venerdì 28 dicembre 2018

Cuba, la rivoluzione fa sessanta

Museo de la Revolucion (L'Avana): pannello celebrativo del trionfo di Castro e i barbudos © Luca Ferrari
Il dittatore è in fuga, ha abbandonato Cuba. Trionfano i barbudos di Fidel Castro e Che Guevara. Sessant'anni fa, il 1 gennaio 1959, sull'isola caraibica trionfava la rivoluzione del popolo.

di Luca Ferrari

L'Avana, capodanno 1959. Lo spietato dittatore Fulgencio Batista è scappato. Ha abbandonato l’isola di Cuba. L’esercito ribelle guidato da Fidel Castro (1926-2016) è ormai alle porte. È il trionfo del popolo. È il trionfo di un pugno di uomini che con caparbietà, coraggio e tanti sacrifici, ha saputo ribaltare una situazione impossibile. Riprendersi ciò che era loro, strappando la propria terra all'avidità delle lobby straniere pullulanti d'azzardo e prostituzione. I barbudos hanno vinto. Davide ha sconfitto Golia. 1 gennaio 1959, una nuova alba per Cuba e forse per il mondo intero.

Fidel Castro, Che Guevara, Cammillo Cienfuegos. La storia rivoluzionaria di Cuba splende ancora nella memoria di quei tre indomiti condottieri. Uno dei rari casi in cui il potere si è inginocchiato all’iniziativa popolare, unita e decisa. Il dopo è un’altra storia e come in tutte le guerre civili si è passati alla resa dei conti (legale e non). Nato nella repressione più atroce dell’attacco fallito alla caserma Moncada, il Movimento del 26 Luglio riuscì nell’impresa di sradicare un potere che, forte dello spregiudicato appoggio a stelle e strisce, sembrava indistruttibile.

Oggi come allora si festeggia la fine di quell'epoca. Da allora sono passati sessant’anni e di quegli uomini che fecero la Storia è rimasto solo Raul Castro, fratello del Leader Maximo, scomparso due anni or sono. In queste sei decadi Cuba ne ha vissute parecchie. Dalla storica alleanza con l’Unione Sovietica di Nikita Chruščëv e la crisi dei missili, all’anonimato più totale fino all’apertura di Barack Obama che allentò le (ridicole) maglie  dell'embargo ancora in vigore, poi nuovamente soffocata dal nuovo e attuale inquilino della Casa Bianca, Donald Trump. Che destino attende ora l'isola caraibica?

Siamo arrivati al 2019 e di quell'atmosfera rivoluzionaria c'è ancora troppo o forse troppo poco, a seconda dell'aera geografica. Per noi occidentali sinistrorsi la rivoluzione cubana resta un mito. Un'idea che ha trovato la strada della concretezza (molto atipico per la Sinistra italiana), prendendo il toro (dittatore) per le corna e mandandolo al tappeto con decisione, sacrificio e, in quel caso, lotta armata. Ma più che la Storia, la rivoluzione Castrista rappresenta una speranza che continuerà a illuminare il cammino di chiunque voglia (davvero) sfidare e vincere qualsiasi tirannia.

Cuba è ancora un mondo a parte. Dei tanti reportage realizzati in giro per il mondo, il mio viaggio a Cuba resta senza dubbio quello che mi ha più lasciato stordito. Ancora oggi, nell'epoca dei social network, a parlare di Cuba vengono subito in mente loro, quei due lì. Fidel Castro e Che Guevara. Stratega e politico il primo, idealista e guerrigliero il secondo. Due leader per una stessa causa. I due leader che si conobbero in Messico dopo che Fidel era stato scarcerato per grazia di Batista (il più grande errore del presidente cubano, ndr), e da allora hanno marciato fianco a fianco fino alla liberazione dell'isola e il trionfale ingresso nella capitale.

Cuba cambiò il corso del proprio destino quando ancora doveva iniziare un decennio fondamentale per la cultura e la contestazione. Cuba era già avanti a tutti. Mentre le menti europee dovevano ancora attendere, i cubani lottarono per la vera libertà e dimostrarono al mondo intero che nessun dittatore è al sicuro se il popolo è unito. La lezione fu grandiosa. Quell'epopea fu incredibile, bissata poi dal contrattacco vincente all'invasione statunitense nella baia dei Porci, nell'aprile del 1961. Un altro trionfo di Fidel Castro. Un altro monito di Cuba contro il vicino e potentissimo aggressore: questa è casa nostra, guai a chi ce la tocca!

Nel terzo millennio Cuba è ancora un mondo a parte. Ogni nazione ha le sue guerre e la sua memoria eppure la vittoria di Fidel Castro sembra appartenere a noi tutti affamati di libertà, quasi più dei nostri stessi partigiani. Nella vittoria del Movimento del 26 luglio contro lo status quo sembra esserci una porzione di ciascuno di noi. Sessant'anni dopo, quell'impresa militare ci fa ancora ribollire il sangue fin fuori dagli occhi. Al posto di Fidel, la maggior parte di noi avrebbe abbandonato subito dopo il naufragio della leggendaria Granma, l'imbarcazione con cui Castro e i suoi seguaci "arrivarono" a Cuba dal Messico, accolti dalle mitragliate di Batista.

