoro a tempo determinato. Quanto sia stato importante per la mia crescita persone grazie soprattutto alle persone con cui ho lavorato.

C'era una volta un giovane veneziano di 21 anni senza alcuna idea di cosa fare della sua vita. Allo Stato questo però non importava granché e gli imponeva una scelta: servizio militare o, se fossi stato accettato, Servizio Civile. Contrario in modo totale alle armi e per nulla incline ai loro rigidi protocolli, scelsi la seconda via. All'epoca una scelta del genere rendeva difficile trovare lavoro poiché veniva quasi sempre richiesto il “milite esente.” Poi finalmente, a ridosso del natale 1997, arrivò la fatidica chiamata e il 22 dicembre mi presentai per il mio primo giorno alla Soprintendenza dei Beni Artistici e Storici del Veneto Orientale, i cui uffici si trovavano a pochi passi dal Museo Correr, sotto le Procuratie Nuove in Piazza San Marco (oggi ha cambiato sede ma il nome scritto sul campanello è rimasto).

Fui subito scherzosamente etichettato come il "disertore". Caso curioso, nonostante avessi cambiato casa già da due anni abbondanti, la lettera della chiamata era arrivata al vecchio indirizzo e dunque non mi presentai il giorno effettivo ma solo tre lune dopo ricevetti una telefonata dal Distretto Militare che mi fece presente l’accaduto. Chiarito l'equivoco, mi presentai. Paure? Certamente. Dubbi? Tantissimi. Pensieri? Pure troppi. Fin dal primo giorno però rovai un ambiente inimmaginabile a cominciare dalla presenza dei miei simili. La Soprintendenza infatti pullulava di obiettori, oltre 15.

Io venni assegnato all’ufficio Vincoli dove erano presenti un capoufficio e due signore con mansioni rispettivamente di segretaria ed elaborazione varia di pratiche/accoglienza-vigilanza). Insieme a loro, un altro obiettore con cui condivisi la scrivania per poco tempo e nel frattempo m’insegnò il mestiere prima del suo ritorno alla libertà. Quell’ufficio e quelle due donne in particolare furono emblematiche. Non farò certo uno scoop dicendo che molti obiettori in tutta Italia lamentassero talvolta un certo sfruttamento del loro impiego (specie per quello che venivamo pagati). Loro no. Mai. Mi assegnavano i compiti da fare ma mai si approfittarono della mia condizione. La dimostrazione di come si possa lavorare, anche tanto e bene, senza sfruttare il prossimo.

Archivi. Termini tecnici. Il giorno del pubblico, il più divertente poiché venivano studenti (e soprattutto studentesse, ndr ) a chiedere informazioni. Fotocopie di tonnellate di documenti facendo la massima attenzione a farle veloci e in modo impeccabile. Le prime pause pranzo con la "pappa" preparata e portata da casa (anche questo fa parte del mondo del lavoro). Le riunioni di noi obiettori. L'imparare a comportarsi anche quando la luna era proprio storta. Quattro stagioni intere vissute lì dentro. Inverno, primavera, estate e autunno. Un percorso di lavoro e vita intenso. Cinque giorni la settimana dal lunedì al venerdì. Io solitamente arrivavo sempre sul presto, verso le 8 del mattino per poi sbaraccare poco dopo le ore 15. Insomma, una giornata lavorativa completa.

I legami con alcuni dei colleghi obiettori crebbero. Mese dopo mese si formarono “vincoli” di amicizia continuati anche una volta usciti. Lo stesso anche con persone più grandi, a cominciare proprio dalle mie due colleghe di ufficio che in certi momenti furono a dir poco materne. Non fu un’annata semplice quella per il sottoscritto, ma proprio per niente, eppure giorno dopo giorno il mio ufficio Vincoli divenne un porto sicuro dove imparare qualcosa, riflettere su me stesso e gettare le fondamenta per un domani che reclamava spazio su di un passato troppo opprimente. Senza rendermene conto, quella prima lunga esperienza avrebbe incarnato molti dei miei ideali che ancora oggi definiscono la mia persona e il mio approccio al mondo del lavoro: onestà, impegno e collaborazione.

1997-98, i miei dieci mesi di Servizio Civile all’ufficio Vincoli della Soprintendenza dei Beni Artistici e Storici del Veneto Orientale a Venezia furono una bella fetta di vita. Arrivato nel periodo natalizio, in uno dei primissimi giorni, non appena uscito, sentii propagarsi attraverso gli altoparlanti disposti nella piazza la commovente Happy Xmas (War is Over) di John Lennon. Rimasi lì ad ascoltarla, in piazza San Marco. A very Merry Christmas/ And a happy new year/ Let's hope it's a good one/ Without any fear cantava il musicista di Liverpool a cui la sua città natale gli ha dedicato l’aeroporto. Oggi ci sono nuovamente passato e quelle parole ancora risuonano nei miei ricordi e nel mio cuore di obiettore.

