domenica 9 febbraio 2020

Memoria-Ricordo, il silenzio degli assassini

Venezia, le nuove pietre d'inciampo in memoria delle vittime del nazifascismo © Luca Ferrari
Non c'è vera MemoriaRicordo senza l'ammissione dei morti altrui. Solo chi non teme il proprio passato è in grado di raccontare, guardare avanti e scrivere nuove pagine di Storia.

di Luca Ferrari

Come si può cambiare una Società, un Governo e uno Stato se le Istituzioni per prime non insegnano ad assumersi le proprie responsabilità? Il 27 gennaio scorso si è celebrata la Giornata della Memoria della Shoah ebraica. Il 10 febbraio è invece il Giorno del Ricordo delle vittime italiane delle foibe, eppure da parte del Bel paese nessuna parola né giornata celebrativa sulle stragi commesse è in calendario. Mattanze avvenute nel passato recente sotto la truce bandiera fascista che portò a omicidi di massa in Africa e nella vicina Jugoslavia, la cui reazione poi condusse anche allo spaventoso abuso della violenza "rossa" sui civili italiani. Così facendo si alimenta solo la macchina dell'odio e del rancore. A quando un autentico e costruttivo mea-culpa delle nazioni?

In Italia stiamo assistendo a una delle più squallide manifestazioni sociali, il tentativo di riabilitare il fascismo, privandolo delle responsabilità su massacri e torture più efferate tanto entro i patrii confini e (da sempre) oltre mare. Da cosa nasce tutto questo? Da più fattori, è indubbio, ma ci sono due elementi chiave: l'ignoranza, ovviamente, e il totale disinteresse per ciò che è stato compiuto oltre confine prima e durante la II Guerra Mondiale in Spagna, nella ex-Jugoslavia, in Grecia, in Eritrea, Somalia ed Etiopia. Tutte cose di cui la nostra storiografia, spesso accusata di essere di Sinistra, ha colpevolmente contribuito a far ammuffire nell'oblio, dando troppo spazio all'orrore di Hitler e molto meno a quello di Mussolini,

E qui arriviamo alle foibe dove ribolle il sangue italico. Gli italiani sparano contro Tito in modo indiscriminato del tutto incuranti del contesto storico in cui si sviluppò. Tito si è macchiato di crimini orrendi contro la popolazione italiana? Assolutamente si. Ripeto una seconda volta. Domanda: Tito si è macchiato di crimini orrendi contro la popolazione italiana? Risposta: Assolutamente si, e questa è una verità storica e inattaccabile. Seconda domanda: Tito si è svegliato un giorno e ha deciso di massacrare gli italiani? Assolutamente, no. Ripeto una seconda volta. Tito si è svegliato un giorno e ha deciso di massacrare gli italiani? Assolutamente, no.

Perché l'Italia non vuole considerare di essere stata la causa dell'odio slavo verso se stessa? Perché se lo facesse dovrebbe fare i conti con i peggiori crimini compiuti da Mussolini ed è appurato, che l'Italia i conti col fascismo non li fece mai. Forti dell'alleanza col Terzo Reich, Benito Mussolini e le camice nere si sono macchiate dei crimini più atroci contro la popolazione slava che, è bene ricordarlo, Adolf Hitler voleva sterminare alla stregua degli ebrei. E quando le sorti del II conflitto mondiale iniziarono a mutare, i partigiani jugoslavi ci ripagarono con la stessa tragica e sanguinosa moneta (pugnale) di morte. Non guardando in faccia nessuno. Era sufficiente essere italiano per essere ammazzato.

Nella riscrittura oltraggiosa della Storia, il redivivo fascismo italiano si è impropriamente la memoria delle foibe, cercando così di portare acqua al proprio mulino. Se la cosa non è passata/sta passando del tutto inosservata dalle nostre Istituzioni, aldilà del confine il pensiero non è "esattamente il medesimo. Il Ministero degli Esteri di Lubiana infatti, ha protestato ufficialmente contro la falange nera casa poundusando la tragedia degli italiani dell’Istria, della Dalmazia e di altri luoghi poi diventati jugoslavi per legittimare la loro fedeltà a Mussolni (cit. Globalist).

