mercoledì 13 maggio 2020

Galles, il cuore agreste del Regno Unito

Corwen (Galles), la placida Rug Chapel © Luca Ferrari
Viaggio nel nord-ovest britannico. Dalle le atmosfere agresti di Hawarden al fascino delle ferrovie d’epoca di Llangollen, passando per la quiete cittadina di Corwen.

di Luca Ferrari

Il fumo caldo del treno d’epoca di Llangollen. L’atmosfera Halloweeniana nella campagna di Hawarden. Lo sguardo ferreo e ribelle dell’ultimo autoctono principe di Galles, Owain Glyndwr. Il silenzio agreste poco fuori Corwen, nel Denbigshire, assaporando la spiritualità quasi monastica della Rug Chapel. Sono da poche ore nell’ovest britannico, e vorrei che questo viaggio, vissuto insieme a Il Reporter - raccontare oltre confine, non dovesse finire mai.

Con una guida sotto mano le strade del Galles sono alla portata di mano, anche se noto una certa difficoltà nel leggere i cartelli, molto spesso coperti dalla fitta vegetazione. Sbarcato all’aeroporto John Lennon di Liverpool, indicazioni e piantina non coincidono, e finisce che attraverso tutta la città dei Beatles, per poi trovare la direttrice (Manchester) per il nord-ovest della piccola nazione britannica.

Miglio dopo miglio, il panorama si fa sempre più verde. Ad Hawarden, nel Flintshire, l’atmosfera è già rurale. Una breve sosta alla all’Estate Farm Shop mi dà la possibilità di scoprire un mondo coltivato a zucche e mele, con la vendita di prodotti naturali, mentre poco dietro la fattoria, pecore, pollame e maiali, razzolano e grufolano beati, protetti dalla presenza di un imponente castello nel vicino panorama.

Riprendo l’autoveicolo dove ammetto, la guida col volante a destra si rivela più semplice del previsto, direzione Llangollen (nome che viene dal suo fondatore, il monaco Collen, vissuto nel VII secolo), piccola cittadina del nord-est, nel Denbigshire, attraversata dal fiume Dee e sorta sul bordo delle Berwyn mountains, ma celebre soprattutto per il treno d’epoca che parte dalla stazione. Un Orient Express in miniatura tra boschi e pascoli ovini.

Un breve tour per la città, con tappa davanti ai due adiacenti monumenti per i caduti dei due conflitti mondiali, mi conduce al museo di storia cittadina. Un tuffo nel passato tra foto in bianco e nero delle vecchie locomotive, interessanti ed esplicative schede sugli edifici religiosi della città e nei dintorni, reperti geologici, e perfino un vecchio arcolaio.

Abbandonato Llangollen, continuo sulla strada statale. Sempre più verso ovest, fino ad assaporare l’aria di Corwen, ad appena undici miglia dall’altra cittadina. A troneggiare, la statua in ferro dell’ultimo discendente della casa reale dei Powys, Owain Glyndwr (1359 – 1416), nonché l’ultimo nativo gallese a ricoprire il ruolo di Principe del Galles.

La spada rivolta verso il cielo. La visiera dell’elmo aperta. Uomo e cavallo, entrambi con la bocca aperta. È un grido di rivolta. Fu Owain a guidare alla carica il proprio popolo contro il potere inglese di Enrico IV prima, ed Enrico V poi. Fu questa l’ultima volta che il Galles si ribellò contro la Corona Britannica. A guardarlo troppo, si ha come l’impressione che potrebbe tornare in vita da un momento all’altro una nuova carica.

Imbocco ancora la strada fino a raggiungere, poco fuori Corwen, prima la Llangar Church, e poi la Rug Chapel, quest’ultima costruita nel 1637 dal Colonnello William Salusbury (1580-1660). Il poco traffico gallese è ancora più evanescente in questa zona, tutta alberata. Apro lentamente il cancelletto e le mie scarpe paiono quasi affondare tanto è soffice l’erba. Poi è silenzio. La piccola cappella in pietra con la campana in cima domina il contenuto quadro floreale. Il resto, è quiete di campagna gallese.

