martedì 9 settembre 2014

Chianti Classico, la vendemmia

Poggio Regini (Si), vendemmia © Luca Ferrari
Viaggio nella campagne senese di Castellina in Chianti per la millenaria festa della vendemmia. Armato di forbice, si sale e scende tra grappoli e vigne.

di Luca Ferrari

Su e giù per le viti a "mietere" vino di prima qualità. Fra le vene veraci e pulsanti del Chianti. Nella tenuta Poggio Regini. Attorno a succosi grappoli d’uva. Accanto alla quarantennale storia agreste di una famiglia. La terra inzuppa le scarpe. Il sole ritocca le gote. La geometria naturale di delicati acini verdi e bluastri scatta istantanee di passione immortale.

Abbandonata le sempre troppo affollate autostrade del nord, la superstrada Firenze – Siena mi appare come un ponte verso il paradiso. So che dovrò avere ancora un po’ di pazienza prima della mia uscita a Monteriggioni (Si). Lì potrò fermare il veicolo e farmi inghiottire dai verdi declivi. Nel territorio di Castellina in Chianti, in provincia di Siena, i proprietari della casa vinicola Poggio Regini mi stanno aspettando per un indimenticabile viaggio nel mondo della vendemmia.

Entrare nella campagna toscana, è come ricevere un abbraccio che ti carezza. Ti vizia, e non vorrebbe più lasciarti andare via.

L’incontro è cordiale. Maurizio, il più giovane della famiglia, m’introduce nella loro tenuta. Diciotto ettari di cui dodici coltivati a viti che produrranno poco meno di ottocento ettolitri di vino e daranno vita a Chianti Classico e Vin Santo. Per arrivare a ciò, in una settimana una parte sarà vendemmiata manualmente, un’altra con la macchina. Otto ore al giorno. 

“Nella vendemmia prima si stacca il grappolo, poi c’è la raspatura che consiste nel separare l’acino dal raspo”, mi spiega, “quindi, la pigiatura del chicco in modo da schiacciare e favorire l’estrazione di tannini e prendere tutto quello che c’è nella polpa e nella buccia. Una volta messa l’uva nel timo (vasca), si aggiungono lieviti in modo favorire una buona fermentazione”.

Terminata la raccolta dei grappoli, la vigna inizia il suo riposo vegetativo. Con l’arrivo dei freddi, fra novembre e dicembre, comincia la potatura. “È  una zona fortunata questa dal punto di vista climatico”, spiega il titolare, “l’unico grande nemico è la grandine. Per il resto, con un’attenta cura antiparassitaria non si corrono rischi”.

I giovani vendemmiatori intanto, sotto l’esperta guida dell’anziano della famiglia, tagliano e raccolgono. Ogni tanto si sente un tonante “No, quella vite”, e subito scatta la risata. Qualche dea della fertilità se ne sta in disparte. A osservare. A sorridere soddisfatta mentre gli esseri umani lavorano e celebrano una delle sue più apprezzate creature.

Verso mezzogiorno, tutti a tavola. A condividere un sontuoso pranzo (pasticcio di verdure, cinghiale arrostito cacciato dal nonno pochi giorni prima) ci sono, oltre ai vendemmiatori, tre generazioni di cultura contadina. Per un momento esco dal quadro a tinte calde e sbircio nel tangibile orizzonte. E quel fiore, che si sporge verso la brezza chiantigiana, sembra riassumere tutte queste vite. Un germoglio che continua a sbocciare.

Poggio Regini, la vendemmia © Luca Ferrari
Poggio Regini (Si) © Luca Ferrari
Poggio Regini (Si), viti © Luca Ferrari
Poggio Regini (Si) © Luca Ferrari
Poggio Regini (Si), grappolo d'uva © Luca Ferrari
Poggio Regini (Si), grappolo d'uva © Luca Ferrari
Poggio Regini (Si), vendemmiatori in azione © Luca Ferrari
Poggio Regini (Si), il frutto del raccolto © Luca Ferrari
Poggio Regini (Si), il frutto del raccolto © Luca Ferrari
Poggio Regini (Si), vendemmia © Luca Ferrari
Poggio Regini (Si), vendemmia © Luca Ferrari
Poggio Regini (Si), vendemmia © Luca Ferrari
Poggio Regini (Si), uve © Luca Ferrari
Poggio Regini (Si), campagna senese © Luca Ferrari

mercoledì 20 agosto 2014

Fremont (WA), centro dell'Universo

Fremont (Wa), statua di Lenin © Luca Ferrari
Viaggio sulle colline di Seattle. Nel quartiere di Fremont, centro dell’Universo, dove ha trovato casa un’imponente statua di Vladimir Lenin.

di Luca Ferrari

Le caffetterie a Downtown sono già lontane. Lo Space Needle è scomparso all’orizzonte. Scegliere tra i quartieri limitrofi della città di Seattle non è una decisione semplice, specialmente per la ricca varietà di parchi e zone verdi che la capitale dello stato di Washington mette a disposizione.

