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mercoledì 8 giugno 2022

Dieci anni di viaggi insieme (2012-2022)

Timbri americano-canadesi sul passaporto © Luca Ferrari

Da Seattle alle isole Azzorre, passando per CubaCanadaFinlandia e innumerevoli altre sortite oltre confine. Quante storie potrebbe raccontavi il mio passaporto in questi 10 anni di viaggi.

di Luca Ferrari

Sono già passati dieci anni. Dieci anni di viaggi vissuti intensamente e sempre insieme. Sto parlando del mio passaporto. Dopo un lungo periodo di inattività e la naturale conclusione del mio primo esemplare, lo rinnovai nel giugno 2012, quando in un vicinissimo orizzonte c'era un viaggio atteso da una vita intera: a Seattle. Un viaggio di cui a beve racconterò qualcosa di amichevolmente speciale. Un viaggio che non si limitò al cambiare continente gironzolando per l'immenso stato di Washington, ma mi avrebbe portato per la prima volta in Canada, a Vancouver, altro timbro al confine, e poi nell'Oregon, a tu per tu col mondo dei Goonies.

Per chi viaggia, un timbro sul passaporto è come una medaglia al merito, e anche se in tutti paesi dell'Unione Europea non ho potuto chiedere l'apposito timbro una volta atterrato, ogni volta che riuscivo a varcare i cieli, me lo portavo sempre con me. Anche per una sorta di sicurezza personale, nel caso andasse smarrita la carta d'identità. Un timbro violaceo invece, venne impresso sul mio fedele passaporto appena due anni dopo la trasferta usa-canadese, questa volta su un "isolotto" nel Mar dei Caraibi, che negli anni '50 fu al centro del mondo: Cuba, in quello che fu un viaggio a dir poco surreale

Altra meta europea e poi fu la volta nuovamente del Canada. Questa volta però, interamente dedicato al gigante del nord. Un viaggio che iniziò atterrando all'aeroporto Pierre Elliot Trudeau di Montreal, e che fece acquisire al mio passaporto un bollino rosso, incollato sull'ultima pagina. Un viaggio che poi si spostò su strada, facendomi attraversare posti meravigliosi lungo le province del Quebec, New Brunswick, Nuova Scozia, raggiungendo infine l'incantevole isola del Principe Edoardo (Prince Edward Island)

E veniamo infine a quello che è stato di fatto l'ultimo timbro impresso. Appena un anno dopo l'esperienza canadese, la bussola guardò ancora verso nord, questa volta però restando nel continente europeo. Un nuovo viaggio mi stava chiamando, e questa volta fu ancora più speciale, poiché vi prese parte per la prima volta anche una minuscola creaturina di pochi mesi. Atterrato all'aeroporto di Helsinki-Vantaa, eccomi partire alla scoperta della Finlandia, spingendoci fino in Lapponia a trovare Babbo Natale e le sue tantissime (e placide) renne

Viaggiare è una dimensione dell'anima. Non tutti sono predisposti a farlo. Non tutti hanno voglia di scoprire il mondo. C'è chi si accontenta di andare sempre negli stessi posti. Negli ultimi anni della sua vita mia nonna diceva sempre che era felice di aver viaggiato molto, e si sentiva fortunata ad averlo potuto fare. Poi per ragioni di età e salute poi, non lo poté più fare ma riusciva comunque a consolarsi con i ricordi... e qualche dolce leccornia! Nel frattempo, quando l'andavo a trovare, le stampavo le cronache dei miei tanti reportage, regalandole ulteriori miglia nei pensieri e nell'anima.

Il 7 giugno 2012 si è chiuso questo decennale capitolo. Non rifarò subito il passaporto. Ne riparliamo nel 2023, destinazione il mondo intero.