Galles, la cittadina di Llangollen © Luca Ferrari
Galles, la cittadina di Llangollen © Luca Ferrari
Galles, il museo di Llangollen © Luca Ferrari
Galles, il museo di Llangollen © Luca Ferrari
Galles, il treno d'epoca di Llangollen © Luca Ferrari
Galles, il treno d'epoca di Llangollen © Luca Ferrari
Corwen, la statua equestre di Owain Glyndwr © Luca Ferrari
Corwen (Galles), attorno alla Rug Chapel © Luca Ferrari
Corwen (Galles), il panorama rurale-ovino attorno la Rug Chapel © Luca Ferrari

venerdì 1 maggio 2020

Vappu, che la festa in Finlandia abbia inizio

Una originale delizia dolciaria finlandese © Luca Ferrari
Buona festa di Vappu a tutta l'amichevole Finlandia, con questa delizia direttamente dal Parco Nazionale di Oulanka, nell'incantevole regione dalla Lapponia.

venerdì 17 aprile 2020

Forks, i nativi Quileute di Twilight

Forks, i nativi Quileute © Luca Ferrari
Viaggio a Forks (Wa), la cittadina americana dove Stephenie Meyer vi ambientò la teen-serie Twilight. A passeggio con invisibili vampiri e i nativi "licantropeschi" Quileute.

di Luca Ferrari

Foresta. Strane presenze. Creature umane e soprannaturali. Ho attraversato l'Oceano Atlantico per atterrare nella mia tanto agognata Seattle, nel nordovest degli Stati Uniti. Il golfo del Puget Sound, lo Space Needle, il Pike Place Market, tutto visto. Mi sono spinto perfino nel vicino comune di North Bend, dove il regista David Lynch ambientò la serie cult Twin Peaks. Non era abbastanza. Non poteva essere abbastanza. Poco distante dalla cosiddetta Città-Smeraldo (appellaivo più che meritato, ndr), c'è un'altra piccola località balzata alle cronache per il suoi trascorsi letterario-cinematografici. Il suo nome è Forks (Wa), lì dove la scrittrice Stephenie Meyer diede vita al teen-drama Twilight.  

Il viaggio crepuscolare di Bella (Kristen Stewart), Edward (Robert Pattinson) e Jacob (Taylor Lautner) adesso è parte di me. Sono dentro quella stessa sceneggiatura naturale che mi portò davanti al grande schermo a più riprese (più per il paesaggio per l'appunto che per la storia in sé, ndr). Grazie a eloquenti cartelli e avvisi, Forks è una placida cittadina con richiami costanti a vampiri e licantropi. Poco fuori dal centro abitato si può perfino verificare il proprio stato vampiresco con un divertente test. E se poi si dovesse essere davvero fortunati, si possono fare anche degli incredibili incontri. A me è accaduto, e non per scherzo.

Gironzolando per le stradine, ancora non immaginavo che di lì a poco mi sarei trovato dinnanzi a qualcosa di così "letterariamente" realistico. Appurata l’assenza di canini aguzzi (però era giorno, e chissà se il rosso delle fragole di tre superbi pancake non celasse qualche singolare ingrediente di analoga colorazione), le strade si fecero sempre più chiassose. Il traffico bloccato. Una parata. E che parata, parliamo del 4 luglio. Dopo i reduci di guerra, studenti e bambini, ecco sfilare una tipica canoa trainata da un mezzo a ruote. A bordo, i rappresentanti della tribù dei nativi americani Quileute (lo capisco dalla scritta posta nella parte inferiore del mezzo). Il nome lo ammetto, mi dice qualcosa.

Lo avevo già sentito. Ma si, Jacob Black della saga di Twilight. Oh my god! Possibile che di fronte a me ci siano proprio loro, quelle creature che a piacimento assumono sembianze lupine? Due giovani ragazze native (lupine?) mi vedono con lo sguardo mezzo incredulo e cordiali puntano il dito nella mia direzione, salutandomi simpaticamente. Meglio non dire loro che ho sempre parteggiato per i vampiri Cullen, chissà la reazione. E se in quel gesto ci fosse stato ben altro, magari un rituale magico? A presto allora, forse un giorno, da qualche parte nei misteriosi boschi di Forks, i nostri sentieri si rincontreranno.