"Sulle tragiche vicende istriane dell'immediato dopoguerra ormai è data per assodata la vulgata che si trattò di un'aggressione dettata da un'ideologia, quella comunista, portatrice di odio e lutti" analizza lo il veneziano Sergio Torcinovich, "Gli avvenimenti del Dopoguerra non furono determinati tanto dal furore ideologico, quanto da una vendetta etnica: gli italiani, fascisti e anche non, impedirono agli slavi d'Istria di vivere liberamente, di coltivare le loro tradizioni e di esprimersi nella loro lingua. Gli studi condotti una decina e più d'anni fa da un gruppo misto di storici italiani, sloveni e croati vengono del tutto bellamente ignorati al solo fine di squallida, quanto anacronistica, propaganda politica. L'Italia pare accorgersi con decenni di ritardo della questione ma non si interroga perché lo fa solo ora: nel dopoguerra c'era la consapevolezza dei crimini compiuti dal nostro esercito e dai fascisti nelle terre istriane a danno degli slavi e quindi conveniva mantenere un profilo basso per non dovere fare i conti con la nostra storia, tutt'altro che onorevole."

Inutile continuare a parlare di Memoria se ci riguarda solo da vittime. Per cambiare una Nazione bisogna ricordare anche i nostri giorni da spietati assassini. Qualcosa per altro comune a tutto il vecchio Continente, capace, sì, di piangere sui fumi dei forni nazisti, ma ignorare del tutto le stragi (in certi casi diventate genocidi, ndr) commessi in Africa e Sud America, e quel che è peggio mistificandoli e chiamandoli "colonialismo." Una delle pagine più nere (in tutti i sensi) del "colonialismo italiano" è rappresentato dal Generale Rodolfo Graziani, capace di usare perfino i gas nervini contro la popolazione, pratica per altro proibita dalla Convenzione di Ginevra che l'Italia aveva sottoscritto.

Il Berlusconismo, oggi addirittura rimpianto per l'esasperata ostilità al Movimento 5 Stelle (che avrà i suoi torti e pagherà per la sua scarsa preparazione politica ma prima di fare i danni compiuti dall'ex-cavaliere, ne deve mangiare) e la scomparsa della Sinistra italiana hanno portato all'assurdo più offensivo, dove la nipote del Duce, Alessandra Mussolini, si è permessa di attaccare pubblicamente Liliana Segre, deportata ad Auschwitz, per essersi espressa contro la proposta (vergognosa) del Comune di Verona di intitolare una strada a Giorgio Almirante (fondatore del partito fascista Movimento Sociale Italiano), accusandola di istigare all'odio contro il fascismo. Avete letto bene, una donna marchiata dalle leggi razziali è stata accusata di proferire parole contro una dottrina basata sulla soppressione delle libertà e l'omicidio.

A distanza di 75 anni della fine della II Guerra Mondiale il Vecchio Continente piange ancora le vittime del nazismo. Istituisce doverose celebrazioni, eppure con lo stesso zelo è incapace di dare un autentico valore umano e istituzionale alle vittime che loro hanno partorito. Perché non lo fanno? Per timore di ripercussioni politico-economiche? Peggio. La paura d'istruire davvero la propria gente a farsi carico delle proprie responsabilità. Piangere le proprie vittime è un atto doveroso. Piangere i morti causati dalle nostre azioni è un atto dovuto e rivoluzionario capace di riscrivere le Storie dell'Umanità. Piangere i propri caduti è insito nella natura dell'essere umano. Piangere anche quelli che sono stati nostri nemici o comunque avversari, è un atto di onore e rispetto da parte di una civiltà che non teme il proprio passato ed è già proiettata in un nuovo e migliore futuro.

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venerdì 31 gennaio 2020

Botter, il restauro è di famiglia

L'esperto restauratore Memi Botter
A dieci anni dalla scomparsa di Memi Botter, il Comune di Treviso lo ricorda con una serie di iniziative dedicate anche alla sua famiglia di artisti e restauratori.

di Luca Ferrari

"La dinastia dei Botter, attivissimi restauratori specializzati nell’affresco, iniziò nel pieno
Ottocento con Girolamo, proseguì lungo buona parte del Novecento con suo figlio Mario,
giungendo infine a varcare il nuovo millennio col nipote Memi" analizza Andrea Bellieni
Direttore e Conservatore del Museo Correr di Venezia, "Nel corso della presentazione, si ripercorrerà cronologicamente questo lungo arco temporale ritrovando le tracce del loro operare Sarà così interessante verificare in concreto la perfetta e consonante aderenza degli esiti via via conseguiti dai Botter con l’evoluzione italiana e internazionale del gusto, dell’estetica e, quindi, della teoria e della tecnica del restauro."

