A ridosso del natale 2003 m'imbarcai all'aeroporto Amerigo Vespucci di Firenze destinazione New York Newark. Neanche tre anni dopo me ne andai dalla parte opposta del mondo, a Bangalore in India. Passa qualche anno durante i quali scorrazzo su e giù per l'Europa a fare reportage di viaggi ed eccomi di ritorno negli States, raggiungendo questa volta l'amata Seattle. Quindi pochi mesi fa riprendo il largo dei cieli, sbarcando sull'isola di Cuba. Liberi di non credermi, ma io non amo “particolarmente” volare. Anzi, ogni volta che parto sono alquanto nervoso.
Lo stress della partenza. Le prime curve nel cielo. I classici vuoti d'aria più o meno forti in fase di atterraggio. Volare non è per tutti. Per la maggioranza non è nulla di diverso dal prendere un autobus, per altri è uno sforzo immane (celebre il caso dell'ex-calciatore olandese Dennis Bergkamp che ne aveva talmente paura che non partecipò mai alle trasferte dell'Arsenal qualora si prendesse un aereo). Io appartengo alla terra di mezzo. Volo, e tanto anche, ma sono sempre alquanto agitato.
La mia attività di trasvolatore dei cieli è iniziata nel giugno 1992, atterrando nell'allora aeroporto Punta Raisi di di Palermo, oggi dedicato ai giudici assassinati Paolo Borsellino e Giovanni Falcone. Già, Falcone. Arrivai in Sicilia neanche un mese dopo la sua barbara esecuzione di stampo mafiosa. Un viaggio che non potrò mai dimenticare, così come la partenza per la quale rischia lo svenimento da paura quando il velivolo di Alitalia prese possesso dello spazio celeste.
Fu l'inizio. In fede però posso confidarvi che nei voli successivi non ebbi lo stesso reverenziale timore del vuoto, anzi. Di nuovo Sicilia, Parigi e la mia prima calata londinese furono ordinaria amministrazione. Quel viaggio in terra britannica (cui ne seguirono negli anni altri dieci fino a oggi), settembre 1997, fu a dir poco tranquillo. Prima volta che viaggiavo da solo in aereo. Da solo si fa per dire, pieno di cassette a farmi godere il panorama senza problemi dall'alto.
Passano cinque anni e ritorno nella City ma qualcosa s'è alterato. Volare inizia a prendere nuovi significati. E se qualcosa dovesse andar male? Ho solo 26 anni ma di vita alle spalle sento di averne già abbastanza e posso dire che non tutto è andato come avrei voluto. Stesso pensiero che provo ancora oggi, dodici anni dopo (così evito di scrivere l'età che ho, ndr). Ogni volta che parto sono sempre (troppo) a pensare a tutto quello che non ho ancora fatto.
Non che con la macchina alle volte non ci sia da sudare, ma è la sensazione dell'alto che mi manda nel panico (idem in seggiovia). E poi c'è la partenza. Quella è la peggio. Quando il velivolo è ormai lanciato sul rettilineo sono sempre a ripetermi nella mente “... e tira su questa carabattola!”. Poi a un certo punto sento che i miei piedi non hanno più la percezione della terra e allora, con lo sguardo dalla parte opposta al finestrino, rimango in costante stato di stress fino a quando il mezzo non si piazza orizzontale e le hostess iniziano a servire la “merenda” il che significa che è tutto tranquillo. Più o meno. Apro il pc. Mi guardo qualcosa, scrivo.
Ma in quei momenti di panico sotto silenzio, che si può fare? Nulla. Ormai si è in ballo. Spremuto fino al limite del consentibile l'mp3, passo poi a qualche giochetto mentale. Da irriverenti ma rilassanti frasi di amici, a ricordi più variegati passando per citazioni cinematografiche, su tutte le gag dei due trasvolatori Bud Spencer e Terence Hill alle prese con lo spiritosone di turno che li sbeffeggia per essere precipitati vivi nel Maranhão (rif. Più forte ragazzi). E ovviamente non manca il classico, “se tutto va bene, prometto che cambierò...” sapendo benissimo che ciò non accadrà.
Ultimo acquisto delle mie tecniche anti-stress, immaginare una persona che m'ispira fiducia che mi parli nella mente garantendomi che tutto andrà bene, che non stiamo facendo nulla di particolare e così via. Chi è questa persona? L'ex-allenatore di calcio Fabio Capello. Non l'ho mai incontrato e non sono tifoso né del Milan né della Juventus, ma quell'uomo mi ispira sicurezza e durante il decollo me lo immagino sempre accanto a me mentre mi parla come se non stessimo facendo nulla di speciale. Capello, un cui articolo trovai proprio sul giornale il giorno che partii per un reportage nel Canada orientale.
Perché volo allora? Perché insisto a prendere aerei? Sarò banale ma la risposta è la più semplice che esista: perché voglio vedere il mondo e anche se fremo ogni volta che inizio anche solo a pensare alle ore che passerò sopra le nuvole, non voglio certo lasciare alle mie paure il gusto di impedirmi di muovermi. Perché poi, una volta atterrato e con in bocca quella fantastica sigaretta post-stress (dicasi la cicca della vecchia, prossimamente su questo magazine), ti rendi sempre conto che ne è valsa davvero la pena. If you want to be hero, well just follow me...
Più forte ragazzi, a ripensarci in volo ci si rilassa...
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