L'ingresso nella cittadina di Forks (Wa, USA) © Luca Ferrari
L'ingresso nella cittadina di Forks (Wa, USA) © Luca Ferrari
L'ingresso nella cittadina di Forks (Wa, USA) © Luca Ferrari
A Forks (Wa, USA) si può misurare il livello vampiresco © Luca Ferrari
I nativi Quileute sfilano per le strade di Forks (Wa, USA) © Luca Ferrari
I nativi Quileute sfilano per le strade di Forks (Wa, USA) © Luca Ferrari
L'oscurità avvolge la cittadina di Forks (Wa, USA) © Luca Ferrari

giovedì 26 marzo 2020

Nuova Scozia, la fiabesca Parrsboro

La magia di Parrsboro (Nuova ScoziaCanada© Luca Ferrari
Viaggio "nell'Acadiana" Parrsboro, in Nuova Scozia (Canada orientale) tra storia geologica, verde e un soggiorno degno delle fiabe più autentiche.

di Luca Ferrari

Ci sono posti che si possono scoprire solo viaggiando e magari si pernotta perché ospitano luoghi di interesse, come il Fundy National Park (New Brunswick). Ma questa è solo la punta dell'iceberg, ci sono posti che nonostante tutto questo, si scoprono essere scrigni di placida dolcezza. E' esattamente ciò che mi è successo nel corso del mio reportage nel Canada Orientale, arrivando e soggiornando nel piccolo comune di Parrsboro, in Nuova Scozia. Un soggiorno vissuto in una mini-casetta dal sapore fiabesco, e dove il risveglio è stato salutato da una sontuosa colazione a base (ovviamente) di pancake, tra i migliori mangiati in Canada.

Abitata in principio dai nativi Mi'kmaq e in seguito colonizzato dagli Acadiani francesi, la cittadina è diventata una meta turistica, favorita anche dallo scenario marino della Baia (Atlantica) di Fundy. Lungo la Main Street si incontrano le principali attività commerciali e la chiesa locale. Da una parte, il colore dei mirtilli, dall'altra l'aria salmastra che lambisce la propria anima. A Parrsboro ho aperto la mia valigia, richiudendola l'indomani con una stretta al cuore e una speranza di farci un giorno ritorno. Magari insieme a qualcuno di più.

Sulla strada in Nuova Scozia (Canada) verso Parrsboro © Luca Ferrari
Il verde di Parrsboro (Nuova ScoziaCanada) © Luca Ferrari
La Baia di Fundy nei pressi di Parrsboro (Nuova ScoziaCanada© Luca Ferrari
La Baia di Fundy nei pressi di Parrsboro (Nuova ScoziaCanada© Luca Ferrari
Il centro di Parrsboro (Nuova ScoziaCanada© Luca Ferrari
La chiesa di Parrsboro (Nuova ScoziaCanada© Luca Ferrari
Alcune ghiotte specialità di Parrsboro (Nuova ScoziaCanada© Luca Ferrari

giovedì 12 marzo 2020

In stalla con le mucche di Castelfondo

Castelfondo (Tn), mucche mangiano il fieno nella stalla © Luca Ferrari
Montagna è sinonimo di mucche. Se d'estate s'incontrano placide nei pascoli, d'inverno le possiamo andare a trovare nelle stalle, come a Castelfondo (Tn) in Val di Non.

di Luca Ferrari

Un lungo e fragoroso muggito. Il ruminare incessante. Un odore agreste circondato dalle vette sempre più vicine. Un piccolo break dalla vita cittadina mi ha portato fino alla provincia autonoma del Trento, destinazione Castelfondo (948 m s.l.m.). Un territorio questo dove la mela è l'indiscussa regina e nelle latterie sociali si respirano aromi caseari di rara intensità. A regalarci questi ultimi (e altri) prodotti, loro, le mucche. Il simbolo per eccellenza delle montagne, qualunque esse siano. Che si tratti delle Tre Cime di Lavaredo, il Monte Civetta o il Monte Ozolo, è inimmaginabile pensare a uno scenario in quota senza il campanaccio delle mucche al pascolo.

Venire in Trentino d'inverno è sinonimo di passeggiate immacolate e sciate senza fine. Questa volta però ho potuto fare un altro tipo d'incontri grazie al sincero impegno dei titolari dell'Agritur Melango di Castelfondo dove le colazioni sono esattamente come potete leggere nelle recensioni: fenomenali! E' stato grazie al loro interesse che ho potuto visitare una vicina stalla, facendo così la conoscenza di amici pennuti (oche, galline), disturbare tanti amichevoli bovini intenti a mangiare il foraggio e ciliegina sulla torta, godere dell'inimitabile panorama in compagnia di alcuni magnifici esemplari equini.