Il passaporto con il bollino rosso del Canada © Luca Ferrari
Il confine USA-Canada © Luca Ferrari
On the road sulla Capre Breton Island (Canada) © Luca Ferrari
Il timbro sul passaporto a Cuba © Luca Ferrari
La spiaggia di Cayo Guillermo (Cuba) © Luca Ferrari
Il timbro del Circolo Polare Artico (Finlandia) © Luca Ferrari
Rovaniemi (Finlandia), a casa di Babbo Natale © Luca Ferrari

sabato 17 aprile 2021

Baia dei Porci, il trionfo di Cuba

Cuba, Baia dei Porci - l'ingresso al Museo Giron © Luca Ferrari

Viaggio al museo di Playa Giron, in quella baia dei Porci dove sessant'anni fa, il 17 aprile 1961, l'esercito di Fidel Castro scrisse un'indelebile pagina di storia di Cuba (e non solo).

di Luca Ferrari

La pulce contro Godzilla. Davide contro Golia. L'isola contro il continente. Sono passati sessant'anni da quando gli Stati Uniti provarono a rovesciare il legittimo Governo di Cuba, e ancora oggi quella indelebile pagina di Storia nel pieno della Guerra Fredda, non smette di suscitare fascino e riflessioni. Che cos'è la democrazia e che cos'è la dittatura? Laggiù, nel golfo di Cazones, sulla costa sud-occidentale dell'isola di Cuba, gli "esportatori di democrazia" divennero aggressori senza scrupoli. Questa volta però, trovarono un antagonista tenace e insuperabile. Una popolazione decisa a tenersi la propria terra, a costo di rimbracciare il fucile. E così fece.

Non si può dire di essere stati a Cuba se non si ha visitato la Baia de Porci. E per visitarla intendo prendere una macchina a noleggio, attraversare l'autopista, chiedere informazioni alla sempre cordiale popolazione, arrivando finalmente in questo porzione dell'isola dove in molti avranno il dubbio se la scelta dello sbarco non fosse un tentativo di godersi una giornata al mare invece di fare la guerra, tanta è la bellezza. È esattamente ciò che ho pensato una volta qui giunto, in una calda giornata di settembre di qualche anno fa, quando Fidel Castro era ancora vivo, e nel mio bagaglio di reporter c'erano già i sigari comprati in una piantagione di Vinales.

Natura e memoria camminano (marciano) ancora oggi fianco a fianco nella baia dei Porci. Scogli e mare caraibico da una parte, filmati d'epoca e oggetti storici con cui fu respinta l'invasione yankee dall'altra. Cuba non è un viaggio come gli altri per gran parte di noi europei (e non solo). La storia ha il sopravvento e prima di tuffarmi (e rituffarmi ancora) da speroni rocciosi, ritrovandomi poi addirittura a nuotare in una specie di piscina naturale incastonata nella roccia piena di innocue creature marine, faccio il mio ingresso con estrema voracità culturale nel museo di Playa Giron. Non c'è nessuno a parte il sottoscritto e la mia inseparabile "compagna di viaggio". 

Mezzi aerei e cingolati mi fanno subito capire verso cosa mi stia incamminando. Entrato nella struttura, pannelli esplicativi con foto d'epoca raccontano i fatti. Tutto ebbe inizio la mattina presto di lunedì 17 aprile 1961, quando millequattrocento esuli castristi, rifugiatisi negli USA al tempi della presa di potete dei Barbudos, raggiunsero la baia, a duecento km circa dalla capitale, l'Avana. L'azione ebbe la benedizione della Casa Bianca stessa, e le truppe di sbarco furono addestrate dai Servizi Segreti americani. Nonostante molti ambienti dell'esercito spingessero l'invasione diretta, il più prudente John Kennedy adottò la linea di sostenere l'insurrezione, comunque condotta da cubani e non americani. 

Castro però non era uno sprovveduto, e forte di un sostegno popolare ancora fortissimo (all'epoca), riuscì a bloccare l'invasione, piegando definitivamente il tentato colpo di stato in pochissimi giorni. Se già l'impresa della Rivolucion due anni prima aveva avuto un'aurea quasi leggendaria, lo sbarco  fallito alla baia dei Porci consacrerà in modo definitivo Fidel Castro come emblema della resistenza all'imperialismo a stelle e strisce nel resto del Continente americano. Un'esperienza questa che resterà un caso unico e sporadico, e che vedrà nel Cile di Pinochet per esempio, un esito del tutto differente e molto più tragico per i civili.