Merry Christmas by John Lennon

Venezia, l'ingresso sotto le Procuratie Nuove della Soprintendenza © Luca Ferrari
Venezia, il campanello della Soprintendenza © Luca Ferrari
Venezia, le Procuratie Nuove a fianco di Piazza San Marco © Luca Ferrari
Souvenir dall'ufficio Vincoli della Soprintendenza con post-it e date d'inizio/fine servizio © Luca Ferrari
Venezia, piazza San Marco e  Procuratie Nuove (sx) © Luca Ferrari
Venezia, Procuratie Nuove piazza e campanile S. Marco nella nebbia © Luca Ferrari
Venezia, basilica e campanile S. Marco da sotto i portici © Luca Ferrari
Gli affettuosi messaggi di fine servizio per l'obiettore di coscienza... Luca Ferrari

mercoledì 21 agosto 2019

Vacanze, nemico pubblico d’Italia

Io, Luca Ferrari, in relax alle isole Azzorre
“Io faccio il professionista e le ferie non so cosa siano” disse tronfio l’on. Patuanelli. Io in vacanza ci sono stato, alle isole Azzorre, e me la sono goduta. Che brutta persona che sono. 


“Guardi, io faccio il professionista da quasi vent'anni e le parole – ferie, vacanze – sono cose che mi ricordano qualcosa, non so esattamente cosa siano. Noi siamo sempre stati qua. Abbiamo sempre lavorato nell'interesse dei cittadini” dice fiero al minuto 7,42 del suo intervento (vedi video) l’onorevole Stefano Patuanelli, capogruppo per il Movimento 5 Stelle, nel corso delle dimissioni del Governo Conte al Senato, lo scorso martedì 20 agosto 2019. 

Non entro nel merito della questione politica, in primo luogo perché non ho intenzione di replicare a slogan da prima elementare, mentre per “tutti gli altri luoghi” mi ci vorrebbero pagine e pagine. Ciò che mi ha fatto inorridire, pur rientrando alla perfezione nella macchina-Italia, è questo bearsi del proprio lavoro mostrando come merito l’essere sempre al lavoro. Sempre lì (mi piacerebbe verificarlo comunque, aldilà di qualche sparata macho-stacanovista). E ovviamente il gregge è tutto lì attorno ad applaudirlo.

Quasi un anno fa scomparve il manager Sergio Marchionne, noto per le sue esternazioni sulle non-vacanze. Lo chiedo da professionista quale sono anch’io, ma che a differenza di altra gente non vado in giro a sbandierarlo ai quattro venti: mai vi fanno davvero così schifo le ferie? Credete davvero che ci sia più nobiltà nel lavorare dalla mattina alla sera, facendovi vedere per dieci secondi alla vostra famiglia, ammesso che si possa chiamare tale visto il tempo che gli concedete? Avete qualche carenza che dovete in qualche modo sopperire, mostrandovi in codesta posizione? Così, per sapere.

Non è mia intenzione ingaggiare un duello con l’onorevole Patuanelli ma la sua tronfia esternazione mi porta a pensare a due possibili scenari: o il suddetto non ha una vita privata e dunque sfoga nel lavoro tutte le proprie frustrazioni oppure ha fatto la classica sparata politica, come sempre denigrando gli altri. Quegli "altri", sia ben chiaro, che fino al giorno prima erano i colleghi dell’immacolato Governo della Collaborazione e del Cambiamento (ok, scusate, ma non ce la faccio a non sottolineare almeno una volta l’ipocrisia pentastellata).

E ora veniamo a loro, il nemico pubblico numero 1 della vera Italia che lavora. Le vacanze. Femmine, s’intende. Queste meretrici di sollazzo che traviano le energie che al contrario dovremmo utilizzare per continuare a far crescere la nostra nobile Patria dello 0,1 per cento annuo. Loro, queste squallide tentatrici che ci traviano dai veri valori che forgiano l’essere umano italico: sfruttamento, l’assenza di futuro e impossibilità di godersi un doveroso risposo. Godersi che cosa, poi? Qui in Italia? Ma cos’è, una barzelletta di cattivo gusto?

Buon pomeriggio a tutti. Mi chiamo Luca Ferrari. Se cliccate in alto sul mio nome verrete subito indirizzati sul mio profilo Linkedin. La vedete la foto dell’articolo? È il sottoscritto che da perfetto rinnegato nemico della produzione, se n’è andato quest'estate con la propria famiglia in vacanza sulle isole Azzorre. Lo so, sarei dovuto rimanere a casa davanti alla mia scrivania 10 ore al giorno ma sono un ribelle-nemico dello Stato, e dopo le fiere ostentazioni del dott. Patuanelli, lo confesso, mi vergogno di me stesso. 