Non sono nato in campagna e non ho mai frequentato ambienti simili eppure quell'odore di fieno e letame mi è sempre piaciuto. Nel vedere tutte queste mucche, da giornalista cinematografico quale sono, la mia memoria mi ha subito riportato a quei due, Peppone e Don Camillo. Nel bel mezzo di un "siopero" agricolo, i due rivali politici lavorano come muli tutta la notte e di nascosto, per salvare le vacche della stalla più grande del paese, concludendo l'immane fatica con una briscolata e un secchio (intero) di latte ciascuno, brindando all'amicizia e alla propria coscienza, quella che la voce fuori campo dei film tramandava, avesse sempre l'ultima parola nei due personaggi. E così in effetti era ed è ancora oggi qui, a Castelfondo, nella Val di Non.

Il placido panorama di Castelfondo (Tn) © Luca Ferrari
Castelfondo (Tn), una stalla © Luca Ferrari
Alcuni "abitanti pennuti" di Castelfondo (Tn) © Luca Ferrari
Alcuni "abitanti pennuti" di Castelfondo (Tn) © Luca Ferrari
Castelfondo (Tn), un vitellino si disseta nella stalla © Luca Ferrari
Castelfondo (Tn), mucca mangia il fieno nella stalla © Luca Ferrari
Castelfondo (Tn), mucche mangiano il fieno nella stalla © Luca Ferrari
Castelfondo (Tn), mucche mangiano il fieno nella stalla © Luca Ferrari
Castelfondo (Tn), mucche mangiano il fieno nella stalla © Luca Ferrari
Castelfondo (Tn), mucche mangiano il fieno nella stalla © Luca Ferrari
Castelfondo (Tn), mucche mangiano il fieno nella stalla © Luca Ferrari
Castelfondo (Tn), mucche mangiano il fieno nella stalla © Luca Ferrari
Castelfondo (Tn), mucche si riposano nel tepore bovino della stalla ... culo muuuuuu © Luca Ferrari
Castelfondo (Tn), mucche mangiano il fieno nella stalla © Luca Ferrari
Castelfondo (Tn), cavallo © Luca Ferrari
Castelfondo (Tn), cavalli al pascolo © Luca Ferrari
Castelfondo (Tn), cavalli al pascolo © Luca Ferrari

mercoledì 11 marzo 2020

Emergenza coronavirus, Easyjet impara da Ryanair

Passeggeri salgono a bordo di un volo Ryanair © Luca Ferrari
In piena emergenza da coronavirus dove l'Italia intera è stata dichiarata zona rossa, ci sono compagnie aeree che operano con intelligenza, altre che fanno quasi finta di niente.

di Luca Ferrari

"Poiché gli aeroporti sono operativi, i nostri termini e condizioni generici rimangono invariati, il che significa che le nostre tariffe sono non rimborsabili. Se cancella, perde, o non prende il suo volo, purtroppo non potremo offrirle un rimborso totale." Sono queste le scarne parole che a oggi, mercoledì 11 marzo, la compagnia aerea Easyjet si è limitata a pubblicare sul proprio sito come se niente di "eccezionale" stesse accadendo in Italia e nel resto del mondo. In altre parole, se il mio Governo mi impedisce di spostarmi, sono affari miei e loro non ci possono fare niente. Legittimo e legale sia chiaro, ma molto poco lungimirante.

Una linea comune per le compagnie low-cost? Non esattamente. La diretta rivale più nota e spesso anche più criticata, l'irlandese Ryanair, sta tenendo un comportamento del tutto differente, a cominciare dal proprio sito internet, letteralmente rivoluzionato proprio pr fare fronte a una situazione che non ha precedenti in Europa. Come si può vedere dagli screenshot pubblicati in questa pagina, si offrono tutte le informazioni del caso ma soprattutto sezioni specifiche per spostare il proprio volo e/o chiedere il rimborso. Qualcosa di cui al momento non v'è traccia sul sito della compagnia britannica.

Sebbene non sia un cuore impavido quando si tratti di stare sopra le nuvole, nella mia vita ho preso aerei su aerei, per lavoro e piacere. Dal mercato ittico norvegese di Bergen ai colori (autentici) del Holi Festival a Bangalore, in India, passando per il nordovest americano in quel di Seattle con tappa nella vicina Vancouver (British Columbia - Canada), per poi toccare mete più calde come la Grecia sull'isola di Creta e la verdissima Cuba. Ancora nord del mondo con viaggi meravigliosi in Finlandia, terra generosa e di rara bellezza, e un incredibile reportage nel Canada orientale fino a raggiungere la bellissima Prince Edward Island. Non dico di essere come il George Clooney di Tra le nuvole, ma di miglia in cielo ne ho consumate assai.