Nel mio peregrinare in questo avamposto di storia cubana, il gentile custode mi fa accomodare in una stanza dove posso visionare un filmato d'epoca. Il caldo è tanto e un ventilatore o una sgangherata aria condizionata (non ricordo bene) fa quello che può. Fa niente, quando iniziano a scorrere le immagini in bianco e nero di sessant'anni fa, le emozioni sono tante. Ciascuno di noi, almeno una volta nella vita, si è trovato di fronte un nemico più potente e avere davanti a sé la cronaca di questa impresa ci riempie di orgoglio e speranza, perché quel successo fa parte del nostro vissuto interiore, anche se non ci appartiene personalmente, come Dunkirk o lo sbarco in Normandia.

1961-2021, sessant'anni dopo il fallito rovesciamento del governo di Castro, siamo ancora qui a scrivere dei suoi eroi. Di quei protagonisti, oltre all'imperitura memoria, sono rimasti in pochissimi. Il Leader Maximo Fidel Castro se n'è andato pochi anni or sono, l'eroe argentino Che Guevara fu giustiziato in Bolivia dai Generali. Di quel pugno di rivoluzionari che partirono dall'assalto alla Caserma Moncada fondando il Movimento del 26 Luglio, rovesciando poi la dittatura di Batista e infine respingendo le mire espansionistiche degli Stati Uniti, rimane Raul Castro, ex-presidente e fratello di Fidel, e qualche altro storico guerrigliero. 

Ci sono nazioni che sono state segnate in modo indelebile dall'occupazione straniera. Cuba è una di queste. L'Iran è un'altra, e a detta di moltissimi esperti internazionali, è più tollerabile una dittatura interna che non una mano occupante imposta da altri. L'evoluzione della politica cubana post-rivoluzione, purtroppo, è nota a tutti, sebbene debba essere contestualizzata con l'ingombrante presenza di un nemico situato a poche miglia dalla propria costa, che ancora oggi vergognosamente impone un embargo, impedendo di svolgere regolari attività commerciali con moltissime nazioni. Come se la minuscola Cuba fosse una minaccia per il "mondo libero".

La storia di Cuba è la sua rivoluzione. La storia dei Cuba passa per la baia dei Porci e quell'epico 17 aprile 1961, quando una piccola isoletta dimostrò a tutti che neanche la più grande potenza del mondo poteva decidere il loro destino. Sessant'anni dopo siamo ancora qui, a ricordare quella impresa. Fidel Castro e la sua Cuba si ribellarono a un destino che sembrava scritto e ancora oggi, pagano un prezzo altissimo per essersi opposti. Per molti popoli non è stato così. Molte nazioni sono state piegate e assoggettate a logiche economiche, ed è sempre stato così fin dalla notte dei tempi. A Cuba, in quei caldi giorni all'inizio di un decennio che avrebbe cambiato il mondo, andò diversamente. Noi lo sappiamo bene e ci piace ricordarlo ancora. 

Cuba, Baia dei Porci © Luca Ferrari
Cuba, Baia dei Porci - il Museo Giron © Luca Ferrari
Cuba, Baia dei Porci - pannelli esplicativi al Museo Giron © Luca Ferrari
Cuba, Baia dei Porci - la stampa locale al Museo Giron © Luca Ferrari
Cuba, Baia dei Porci - sale del Museo Giron © Luca Ferrari
Cuba, Baia dei Porci - memorabilia del Museo Giron © Luca Ferrari
Museo Giron (Baia dei Porci, Cuba) - filmato d'epoca © Luca Ferrari
Museo Giron (Baia dei Porci, Cuba) - la sala per proiezioni © Luca Ferrari
Museo Giron (Baia dei Porci, Cuba) - esterno © Luca Ferrari
Cuba, Baia dei Porci © Luca Ferrari

venerdì 28 dicembre 2018

Cuba, la rivoluzione fa sessanta

Museo de la Revolucion (L'Avana): pannello celebrativo del trionfo di Castro e i barbudos © Luca Ferrari
Il dittatore è in fuga, ha abbandonato Cuba. Trionfano i barbudos di Fidel Castro e Che Guevara. Sessant'anni fa, il 1 gennaio 1959, sull'isola caraibica trionfava la rivoluzione del popolo.

di Luca Ferrari

L'Avana, capodanno 1959. Lo spietato dittatore Fulgencio Batista è scappato. Ha abbandonato l’isola di Cuba. L’esercito ribelle guidato da Fidel Castro (1926-2016) è ormai alle porte. È il trionfo del popolo. È il trionfo di un pugno di uomini che con caparbietà, coraggio e tanti sacrifici, ha saputo ribaltare una situazione impossibile. Riprendersi ciò che era loro, strappando la propria terra all'avidità delle lobby straniere pullulanti d'azzardo e prostituzione. I barbudos hanno vinto. Davide ha sconfitto Golia. 1 gennaio 1959, una nuova alba per Cuba e forse per il mondo intero.