Chiacchierando con i residenti, molti di essi indicano  come meta imperdibile il quartiere di Fremont, situato lungo un braccio del canale fluviale del Lake Washington Ship Canal che collega le acque del suddetto con quelle salate dello stretto del Puget Sound.

Per chi arrivasse dal centro di Seattle, poco prima di attraversare il ponte che segna il passaggio al quartiere, c’è un eloquente cartello con la scritta “Welcome to FREMONT, Center of the Universe – Turn your watch ahead 5 minutes (trad. Benvenuti a Fremont, Centro dell’Universo – Metti l’orologio avanti di 5 minuti).

La fermata dell’autobus mi lascia poco più avanti dell'avviso. Il tempo di pochi passi e all’incrocio tra la N 36th Street e l’arteria principale che attraversa il nucleo cittadino, la Fremont Ave, trovo quello che non avrei mai immaginato d’incontrare negli Stati Uniti: una statua bronzea di Vladimir Lenin. Alta alto cinque metri e realizzata dallo scultore bulgaro Emil Venkov su commissione dell'allora governo cecoslovacco.

La caratteristica principale di questa opera fu il tentativo da parte dell’artista di non raffigurare Lenin come un filosofo o educatore come avviene nella maggioranza dei casi, ma come un rivoluzionario. La statua venne collocata a Poprad (oggi in Slovacchia) nel 1988, poco prima della Rivoluzione di Velluto che segnò la fine del Sistema Comunista in Cecoslovacchia.

A trasportarla negli Stati Uniti fu un docente d’inglese, Lewis E. Carpenter che lavorava nella suddetta città europea, e trovandola in un deposito di rottami, ne riconobbe l’alto valore artistico e così iniziò un lungo lavoro burocratico per farle varcare l’oceano, cosa che gli costò la somma di tredicimila dollari.

Nel 1995 la statua venne collocata a Seattle, nel quartiere di Fremont. Per chi fosse interessato è ancora in vendita. Lasciata la Storia, prima di partire alla scoperta dei vari pianeti verdi della cosiddetta Emerald City (Seattle), merita “una doppia attraversata” l’omonimo Fremont Bridge.

Il tempo di passare dall’altra parte e per rientrare nel cuore di Fremont e devo attendere qualche minuto. Il ponte infatti lo vedo aprirsi in due per far passare qualche alta imbarcazione. Da collega a collega, da qui mi godo la visuale del George Washington Memorial Bridge, chiamato anche Aurora Bridge, situato lungo la State Route 99 (Aurora Avenue North) tra i quartieri di Queen Anne and Fremont appunto.

Welcome to Fremont © Luca Ferrari
Fremont (Seattle, Wa) - murales © Luca Ferrari
 Seattle (Wa), Fremont Bridge © Antonietta Salvatore
 Seattle (Wa), Fremont Bridge © Antonietta Salvatore
Fremont © Luca Ferrari
Fremont (Seattle, WA) - la statua di Lenin © Luca Ferrari
Fremont (Seattle, WA) - George Washington Memorial Bridge © Luca Ferrari
Fremont (Seattle, WA) - George Washington Memorial Bridge © Luca Ferrari

mercoledì 23 luglio 2014

Isola di Brac, dolce Croazia

Croazia - Povlja (isola di Brac) © Antonietta Salvatore
Viaggio in Croazia lungo la costa dalmata fino all'isola di Brac, in quel di Povlja. Dove l'acqua è cristallina e ogni pianta guadagna nuovi zenit.

di Luca Ferrari

Il mare è lo stesso. I fondali, diversi. Bassi e sabbiosi sulle spiagge veneziane, profondi e rocciosi quelli croati. Un centinaio di miglia adriatiche circa per passare dalla Serenissima a Rovigno, nell’Istria sud-occidentale, in Croazia. Una piccola quattro ruote mi aspetta, destinazione l'isola di Brac.