All'11 marzo 2020 non sappiamo ancora quanto ancora andrà avanti l'emergenza da COVID-19 e nemmeno quando noi passeggeri riprenderemo confidenza con i voli e le prenotazioni. In questa situazione, invece di far aspettare, aspettare e aspettare ancora con scarsa assistenza, negando addirittura rimborsi nonostante l'assicurazione stipulata preveda la quarantena (ma solo se prescritta da medico e non dal proprio Governo), si potrebbero studiare soluzioni alternative e più intelligenti per il proprio business. Così agendo invece, Easyjet si sta comportando da ottusa burocrate. Un modus operandi che gli farà perdere di sicuro molti clienti, a cominciare dal sottoscritto.

La scarna comunicazione di Easyjet aggiornata all'11 marzo 2020 
La scarna comunicazione di Easyjet aggiornata all'11 marzo 2020 
Il sito modificato di Ryanair in seguito alla diffusione del coronavirus

Il sito modificato di Ryanair in seguito alla diffusione del coronavirus
Il sito modificato di Ryanair in seguito alla diffusione del coronavirus
Lassù nel cielo... © Luca Ferrari

domenica 9 febbraio 2020

Memoria-Ricordo, il silenzio degli assassini

Venezia, le nuove pietre d'inciampo in memoria delle vittime del nazifascismo © Luca Ferrari
Non c'è vera MemoriaRicordo senza l'ammissione dei morti altrui. Solo chi non teme il proprio passato è in grado di raccontare, guardare avanti e scrivere nuove pagine di Storia.

di Luca Ferrari

Come si può cambiare una Società, un Governo e uno Stato se le Istituzioni per prime non insegnano ad assumersi le proprie responsabilità? Il 27 gennaio scorso si è celebrata la Giornata della Memoria della Shoah ebraica. Il 10 febbraio è invece il Giorno del Ricordo delle vittime italiane delle foibe, eppure da parte del Bel paese nessuna parola né giornata celebrativa sulle stragi commesse è in calendario. Mattanze avvenute nel passato recente sotto la truce bandiera fascista che portò a omicidi di massa in Africa e nella vicina Jugoslavia, la cui reazione poi condusse anche allo spaventoso abuso della violenza "rossa" sui civili italiani. Così facendo si alimenta solo la macchina dell'odio e del rancore. A quando un autentico e costruttivo mea-culpa delle nazioni?

In Italia stiamo assistendo a una delle più squallide manifestazioni sociali, il tentativo di riabilitare il fascismo, privandolo delle responsabilità su massacri e torture più efferate tanto entro i patrii confini e (da sempre) oltre mare. Da cosa nasce tutto questo? Da più fattori, è indubbio, ma ci sono due elementi chiave: l'ignoranza, ovviamente, e il totale disinteresse per ciò che è stato compiuto oltre confine prima e durante la II Guerra Mondiale in Spagna, nella ex-Jugoslavia, in Grecia, in Eritrea, Somalia ed Etiopia. Tutte cose di cui la nostra storiografia, spesso accusata di essere di Sinistra, ha colpevolmente contribuito a far ammuffire nell'oblio, dando troppo spazio all'orrore di Hitler e molto meno a quello di Mussolini,

E qui arriviamo alle foibe dove ribolle il sangue italico. Gli italiani sparano contro Tito in modo indiscriminato del tutto incuranti del contesto storico in cui si sviluppò. Tito si è macchiato di crimini orrendi contro la popolazione italiana? Assolutamente si. Ripeto una seconda volta. Domanda: Tito si è macchiato di crimini orrendi contro la popolazione italiana? Risposta: Assolutamente si, e questa è una verità storica e inattaccabile. Seconda domanda: Tito si è svegliato un giorno e ha deciso di massacrare gli italiani? Assolutamente, no. Ripeto una seconda volta. Tito si è svegliato un giorno e ha deciso di massacrare gli italiani? Assolutamente, no.

Perché l'Italia non vuole considerare di essere stata la causa dell'odio slavo verso se stessa? Perché se lo facesse dovrebbe fare i conti con i peggiori crimini compiuti da Mussolini ed è appurato, che l'Italia i conti col fascismo non li fece mai. Forti dell'alleanza col Terzo Reich, Benito Mussolini e le camice nere si sono macchiate dei crimini più atroci contro la popolazione slava che, è bene ricordarlo, Adolf Hitler voleva sterminare alla stregua degli ebrei. E quando le sorti del II conflitto mondiale iniziarono a mutare, i partigiani jugoslavi ci ripagarono con la stessa tragica e sanguinosa moneta (pugnale) di morte. Non guardando in faccia nessuno. Era sufficiente essere italiano per essere ammazzato.