Fidel Castro, Che Guevara, Cammillo Cienfuegos. La storia rivoluzionaria di Cuba splende ancora nella memoria di quei tre indomiti condottieri. Uno dei rari casi in cui il potere si è inginocchiato all’iniziativa popolare, unita e decisa. Il dopo è un’altra storia e come in tutte le guerre civili si è passati alla resa dei conti (legale e non). Nato nella repressione più atroce dell’attacco fallito alla caserma Moncada, il Movimento del 26 Luglio riuscì nell’impresa di sradicare un potere che, forte dello spregiudicato appoggio a stelle e strisce, sembrava indistruttibile.

Oggi come allora si festeggia la fine di quell'epoca. Da allora sono passati sessant’anni e di quegli uomini che fecero la Storia è rimasto solo Raul Castro, fratello del Leader Maximo, scomparso due anni or sono. In queste sei decadi Cuba ne ha vissute parecchie. Dalla storica alleanza con l’Unione Sovietica di Nikita Chruščëv e la crisi dei missili, all’anonimato più totale fino all’apertura di Barack Obama che allentò le (ridicole) maglie  dell'embargo ancora in vigore, poi nuovamente soffocata dal nuovo e attuale inquilino della Casa Bianca, Donald Trump. Che destino attende ora l'isola caraibica?

Siamo arrivati al 2019 e di quell'atmosfera rivoluzionaria c'è ancora troppo o forse troppo poco, a seconda dell'aera geografica. Per noi occidentali sinistrorsi la rivoluzione cubana resta un mito. Un'idea che ha trovato la strada della concretezza (molto atipico per la Sinistra italiana), prendendo il toro (dittatore) per le corna e mandandolo al tappeto con decisione, sacrificio e, in quel caso, lotta armata. Ma più che la Storia, la rivoluzione Castrista rappresenta una speranza che continuerà a illuminare il cammino di chiunque voglia (davvero) sfidare e vincere qualsiasi tirannia.

Cuba è ancora un mondo a parte. Dei tanti reportage realizzati in giro per il mondo, il mio viaggio a Cuba resta senza dubbio quello che mi ha più lasciato stordito. Ancora oggi, nell'epoca dei social network, a parlare di Cuba vengono subito in mente loro, quei due lì. Fidel Castro e Che Guevara. Stratega e politico il primo, idealista e guerrigliero il secondo. Due leader per una stessa causa. I due leader che si conobbero in Messico dopo che Fidel era stato scarcerato per grazia di Batista (il più grande errore del presidente cubano, ndr), e da allora hanno marciato fianco a fianco fino alla liberazione dell'isola e il trionfale ingresso nella capitale.

Cuba cambiò il corso del proprio destino quando ancora doveva iniziare un decennio fondamentale per la cultura e la contestazione. Cuba era già avanti a tutti. Mentre le menti europee dovevano ancora attendere, i cubani lottarono per la vera libertà e dimostrarono al mondo intero che nessun dittatore è al sicuro se il popolo è unito. La lezione fu grandiosa. Quell'epopea fu incredibile, bissata poi dal contrattacco vincente all'invasione statunitense nella baia dei Porci, nell'aprile del 1961. Un altro trionfo di Fidel Castro. Un altro monito di Cuba contro il vicino e potentissimo aggressore: questa è casa nostra, guai a chi ce la tocca!