Mi metto in moto con ancora il piacere di toccare una vera cartina stradale. Sarebbe molto più affascinante compiere l’intero viaggio lungo la costa ma c’impiegherei molto più tempo. Parlo per esperienza personale. Spendo le mie prime kune (valuta locale, dove 1 euro corrisponde circa a 7 delle suddette) per i caselli autostradali, arrivando prima a Rijeka, quindi torno sulla statale fino a Senj, viaggiando in parallelo all’isola di Krk.

Arrivato nel capoluogo della contea della Lika, situato al 45° parallelo della costa Dalmata, torno nuovamente sulla highway croata, per un lungo assolo d’asfalto fino a Split (Spalato) dove ad attendermi c’è un grande traghetto che mi condurrà nell’isola di Brac (Brazza). Seppur le vetture superino a destra e a sinistra, il viaggio è piacevole. Arrivato al porto, e caricata nel gigantesco ferryboat la macchina, mi posso finalmente rilassare.

Il blu del mare, come un sole d’inverno, inizia a farmi rilasciare ogni tossina. Sale la voglia di perdersi nella natura dell’isola. Bastano dieci minuti e il faro di Spalato mi appare sempre più sbiadito. Attracco a Supetar quando ormai le luci del tramonto si sono appena congedate. Per mia fortuna le segnalazioni sull’isola sono precise. Passato per Nerezsica, Praznica e Selca, finalmente posso girare per Povlja, quasi all’estremità nord-orientale dell’isola di Brac. Di fronte al Parco naturale del Biokovo, sulla riviera di Makarska.

Se di quest’isola adriatica è celebre la spiaggia del Corno d’Oro a Bol, è ancora più rinomato il sottosuolo calcareo incredibilmente bianco, materiale questo che è stato utilizzato per alcuni e importanti edifici: dal Palazzo dell’Imperatore romano Diocleziano (244 – 311) nella vicina Spalato, alla ben più lontana Casa Bianca di Washington DC, casa del presidente degli Stati Uniti d’America.

Circondata da numerose insenature (Travna, Smokvica, Ticja luka, Tatinja, Luke), Povlja è un placido ecosistema umano-maturale, tra piccoli negozi, piante di fichi e olivi dappertutto, e la chiesa di san Giovanni Battista, formata sulle rovine della basilica paleocristiana.

Sprazzi di spiagge ciottolose. Resti della presenza romana. Insenature selvagge dove dare sfogo alla propria curiosità esploratrice. Moli gentili da dove partire per continue e sempre fresche nuotate. Mondi subacquei a cui regalare i propri occhi, e da cui farsi viziare per il maggior tempo possibile

Una farfalla si è appena posata su una foglia di fico. Un non so quale tipo di pesce si sia appena dileguato vedendo arrivare un gigantesco corpo umano completo di maschera e boccaglio. Prima di arrivare a Povlja pensavo non ci fosse più spazio per divagare sulle proprie espansioni emotive. Poi ho visto l’acqua profonda. Blu e cristallina. Ho cercato lo scoglio più alto e da lì mi sono buttato. Sono ancora lì. Anche quando me ne sarò andato. Sarò ancora lì.

Croazia - Povlja (isola di Brac) © Antonietta Salvatore
Croazia - sul traghetto da Spalato a Sumartin (Isola di Brac) © Antonietta Salvatore
Croazia - sul traghetto da Spalato a Sumartin (Isola di Brac) © Antonietta Salvatore
Croazia - sul traghetto da Spalato a Sumartin (Isola di Brac) © Antonietta Salvatore
Croazia, Povlja © Antonietta Salvatore
Croazia, Povlja © Antonietta Salvatore
Croazia, Povlja © Antonietta Salvatore
Croazia - il mare di Povlja © Luca Ferrari
Croazia - il mare di Povlja © Antonietta Salvatore
Croazia - il mare di Povlja © Antonietta Salvatore
Croazia - il mare di Povlja © Luca Ferrari

mercoledì 16 luglio 2014

Alpe di Nemes, le caprette ti fanno ciao

Alpe di Nemes (Bz), capre al pascolo © Luca Ferrari
Teneri belati. Il foraggio fresco di montagna. Una delicata passeggiata con una gamba in Veneto e una in Alto Adige, destinazione Alpe di Nemes.

di Luca Ferrari

All’ombra dell’imponente Col Quaternà (2505 m s.l.m.), fra gli ampi spazi verdi attorno l’Alpe di Nemes (Bz), raggiungibile quest'ultima sia da Moso e Sesto, o dal più vicino (per chi arriva dal Comelico) Passo Monte Croce. Un viaggio senza pretese nè eroisimi. Un viaggio per sentire la Natura dentro di noi.