Treviso omaggia dunque una dinastia di uomini scesi che hanno fatto del restauro un'autentica missione di vita: Omaggio ai Botter. La rassegna ripercorre le tappe fondamentali dell'amorevole recupero del patrimonio artistico cittadino nato da passione e competenze non comuni, costantemente alimentate dai Botter nel succedersi delle generazioni. Interventi operati nella città di Treviso, ma anche a Padova, in tutto il Veneto e in Friuli-Venezia Giulia. Pannelli esplicativi, dedicati a ognuno degli artisti e restauratori, consentiranno di conoscere meglio e in dettaglio l’attività di ognuno. Nelle numerose vetrine saranno visibili sia gli attrezzi utilizzati durante le operazioni di stacco, recupero e restauro degli affreschi. I documenti, i rilievi, i disegni, gli acquerelli dell’epoca dedicati allo studio e alla progettazione degli interventi.

A tramandare l'arte del restauro delle pitture murali, Memi lo passò alle tante generazioni dell'Università Internazionale dell'Arte di Venezia. "Quello con Botter fu il mio ultimo anno all'Uia" ricorda un ex-studente, quando ancora la scuola era strutturata con la formula dei due anni obbligatori più uno facoltativo dove si sceglieva una seconda specializzazione, "Scelsi proprio l'affresco e scoprii un mondo incredibile. Prima ancora di cimentarmi col cantiere didattico, lo realizzammo noi un affresco nel laboratorio della scuola. Non ero troppo dotato nel disegno e le raffigurazioni classiche non furono così impeccabili. Di ben altro livello quelle impressioniste che il docente definì naif."

Curatore della mostra e ultimo della famiglia in ordine temporale, il figlio di Memi, Guglielmo Botter, anch'esso ex-docente Uia e artista specializzatosi nella pittura a china dei paesaggi urbani statunitensi. Di lui saranno esposti i disegni e le realizzazioni attinenti l’iconografia della città di Treviso, insieme all’esperienza degli ultimi anni all’estero. La mostra Omaggio ai Botter è aperta ogni sabato e domenica fino al 29 febbraio (incluso) ore 15.00-18.00. Ingresso libero.

Affreschi realizzati all'Università Internazionale dell'Arte di Venezia  © Luca Ferrari
Affreschi & lavori realizzati all'Università Internazionale dell'Arte di Venezia  © Luca Ferrari
Affreschi realizzati all'Università Internazionale dell'Arte di Venezia  © Luca Ferrari
Affresco realizzato all'Università Internazionale dell'Arte di Venezia © Luca Ferrari

domenica 12 gennaio 2020

Buon compleanno, Ateneo Veneto


Il più antico istituto culturale attivo a Venezia. L’agorà del dibattito pubblico in città. Il 12 gennaio 1812, con decreto di Napoleone Bonaparte, nacque l'Ateno Veneto. Auguri!

di Luca Ferrari





Lo spot istituzionale dell'Ateneo Veneto

domenica 22 dicembre 2019

A natale mi hanno "regalato" il Servizio Civile

Venezia, l'ingresso sotto le Procuratie Nuove della Soprintendenza © Luca Ferrari
A ridosso del natale 1997 iniziai il Servizio Civile alla Soprintendenza del Veneto Orientale. Un'esperienza formativa cruciale vissuta insieme a persone straordinarie.

di Luca Ferrari

Venezia, lunedì 22 dicembre 1997. Dopo una lunga attesa di quindici mesi sono atteso in Soprintendenza dei Beni Artistici e Storici del Veneto Orientale, a Venezia, per il mio primo giorno da obiettore di coscienza e dunque impegnato nel Servizio Civile (era la prassi “punitiva” del distretto militare farti attendere fino all’ultimo, ndr). All’epoca non era un diritto, e tutti coloro che facevamo questa scelta, erano visti un po’ come i rinnegati della Patria. Aldilà di qualche esperienza precedente, adesso sarei stato impegnato per la prima volta per 10 mesi consecutivi nel mondo del lavoro.

“A Natale, tutti a lavorare.” Era questo il titolo polemico che in principio avrei dovuto dare a un nuovo articolo contro il mondo dello sfruttamento lavorativo. Dopo le "tante parole" che si beccano le ferie estive, mi chiedevo come mai non sentissi i medesimi strali per il periodo natalizio. Il pensiero resta ma invece di esprimerlo in toni acidi e guerrafondai, mi comporterò bene e voglio fare un regalo. Vi racconterò una fiaba. Una fiaba autentica. La storia del mio primo impiego di lavoro a tempo determinato. Quanto sia stato importante per la mia crescita persone grazie soprattutto alle persone con cui ho lavorato.