Nella riscrittura oltraggiosa della Storia, il redivivo fascismo italiano si è impropriamente la memoria delle foibe, cercando così di portare acqua al proprio mulino. Se la cosa non è passata/sta passando del tutto inosservata dalle nostre Istituzioni, aldilà del confine il pensiero non è "esattamente il medesimo. Il Ministero degli Esteri di Lubiana infatti, ha protestato ufficialmente contro la falange nera casa poundusando la tragedia degli italiani dell’Istria, della Dalmazia e di altri luoghi poi diventati jugoslavi per legittimare la loro fedeltà a Mussolni (cit. Globalist).

"Sulle tragiche vicende istriane dell'immediato dopoguerra ormai è data per assodata la vulgata che si trattò di un'aggressione dettata da un'ideologia, quella comunista, portatrice di odio e lutti" analizza lo il veneziano Sergio Torcinovich, "Gli avvenimenti del Dopoguerra non furono determinati tanto dal furore ideologico, quanto da una vendetta etnica: gli italiani, fascisti e anche non, impedirono agli slavi d'Istria di vivere liberamente, di coltivare le loro tradizioni e di esprimersi nella loro lingua. Gli studi condotti una decina e più d'anni fa da un gruppo misto di storici italiani, sloveni e croati vengono del tutto bellamente ignorati al solo fine di squallida, quanto anacronistica, propaganda politica. L'Italia pare accorgersi con decenni di ritardo della questione ma non si interroga perché lo fa solo ora: nel dopoguerra c'era la consapevolezza dei crimini compiuti dal nostro esercito e dai fascisti nelle terre istriane a danno degli slavi e quindi conveniva mantenere un profilo basso per non dovere fare i conti con la nostra storia, tutt'altro che onorevole."

Inutile continuare a parlare di Memoria se ci riguarda solo da vittime. Per cambiare una Nazione bisogna ricordare anche i nostri giorni da spietati assassini. Qualcosa per altro comune a tutto il vecchio Continente, capace, sì, di piangere sui fumi dei forni nazisti, ma ignorare del tutto le stragi (in certi casi diventate genocidi, ndr) commessi in Africa e Sud America, e quel che è peggio mistificandoli e chiamandoli "colonialismo." Una delle pagine più nere (in tutti i sensi) del "colonialismo italiano" è rappresentato dal Generale Rodolfo Graziani, capace di usare perfino i gas nervini contro la popolazione, pratica per altro proibita dalla Convenzione di Ginevra che l'Italia aveva sottoscritto.

Il Berlusconismo, oggi addirittura rimpianto per l'esasperata ostilità al Movimento 5 Stelle (che avrà i suoi torti e pagherà per la sua scarsa preparazione politica ma prima di fare i danni compiuti dall'ex-cavaliere, ne deve mangiare) e la scomparsa della Sinistra italiana hanno portato all'assurdo più offensivo, dove la nipote del Duce, Alessandra Mussolini, si è permessa di attaccare pubblicamente Liliana Segre, deportata ad Auschwitz, per essersi espressa contro la proposta (vergognosa) del Comune di Verona di intitolare una strada a Giorgio Almirante (fondatore del partito fascista Movimento Sociale Italiano), accusandola di istigare all'odio contro il fascismo. Avete letto bene, una donna marchiata dalle leggi razziali è stata accusata di proferire parole contro una dottrina basata sulla soppressione delle libertà e l'omicidio.

A distanza di 75 anni della fine della II Guerra Mondiale il Vecchio Continente piange ancora le vittime del nazismo. Istituisce doverose celebrazioni, eppure con lo stesso zelo è incapace di dare un autentico valore umano e istituzionale alle vittime che loro hanno partorito. Perché non lo fanno? Per timore di ripercussioni politico-economiche? Peggio. La paura d'istruire davvero la propria gente a farsi carico delle proprie responsabilità. Piangere le proprie vittime è un atto doveroso. Piangere i morti causati dalle nostre azioni è un atto dovuto e rivoluzionario capace di riscrivere le Storie dell'Umanità. Piangere i propri caduti è insito nella natura dell'essere umano. Piangere anche quelli che sono stati nostri nemici o comunque avversari, è un atto di onore e rispetto da parte di una civiltà che non teme il proprio passato ed è già proiettata in un nuovo e migliore futuro.

Pljevlja (Montenegro), civili slavi stanno per essere fucilati dall'Esercito Italiano