Partendo da una "tolkeniana" terra di mezzo, proprio al confine tra Veneto e Trentino-Alto Adige, serve solo una mezz'ora di passeggiata per conquistare la malga alpina dove condividere le gustose specialità tirolesi insieme al belato di un branco di capre. Passeggiando sui prati insieme a muli giocosi. Incamminandosi verso il bosco per poi dirigersi verso la Malga Coltrondo.  

Alpe di Nemes (Bz) © Luca Ferrari
Alpe di Nemes (Bz), muli in malga © Luca Ferrari
Alpe di Nemes (Bz), mulo in malga © Luca Ferrari
Alpe di Nemes (Bz), capre in malga © Luca Ferrari
Alpe di Nemes (Bz), capre in malga © Luca Ferrari
Alpe di Nemes (Bz), capre in malga © Luca Ferrari
Alpe di Nemes (Bz), capre in malga © Luca Ferrari
Alpe di Nemes (Bz), capre al pascolo © Luca Ferrari
Alpe di Nemes (Bz), capre al pascolo © Luca Ferrari
Alpe di Nemes (Bz), capre al pascolo © Luca Ferrari

mercoledì 9 luglio 2014

Ortisei, la IV Biennale Gherdëina

Bruno Walpoth - Laura non c'è
Alla IV edizione della Biennale Gherdëina (Ortisei, 18 luglio – 1 ottobre 2014) sale in cattedra la scultura del Legno/Wood/Holz/Lën.

di Luca Ferrari

Dimore fatate da sottobosco. Sentieri verticali dove la resina tramanda lo sguardo del sole. Movimenti solidificati. Mongolfiere e radici metaforiche. Lo  sguardo silenzioso nell’atto anche di un solo pensiero. Tavolozza naturale per le infinite forme dell’anima più naturale. Il legno ferma il tempo e la materia. Legno/Wood/Holz/Lën indiscusso protagonista a Ortisei (Bz) alla IV Biennale Gherdëina.

In Trentino-Alto Adige giovedì 17 luglio sarà inaugurata la quarta edizione della Biennale Gherdëina di Ortisei, un evento curato da Luca Beatrice. Le opere, esposte nell'area pedonale del comune bolzanese, sono state tutte realizzate in legno appositamente per la Biennale. La scelta del materiale per la produzione, unico vincolo imposto agli artisti, intende creare un forte collegamento con le radici più tradizionali della Val Gardena, dando allo stesso tempo al legno dignità di elemento legato all'arte contemporanea e non solo all'artigianato.

Ai più esperti artisti del legno Bruno Walpoth e Willy Verginer, si sono affiancati colleghi alla prima esperienza col materiale. È il caso per esempio dello scultore inglese residente a Udine, Chris Gilmour, artefice di una sorta di ritrovamento di casse contenenti materiali archeologici sopravvissuti a chissà  quale trafugamento o disastro naturale.

La meranese Sonia Leimer residente a Vienna invece, ha optato per una rivisitazione concettuale di un tema della tradizione gardenese, quella dei banchi di lavoro. Il pittore-scultore milanese Velasco Vitali infine, si è lanciato in gigantesca mongolfiera in legno e ferro.

“Per la prima volta, da quando la Biennale esiste, è stato chiesto agli artisti di elaborare un progetto di scultura pubblica in grado di interagire con il centro storico di Ortisei, dialogando con cittadini e turisti senza imporsi come un segno calato dall’alto” ha sottolineato il curatore Luca Beatrice.

“Non c’è stato vincolo di soggetto né di tema” ha poi proseguito, “ma il materiale utilizzato doveva essere il legno, anche se non tutti gli artisti sono degli autentici specialisti. Il legno si porta dietro un valore aggiunto per il suo incredibile rapporto col passato. Racconta storie. Non respinge lo sguardo. Incita al tatto e al calore. Sono sempre più numerosi gli artisti internazionali che lo utilizzano per le proprie sculture o all’interno delle proprie installazioni”.

Chris Gilmour – "3 bikes” (installation)
Sonia Leimer – Ohne Titel(Versenkbares Objekt)
Willy Verginer – Ortisei
Velasco Vitali – Aria, work in progress