C'era una volta un giovane veneziano di 21 anni senza alcuna idea di cosa fare della sua vita. Allo Stato questo però non importava granché e gli imponeva una scelta: servizio militare o, se fossi stato accettato, Servizio Civile. Contrario in modo totale alle armi e per nulla incline ai loro rigidi protocolli, scelsi la seconda via. All'epoca una scelta del genere rendeva difficile trovare lavoro poiché veniva quasi sempre richiesto il “milite esente.” Poi finalmente, a ridosso del natale 1997, arrivò la fatidica chiamata e il 22 dicembre mi presentai per il mio primo giorno alla Soprintendenza dei Beni Artistici e Storici del Veneto Orientale, i cui uffici si trovavano a pochi passi dal Museo Correr, sotto le Procuratie Nuove in Piazza San Marco (oggi ha cambiato sede ma il nome scritto sul campanello è rimasto).

Fui subito scherzosamente etichettato come il "disertore". Caso curioso, nonostante avessi cambiato casa già da due anni abbondanti, la lettera della chiamata era arrivata al vecchio indirizzo e dunque non mi presentai il giorno effettivo ma solo tre lune dopo ricevetti una telefonata dal Distretto Militare che mi fece presente l’accaduto. Chiarito l'equivoco, mi presentai. Paure? Certamente. Dubbi? Tantissimi. Pensieri? Pure troppi. Fin dal primo giorno però rovai un ambiente inimmaginabile a cominciare dalla presenza dei miei simili. La Soprintendenza infatti pullulava di obiettori, oltre 15.

Io venni assegnato all’ufficio Vincoli dove erano presenti un capoufficio e due signore con mansioni rispettivamente di segretaria ed elaborazione varia di pratiche/accoglienza-vigilanza). Insieme a loro, un altro obiettore con cui condivisi la scrivania per poco tempo e nel frattempo m’insegnò il mestiere prima del suo ritorno alla libertà. Quell’ufficio e quelle due donne in particolare furono emblematiche. Non farò certo uno scoop dicendo che molti obiettori in tutta Italia lamentassero talvolta un certo sfruttamento del loro impiego (specie per quello che venivamo pagati). Loro no. Mai. Mi assegnavano i compiti da fare ma mai si approfittarono della mia condizione. La dimostrazione di come si possa lavorare, anche tanto e bene, senza sfruttare il prossimo.

Archivi. Termini tecnici. Il giorno del pubblico, il più divertente poiché venivano studenti (e soprattutto studentesse, ndr ) a chiedere informazioni. Fotocopie di tonnellate di documenti facendo la massima attenzione a farle veloci e in modo impeccabile. Le prime pause pranzo con la "pappa" preparata e portata da casa (anche questo fa parte del mondo del lavoro). Le riunioni di noi obiettori. L'imparare a comportarsi anche quando la luna era proprio storta. Quattro stagioni intere vissute lì dentro. Inverno, primavera, estate e autunno. Un percorso di lavoro e vita intenso. Cinque giorni la settimana dal lunedì al venerdì. Io solitamente arrivavo sempre sul presto, verso le 8 del mattino per poi sbaraccare poco dopo le ore 15. Insomma, una giornata lavorativa completa.

I legami con alcuni dei colleghi obiettori crebbero. Mese dopo mese si formarono “vincoli” di amicizia continuati anche una volta usciti. Lo stesso anche con persone più grandi, a cominciare proprio dalle mie due colleghe di ufficio che in certi momenti furono a dir poco materne. Non fu un’annata semplice quella per il sottoscritto, ma proprio per niente, eppure giorno dopo giorno il mio ufficio Vincoli divenne un porto sicuro dove imparare qualcosa, riflettere su me stesso e gettare le fondamenta per un domani che reclamava spazio su di un passato troppo opprimente. Senza rendermene conto, quella prima lunga esperienza avrebbe incarnato molti dei miei ideali che ancora oggi definiscono la mia persona e il mio approccio al mondo del lavoro: onestà, impegno e collaborazione.