Ho da poco superato i 40 anni ma so già che la mia pensione non la potrò certo vivere qui. Non ci sono le condizioni. Parte di quella sempre più umiliata middle class, finirò per non avere manco i soldi per gli acciacchi della vecchiaia. Questo non è pessimismo, sia ben chiaro, sono dati di fatto.  Me ne dovrò andare. Prima lo accetto, io come tanti altri, e prima inizieremo a organizzarci. Oggi, alle soglie dell’ennesimo cambio di Governo, provo solo un gran desiderio. Andarmene altrove il prima possibile. Abbandonare questo angolo di mondo dove, dopo essere riusciti a sdoganare il fascismo, stiamo assistendo perfino demonizzazione delle ferie. 

Come già avevo scritto in passato, sempre più annunci/colloqui di lavoro richiedono impegno (…) costante, contratti-non contratti e orari al limite dell’offensivo. Per alcune categorie ci sono i sindacati, per la stragrande maggioranza siamo soli contro un Sistema. Un sistema schiacciaumani che vince senza neanche scendere in campo. Questa è l’Italia del mondo del lavoro. Questa è l’Italia, sempre e comunque, che spero un giorno di abbandonare per sempre, trovando un posto dove fare la mia parte, dare il mio contributo di professionista, e sentire allo stesso tempo che la mia vita e quella dei miei cari, per il nostro stesso esistere, viene rispettata. 

L'intervento dell'on. Patuanelli in Senato (minuto 7,42)

giovedì 2 agosto 2018

La vita è anche andare in ferie

Algarve (Portogallo), spiaggia oceanica © Luca Ferrari
Lavorare ogni giorno senza sosta prendersi mai un weekend di ferie non è sinonimo di produttività. Sfatiamo il mito del "nobile sfruttamento" e impariamo a goderci la vita.

di Luca Ferrari

Il lavoro nobilita l'uomo? Di sicuro, ma non è certo l'unico a farlo. Anche le ferie, volgarmente "vacanze", ci riescono e molto bene. Negli ultimi anni sono aumentate in modo esponenziale alcune richieste specifiche negli annunci di lavoro, pretendendo "qualità" un po' troppo votate al sacrificio umano nel nome del guadagno (altrui, s'intende). Il motto dell'era moderna assomiglia sempre di più a un "lavorare e rinunciare alla famiglia". Ma è possibile che nel terzo millennio non sia stato trovato un equilibrio? Negli ultimi giorni poi, è rimbalzata una notizia che mi ha lasciato un po' perplesso.

Non so se sia vero che il defunto Sergio Marchionne (1952-2018), ex-dirigente della FIAT, si sia preso un solo weekend di vacanza negli ultimi dieci anni. Se così fosse, non mi pare qualcosa di cui andare fieri né da esaltare come modello per qualsiasi generazione perché significherebbe che negli ultimi 120 mesi di vita ha regalato meno delle briciole ai propri cari e a se stesso. Detto questo, non sono aggiornato sulla vita privata del sig. Marchionne e non mi è mai interessato esserlo così come di chiunque altro non sia la mia famiglia o i miei amici, quindi la suddetta riflessione nasce unicamente da una notizia riportata su tutte le testate nazionali.

Non si capisce bene perché al giorno d’oggi una persona debba scegliere per forza tra vita lavorativa o vita familiare, come se le due cose non fossero più conciliabili. Ma davvero voi datori di lavoro siete così ottusi e retrogradi da pensare che spremere una persona dalla mattina alla sera lo faccia produrre meglio? Seriamente, ci credete davvero? Siamo nell'epoca dove la "qualità" è l'unica arma di sbarramento contro il pressapochismo e il dozzinale, e voi la vorreste sprecare solo per vedere i vostri dipendenti in ufficio dalle 8 fino alle 6-7 di sera? Fantozzi è morto, fatevene una regione se non volete fallire, lasciate che vi illumini.

Non lo dice Luca Ferrari, lo dicono gli esperti. Non solo dopo ore e ore l’attenzione cala ma inevitabilmente cominceranno a venire a galla pensieri e preoccupazioni della vita privata che, mi spiace per voi, hanno tutti. Anche quelli che li nascondono in alcol e droghe. È questo il modello cui stiamo aspirando? Una società deformata dove gli ESSERI UMANI sono automi nati per produrre e non provare nulla (vedi anche la "profonda empatia" verso quelle migliaia d bambini, donne e uomini che arrivano sulle nostre coste, ndr)? Godetevela allora perché io non ne voglio proprio prendere parte.

A me piace lavorare. Sono oltre 16 anni che opero nel campo dei media, editoria online, comunicazione, etc. Ho affrontato e affronterò sempre nuove sfide ma allo stesso tempo non intendo e non intenderò mai rinunciare a godermi la mia vita sentimentale o ad andare in vacanza, da cui per altro sono appena tornato vivendo due splendide settimane passate su e giù per il Portogallo. E se dovessi lasciare ai miei sentimenti un solo weekend di ferie nei prossimi dieci anni, mi sentirei la persona più sola e triste del mondo. Buona giornata… e buona fortuna!