Nel terzo millennio Cuba è ancora un mondo a parte. Ogni nazione ha le sue guerre e la sua memoria eppure la vittoria di Fidel Castro sembra appartenere a noi tutti affamati di libertà, quasi più dei nostri stessi partigiani. Nella vittoria del Movimento del 26 luglio contro lo status quo sembra esserci una porzione di ciascuno di noi. Sessant'anni dopo, quell'impresa militare ci fa ancora ribollire il sangue fin fuori dagli occhi. Al posto di Fidel, la maggior parte di noi avrebbe abbandonato subito dopo il naufragio della leggendaria Granma, l'imbarcazione con cui Castro e i suoi seguaci "arrivarono" a Cuba dal Messico, accolti dalle mitragliate di Batista.

Camminare per l'Avana o farsi una nuotata nelle acque cristalline della baia dei Porci non è come passeggiare per Madrid o sguazzare nel mare salentino. Lì c'è qualcosa di più. Lì c'è un sentimento che ti scorre dentro tutto il perimetro umano-sentimentale, qualcosa che immagino sia molto simile a chiunque calpesti la sabbia della fredda costa normanna, lì dove gli Alleati sorpresero i Nazisti e diedero vita a una trionfale marcia di guerra abbattendo l'armada hitleriana. Quella però era la nostra guerra. L'odore di morte dei campi di sterminio era il nostro nemico da piegare, Cuba invece era lontana migliaia di miglia più un oceano.

Eppure è esattamente così. Sei lì, a Cuba. Entri nell'Hotel Nacional e vedi le foto appese dei barbudos. Guardi i loro volti, stanchi e felici. Guardi quelle facce e ti interroghi su come siano riusciti in una simile impresa. Dopo anni passati a nascondersi nella boscaglia, erano finalmente arrivati a L'Avana e qui soggiornarono in quelle prime e convulse giornate. Il dittatore, da bravo vigliacco quale sempre è, era scappato. Adesso toccava a loro rimettere le cose a posto. La Storia (obiettiva) riconoscerà meriti e demeriti. Anche la rivoluzione cubana avrà i suoi torti e farà i suoi sbagli, ma è stato un bene che ci sia stata. Ancora oggi ci inorgoglisce a parlare della rivoluzione cubana.

Ancora oggi, a distanza di sessant'anni dal trionfo definitivo dell'esercito guidato da Fidel Castro, la rivoluzione cubana ci fa ancora drizzare il sangue fin fuori dalle orbite. Nel 1959 il mondo era diversissimo da ciò che è oggigiorno. Il 1 gennaio 1959 il popolo di Cuba scrisse una coinvolgente pagina di Storia che ancora oggi è in grado di ispirare uomini e donne da ogni dove. Oggi, in un mondo prevaricato da politici senza ideologia e masse ipnotizzate da facili slogan, la sessantennale rivoluzione cubana ha ancora voglia di raccontarsi. Oggi, 1 gennaio 2019, la rivoluzione cubana si tramanda con i suoi eroi e le sue azioni. Noi siamo qui, mai sazi di quella epica impresa rivoluzionaria. Libertà o muerte!

Cuba, on the road verso la Baia dei Porci © Luca Ferrari
Cubal'Avana Hotel Nacional: in memoria del glorioso 1 gennaio 1959 © Luca Ferrari
Cubal'Avana Hotel Nacional: in memoria del glorioso 1 gennaio 1959 © Luca Ferrari
Museo de la Revolucion (L'Avana): gigantografia di Fidel Castro © Luca Ferrari
Museo de la Revolucion (L'Avana): sventola fiera una gigantesca bandiera di Cuba © Luca Ferrari

sabato 18 ottobre 2014

La mia incredula e stancante Cuba

Cuba, il mare cristallino della Baia dei Porci © Luca Ferrari
Natura. Città “rivoluzionarie”. Spiagge cristalline. Uno spiacevole incidente sull’Autopista. Pensieri irregolari. Il ritorno infinito. Questa è la mia Cuba.


Ci sono mete che ti restano dentro anche se per tutto il tempo che eri lì hai pensato spesso ad altro. Ci sono viaggi che hanno bisogno di tempo, solitudine e confronti per essere metabolizzati. Sono andato a Cuba con il mezzo rimpianto di aver rinunciato a tornare in Canada. Sono andato a Cuba già innervosito all'idea di non poter utilizzare internet quanto avrei voluto. Sono andato da Cuba senza essere toccato da alcuna rivelazione politica. Una volta tornato a casa però, nel mistero delle notti, mi sono accorto di averla sognanta assai. E fu così che iniziò un nuovo viaggio.