Camminare per l'Avana o farsi una nuotata nelle acque cristalline della baia dei Porci non è come passeggiare per Madrid o sguazzare nel mare salentino. Lì c'è qualcosa di più. Lì c'è un sentimento che ti scorre dentro tutto il perimetro umano-sentimentale, qualcosa che immagino sia molto simile a chiunque calpesti la sabbia della fredda costa normanna, lì dove gli Alleati sorpresero i Nazisti e diedero vita a una trionfale marcia di guerra abbattendo l'armada hitleriana. Quella però era la nostra guerra. L'odore di morte dei campi di sterminio era il nostro nemico da piegare, Cuba invece era lontana migliaia di miglia più un oceano.

Eppure è esattamente così. Sei lì, a Cuba. Entri nell'Hotel Nacional e vedi le foto appese dei barbudos. Guardi i loro volti, stanchi e felici. Guardi quelle facce e ti interroghi su come siano riusciti in una simile impresa. Dopo anni passati a nascondersi nella boscaglia, erano finalmente arrivati a L'Avana e qui soggiornarono in quelle prime e convulse giornate. Il dittatore, da bravo vigliacco quale sempre è, era scappato. Adesso toccava a loro rimettere le cose a posto. La Storia (obiettiva) riconoscerà meriti e demeriti. Anche la rivoluzione cubana avrà i suoi torti e farà i suoi sbagli, ma è stato un bene che ci sia stata. Ancora oggi ci inorgoglisce a parlare della rivoluzione cubana.

Ancora oggi, a distanza di sessant'anni dal trionfo definitivo dell'esercito guidato da Fidel Castro, la rivoluzione cubana ci fa ancora drizzare il sangue fin fuori dalle orbite. Nel 1959 il mondo era diversissimo da ciò che è oggigiorno. Il 1 gennaio 1959 il popolo di Cuba scrisse una coinvolgente pagina di Storia che ancora oggi è in grado di ispirare uomini e donne da ogni dove. Oggi, in un mondo prevaricato da politici senza ideologia e masse ipnotizzate da facili slogan, la sessantennale rivoluzione cubana ha ancora voglia di raccontarsi. Oggi, 1 gennaio 2019, la rivoluzione cubana si tramanda con i suoi eroi e le sue azioni. Noi siamo qui, mai sazi di quella epica impresa rivoluzionaria. Libertà o muerte!

Cuba, on the road verso la Baia dei Porci © Luca Ferrari
Cubal'Avana Hotel Nacional: in memoria del glorioso 1 gennaio 1959 © Luca Ferrari
Cubal'Avana Hotel Nacional: in memoria del glorioso 1 gennaio 1959 © Luca Ferrari
Museo de la Revolucion (L'Avana): gigantografia di Fidel Castro © Luca Ferrari
Museo de la Revolucion (L'Avana): sventola fiera una gigantesca bandiera di Cuba © Luca Ferrari

lunedì 24 dicembre 2018

Il regalo più bello è una piccola collina immacolata

Finlandia, bosco © Visit Finland
Lassù, fra le aurore boreali della Finlandia. Per documentare la magia paesaggistica di Madre Natura e trasformarla in sensazioni e colori.

di Luca Ferrari

Un nuovo reportage mi attende. Poco prima di partire, vengo richiamato da Facebook. C’è una e-mail che non avrei saputo immaginare più privilegiata. È la prima risposta di un’amica che non sentivo da un'eternità. Faccio appena in tempo a stampare le sue parole e farmi travolgere dal mega-contagio della sua prima frase stellata, che sono già a vagare sopra l’Europa.

Nello sfogliare la lettera, scopro che mi sto recando nel medesimo posto dove ha iniziato a risiedere. A Kouvola, nella regione del Kymenlaakso, Finlandia meridionale. Ora lei vive in una zona che si chiama Pikku-Palomäki, e che letteralmente significa “piccola collina di fuoco”.Non saprei quantificare i giorni del tempo trascorsi da un inconsapevole e involontario addio. Non sono sorpreso di questa coincidenza. Semmai, emozionato. Ho intenzione di andare fino in fondo, e toccare il marzapane di quei nuovi boschi.

Mentre sono ancora sospeso nel cielo, riguardo le foto appese alle tante botole temporali della mia mente. Una volta arrivato a terra poi, ritorno al presente e faccio il mio lavoro. Così, tra un appunto e uno scatto, due chiacchiere e un tea caldo, vengo risucchiato da una sensazione di familiarità, e via via travolto da un sentimento di essere affacciato alla finestra più segreta delle nostre pianure più sotterranee.

Nel vedere un gruppetto di ventenni, ripenso a quando la gente non capiva (né capisce) perché ricordiamo così volentieri gli anni più tormentati delle nostre esistenze. La risposta è nella storia di una ragazza come lei, che rese ogni sogno irrealizzabile una promessa mantenuta. Un messaggio che ha sempre sancito la sincerità di quello che non abbiamo mai smesso di essere.

Inizia a cadere qualche granello bianco intanto. Istintivamente allargo le braccia, sentendomi come l'intero pianeta Terra ricevitore del concerto celeste. Senza troppe bussole mi presento al cospetto di altissimi esemplari di abeti. Registro le mie impressioni tingendo il manto nevoso di qualche goccia d’inchiostro della mia inseparabile stilo.

Sento come un brivido cavalcarmi la cute. Attraverso in pochi minuti scenari che mi rimandano alle dolci alture dei boschi alpini così come alle atmosfere più gotico-arboree. Senza emettere nemmeno un fiato, mi metto a correre. Leggero e spaesato. Glorioso e delicato. Ogni orma che mi lascio alle spalle, pare avere sembianze umane.

Esco dal bosco. Poco dopo sono a Pikku-Palomäki. Da queste parti la luce non può che appartenere a qualche neo-nottata dagli arcobaleni più dolcemente ribelli e immortali. Prendete nota. Queste non saranno certo le ultime parole che mi sentirete rivolgere a te e al mondo. Posso confidarti, in via del tutto acquatica, che, Mi fai piangere e mi fai sorridere. E non sai che felicità parlare con te. Qui. Dopo tutto questo tempo.

martedì 11 dicembre 2018

Italia-Austria, fascino da confine

Versciaco (BZ), a ridosso del confine con l’Austria © Luca Ferrari
Assenza di confini significa in primis maggiore libertà, ma anche un po' meno fascino.

di Luca Ferrari

Iniziava il viaggio. Si salutava l’Italia, pronti per oltrepassare la frontiera. Emozionati, sì.  Con la carta d’identità pronta in mano. Si sarebbe raccontato un viaggio all’estero. Un’antica emozione il cui fascino è stato cancellato dall’unione degli stati europei. Forse più praticità. Di sicuro, meno stupore per chi è alle prime armi.

Superata la placida San Candido (BZ), svolto a destra, direzione Austria. Mi resta ancora un paese prima di cambiare nazione, Versciaco. Forse a molti questo nome non dirà nulla, ma per chi conosce la storia, o ha ricordi della II Guerra Mondiale, magari tramandati dai nonni, presso questo paese c’è un aneddoto molto particolare.

Fra il 1939 e 1942 venne qui costruito il cosiddetto Sbarramento di Versciaco (ted. Vierschach) è uno degli sbarramenti del XV Settore Pusteria, e che andava a comporre il Vallo Alpino in Alto Adige (detto anche “linea non mi fido”), un complesso sistema di fortificazioni eretto per difendere i confini italiani da una possibile invasione da parte della Germania nazista

Mi guardo intorno mentre la macchina si lascia alle spalle prati verdi, montagne innevate (alcune) e gli ultimi metri italici. Tutt’intorno boschi (e dei locali davvero caratteristici della zona) e un binario su cui galoppa un treno di pochi vagoni. Manca sempre meno. Eccomi. Ma che succede? Ah già. L’Europa Unita. Niente più dogana.

Senza entrare in contesti geopolitici, mi ritrovo sul confine italo-austriaco parecchi anni dopo la mia ultima visita. Parecchi, dire. Un tempo era molto diverso. C’erano ancora le frontiere. C’era ancora la dogana. In Italia. Uno spazio di terra neutrale, e quindi nuovo controllo, ed ecco l’Austria.

Avuto l’ok dai funzionari stranieri, prima tappa: la banca, per  cambiare le lire. I soldini messi da parte venivano trasformati in queste nuove monete: gli scellini. Nuove banconote. Nuovo conio. Tutto differente. Tutto sorprendente. Già questa era un’avventura. Conservare ancora una moneta che adesso non esiste più.

Si girava l’Austria. Capendo poco la lingua, e quando si pagava, subito a fare i conti per capire se fosse più cara o meno dell’Italia. Ogni viaggio oltre confine, era sempre un nuovo dialogo con un’altra cultura. Arricchito dalle loro peculiarità più tangibili. Non c’era il satellitare. Si sbagliava strada. Si chiedeva informazioni sorridendo.

Adesso c’è solo un cartello che mi indica in quale stato sono. Gli edifici circostanti, per la maggior parte, sono dimessi. Molte macchine vengono qui a fare benzina (che costa meno rispetto ai nostri distributori). Compro qualche cartolina. Pago in euro, ma il francobollo è differente. Ritorno nella terra natia. C’è meno gusto, lo ammetto.

Versciaco (BZ), a ridosso del confine con l’Austria © Luca Ferrari