Cuba, i Caraibi. Un viaggio parecchio lontano. Fatto a scalo a Parigi da Venezia, restavano solo 9 ore prima di atterrare a l’Avana. Un volo a dir poco perfetto se non per gli ultimi 15 minuti dove l’abnorme massa nuvolosa sopra la capitale mi regala un susseguirsi di vuoti d’aria mai provati prima, e che spero vivamente di non ripetere più. Smaltito lo stress, il taxi mi porta nel cuore della zona antica, l’Avana Vecchia, presso una casa particular in precedenza prenotata.

L'odore sentito appena uscito all'aeroporto Josè Martì mi riporta all'India. Davanti a me un mondo di cui non so nulla. Il mio gps mentale è stordito. La stanchezza del volo e fuso orario sono solo un pretesto per giustificare questa valanga di sensazioni sballottate e sballottanti. Alzo gli scudi ma è tutto inutile. Ormai sono qua. Assorbo tutto quello che posso. Fino a qualche giorno fa ero che passavo di sala in sala alla Mostra del Cinema, ora sono alla scoperta di questo spicchio di America centrale.

È sabato sera e la gente se ne va in giro. Non solo turisti. Le pochi luci dei vicoli dell'antico quartiere aumentano la difficoltà ad appropriarsi di quanto mi si prospetta tutt'attorno. Affidato alle guide Routard mi siedo in un localino dove la mia compagna di viaggio beve il primo vero mojito (un consiglio a chi lo ordina in Italia, non ordinatelo. Non è neanche un suo lontano parente). Fatico a credere di essere dove la cartina mi indica. No, sul serio. Ho attraversato l'Atlantico e sono in un'isola che negli anni Sessanta stava per essere la miccia della III Guerra Mondiale.

Resto a l'Avana tre giorni prima di cominciare a scorrazzare tra l'ovest e l'est dell'isola. Il sole mi bastona per bene. Gli slogan della Rivoluzione dell'ormai lontano 1959 sono quasi soffocanti. Castro e il Che sono ovunque. La fiera bandiera cubana sventola gigante nel palazzo che ospita il Museo della Rivolucion. È un viaggio nella Storia di questo paese. Tra contraddizioni e bottiglie d'acqua vitali per proseguire il cammino, ogni notte guadagno un'ora sul jetlag che ancora mi condanna a una stanchezza non indifferente.

Abbandono la capitale. Sopperendo alla mancanza di una dettagliata cartina stradale e la quasi totale assenza di cartellonistica on the road (allucinante!), raggiungo tutte le mete grazie ai sempre disponibili cubani che indicano gentili la direzione richiesta. Passo così dalla spiaggia di Cayo Levisa (preclusa agli autoctoni) al verde sconfinato di Vinales, insieme ai campesinos. Un mondo dove i maialini sono alla stregua di animali domestici e non vivono nella sporcizia come invece accade troppo spesso in Occidente.

Giungo nella celeberrima Baia dei Porci, dove l'acqua è cristallina e giganteschi granchi attraversano la strada di notte. Faccio tappa a Playa Giron dove nell'omonimo museo viene raccontata con immagini, reperti e un cine-filmato l'aggressione americana a Cuba con annessa risposta vincente del popolo e Fidel. Poi ancora in viaggio, tra le stradine di Trinidad e i tramonti di Playa Ancon, fino a una nuova fuga verso le palme di Cayo Guillermo. Lì nel mezzo, una degna sosta al mausoleo di Che Guevara a Santa Clara.

Questi i nomi delle principali località che ho visitato. Lì nel mezzo, chilometri e chilometri di storia e vita vissuta. Temporali improvvisi di pochi e più minuti. Le sontuose aragoste mangiate nelle case particulares. La scoperta che in mancanza di bancomat (pochi), si ritira contante nelle agenzie di cambio con la carta di credito. Le strade (tutte) attraversate da pochi veicoli, moltissimi autostoppisti e carretti a cavallo anche in autostrada. Le silenziose zanzare della sabbia capaci di farti credere di avere la varicella. Tanta bellezza accumulata e il classico incidente di percorso che rischia di minare un intero viaggio.

Sono sull’Autopista (autostrada) al calar delle luci quando un poliziotto della stradale fa cenno di accostare. Vuoi la sorpresa, ci si dimentica di tirare il freno a mano e così ha inizio la telenovella. Il ligio agente ci fa presente che in caso di contravvenzione si perderebbe la caparra di 200 euro all’autonoleggio. Sarà vero? Non ne ho idea. Però è strano che dopo neanche due minuti gli stiamo così simpatici da meritarci una simile attenzione. Veniamo tenuti più di mezz’ora sul ciglio della strada sentendoci ripetere una costante tiritera in stile – io non vorrei farvi la multa, ma devo a meno che… –. Altro non aggiungo se non che non ci è stata fatta alcuna multa, mentre lui se n’è tornato a casa soddisfatto (prassi questa molto reiterata con le macchine dei turisti). Unico episodio spiacevole.

Qualche "problemino anche sulla strada del ritorno. Avvisati il giorno prima della cancellazione del volo (nonostante uno sciopero pazzesco andasse avanti da parecchio tempo), riusciamo a decollare con un solo giorno di ritardo destinazione Mosca (undici ore mezza di volo da l'Avana) e non Parigi, lì attendiamo quattro ore e quindi altre tre ore nel cielo per raggiungere Venezia. Un'odissea vera e propria. A dir poco esasusto e in condizioni fisiche assai precarie, continuo a ripetermi che d'ora in avanti mi concederò viaggi meno impegnativi. La bugia durerà poco anche se nemmeno una volta rientrato comprenderò appieno cosa mi stia crescendo dentro. Ancora ignoro che il mio viaggio sia ancora all'inizio.

Cuba è già alle spalle. Ogni giorno che passa mi sento sempre più stanco. Forse sto ancora girando per il mondo. Forse non sono mai davvero atterrato in Russia. Il velivolo dell'Areoflot ha gironzolato attorno alla Florida e poi mi ha fatto smontare chissà dove. Ma che sta succedendo? Non è solo il ricordo dell'orizzonte. Non è il sapore del pollo mangiato dentro un ananas a l'Avana sul Malecon (il lungomare) e non è nemmeno la meraviglia nell'avere ammirato i cavalli ovunque in un mondo traboccante di verde. Scopro i miei sogni scandagliare quanto appena vissuto. E rifarlo. Ancora e ancora. Più di quanto avrei mai potuto immaginare.

Oggi sono di nuovo lontano da lì, domani vorrei saperne di più.

Cuba, l'Avana © Luca Ferrari
Cuba, un delizioso piatto a l'Avana © Luca Ferrari
Cuba, l'Avana - Museo de la Revolucion:
(da sx) Che Guevara, Fidel Castro e Camilo Cienfuegos © Luca Ferrari
Cuba, lo sconfinato verde di Vinales © Luca Ferrari
Cuba, musicisti a Trinidad © Luca Ferrari
Cuba, l'arrivo a Santa Clara © Luca Ferrari
Cuba, le palme di Cayo Guillermo © Luca Ferrari

venerdì 11 aprile 2014

Vinitaly, Because the Wine


Verona, Vinitaly - la statua di Giulietta © Antonietta Salvatore
Una festa. Un business. Verona ospita. Giulietta benedice. Alla 48° edizione del Vinitaly tutti i partecipanti avranno qualcosa di unico da tramandare.

di Luca Ferrari

Contadini e business men. Mani sporche di terra, dita da smartphone. Vecchie tribù futuristiche si scambiano testimoni, assaggi e accordi commerciali. Le correnti, la pioggia, le nubi. Ogni elemento ha il proprio posto in ogni singola goccia di vino. Verona è sempre più bella quando si prepara per la più grande manifestazione vitivinicola, il Vinitaly. Che la storia allora venga scritta.

Di nuovo in treno. Settima presenza inframmezzata nel tempo. Parto da qui, perché anche il viaggio vuole la sua parte e se la gente normale traccia i propri bilanci/confronti con le feste, al sottoscritto capita di farlo quando ritorna a cadenza annuale a certi appuntamenti. E il Vinitaly ha sempre un posto speciale nella mia memoria. Niente musica quest'anno ad allietarmi l'attesa. Solo letture e qualche passaggio multimediale.

Il Veneto è preda di un sole caldo, più che mai estivo. Mi è capitato di avvertire una primavera inoltrata in altre edizioni, ma girare fino alla fine della mia permanenza scaligera in maniche corte e nulla di più, ancora no. Per lo meno fino a questo 2014. Il treno Regionale Veloce è puntuale, il problema adesso è la navetta. Nonostante l'ora tarda di arrivo (mezzogiorno passato), la bolgia è sempre lì. Il primo autobus è già strapieno e lo lascio andare. Il secondo ritarda. Qualcuno fa cassa comune e prende il taxi. Poi arriva, e stipato in fondo al mezzo pubblico, alla buon'ora riesco a partire e fare il mio ingresso negli immensi spazi di VeronaFiere.

Sto ancora cercando di sistemare la borsa del Vinitaly e subito lancio la mia sfida. Captare un odore. Seguire una traccia. Tra mille e più stimoli, i primi a cedere sono gli occhi. Attratti da quella doppia Toscana liquido-vinacea disegnata, cogliendo alla grande quel sentire la terra come un qualcosa di totale. Un'appartenenza pronta a confrontarsi, crescere e conoscere.

Provo a fermarmi. Cammino controcorrente. Contromano. Una donna si avvicina. Parla con il titolare dell'azienda. Si scambiano parole. Poi le porge il calice. Scende il vino. Il rosso-violaceo esce dai ranghi. Occupa l'intero spazio a disposizione. Le narici si lasciano invadere. Il palato si lascia dominare. Una punta frizzante. Un rintocco più deciso del solito. Un alfabeto sempre differente.

Mosto. Pasta. Olive assortite. Dolcetti preparati sul momento. La fantasia tinteggia anche le confezioni. Solo in un padiglione si potrebbe restare molto più di una giornata. Per avere scattato una foto mi sento dire – la prima fetta di salame al signore che mi ha fotografato –. Il rumore dei tappi stappati è una sinfonia, con i sommelier direttori d'orchestra.

Un'oliva gigante mi saluta. Vinitaly aperto al mondo con sempre più spazio. E se il reparto Sol era una prerogativa in particolare del Sud Italia, quest'anno sono arrivate anche Argentina, Grecia, Marocco, Malta, Croazia, Algeria e Repubblica Ceca.

Sto ancora vagando, come se mancasse qualcosa. Lo sento. Non è un vino. Non è un liquore. Non è una qualità di Extravergine né qualche specialità da qualche ridente campagna italiana. Sono le parole interiori. E lei, è lì per raccontarmi una storia. Giulietta. Lei, ambasciatrice di Verona. Statuaria. Si confida. Prendo appunti. Cosa ci siamo detti? Ve lo rivelerò  alla 49° edizione. Arrivederci al 22-25 marzo 2015.

Verona, a passeggio per il Vinitaly © Luca Ferrari
Verona, Vinitaly - lo stand della regione Toscana © Luca Ferrari
Verona, Vinitaly - degustazione © Luca Ferrari
Verona, Vinitaly - degustazione © Luca Ferrari
Verona, Vinitaly - lo stand della Puglia © Luca Ferrari
Verona, Vinitaly - degustazione in corso © Luca Ferrari
Verona, Sol&Agrifood © Luca Ferrari
Verona, Sol&Agrifood - degustazione d'olio © Luca Ferrari
Verona, Sol&Agrifood - degustazione © Luca Ferrari
Verona, Sol&Agrifood - un simpatico stand © Luca Ferrari
Verona, Sol&Agrifood - degustazione di salame © Luca Ferrari
Verona, Sol&Agrifood - degustazione di olive © Luca Ferrari
Verona, Sol&Agrifood - degustazione di olive © Luca Ferrari
Verona, Sol&Agrifood - destinazione pasta © Luca Ferrari
Verona, Sol&Agrifood - i biscotti cantucci © Luca Ferrari
Verona, Sol&Agrifood - il panficato © Luca Ferrari
Verona, Vinitaly - passione Maremma © Luca Ferrari
Verona, Sol&Agrifood - dolce degustazione © Luca Ferrari
Verona, Vinitaly - lo stand della regione Calabria © Luca Ferrari