1997-98, i miei dieci mesi di Servizio Civile all’ufficio Vincoli della Soprintendenza dei Beni Artistici e Storici del Veneto Orientale a Venezia furono una bella fetta di vita. Arrivato nel periodo natalizio, in uno dei primissimi giorni, non appena uscito, sentii propagarsi attraverso gli altoparlanti disposti nella piazza la commovente Happy Xmas (War is Over) di John Lennon. Rimasi lì ad ascoltarla, in piazza San Marco. A very Merry Christmas/ And a happy new year/ Let's hope it's a good one/ Without any fear cantava il musicista di Liverpool a cui la sua città natale gli ha dedicato l’aeroporto. Oggi ci sono nuovamente passato e quelle parole ancora risuonano nei miei ricordi e nel mio cuore di obiettore.

Merry Christmas by John Lennon

Venezia, l'ingresso sotto le Procuratie Nuove della Soprintendenza © Luca Ferrari
Venezia, il campanello della Soprintendenza © Luca Ferrari
Venezia, le Procuratie Nuove a fianco di Piazza San Marco © Luca Ferrari
Souvenir dall'ufficio Vincoli della Soprintendenza con post-it e date d'inizio/fine servizio © Luca Ferrari
Venezia, piazza San Marco e  Procuratie Nuove (sx) © Luca Ferrari
Venezia, Procuratie Nuove piazza e campanile S. Marco nella nebbia © Luca Ferrari
Venezia, basilica e campanile S. Marco da sotto i portici © Luca Ferrari
Gli affettuosi messaggi di fine servizio per l'obiettore di coscienza... Luca Ferrari

martedì 10 dicembre 2019

Le candele lidensi dei Diritti Umani

Lido di Venezia, i diritti umani illuminano il mondo © Luca Ferrari
Le candele accese. Noi lì. Chi per lavoro. Chi per puro spirito di partecipazione. Chi per studio. Comunque lì, insieme a scandire i Diritti Umani durante la Giornata Internazionale.

di Luca Ferrari

Lido di Venezia, 10 dicembre 2008. Una serata indimenticabile vissuta in prima persona insieme agli studenti del Global Campus of Human Rights e raccontata l'indomani sul giornale Granviale.it, poi pubblicata nel libro in prosa "La fabbrica dei giorni". Quella era l'epoca da inviato al Lido per il Corriere Veneto e la Granviale Editori dell'allora direttore Giacomo Baresi. Quello era il tempo della Municipalità Lido-Pellestina con presidente Giovanni Gusso e il suo Consiglio con i vari Angelo Ghezzo, Giannandrea Mencini, Stefano Stipitivich, Sergio Torcinovich. Quella era la Municipalità dell'ufficio cultura di Anna Grandi.

Il 10 dicembre è la Giornata Internazionale dei Diritti Umani e oggi lo è ancora. Si parla poco dei diritti umani. Se ne parla quasi ed esclusivamente quando vengono violati nel modo peggiore e solo per alcune categorie (nazioni). Le costanti violazioni dei diritti umani da parte di governi filo-occidentali come Arabia Saudita e Yemen interessano molto meno dell'Iran che anche al minimo starnuto viene visto come minaccia per la sicurezza del mondo intero. Non parliamo poi della Cina che praticamente nessuno osa criticare rischiando il taglio degli accordi commerciali.

Ma senza andare a scomodare mondi (non così) lontani, in questi ultimi mesi (anni) abbiamo assistito a una vergognosa crociata europea di indifferenza verso i cosiddetti "immigrati", clandestini o migranti, etc. appellativi che non fanno altro che spogliarli della loro identità perché queste persone hanno un nome, un cognome e una famiglia. E pensate, c'è perfino chi crede siano loro i responsabili del nostro mal-tutto. Si, avete capito bene. Gente in fuga da realtà difficili vengono incolpati di decenni di corruzione italiana, poteri mafiosi e interessi. Per loro quasi nessuno smuove la parola "diritti umani." Si condannano le deportazioni naziste ma queste persone valgono meno di zero.

Come ogni minimo pezzo del nostro ecosistema, nel 2019 anche i diritti umani sono diventati opinioni, e dunque risentono di interessi e ristrettezza mentale. Quella sera nel 2008, al Lido di Venezia soffiava una gelida bora ma il calore che si sprigionò fu qualcosa di indescrivibile. C'erano le istituzioni locali. Avrebbero anche potuto fare a meno di venire, ma vennero. C'era gente del posto. C'erano studenti venuti da ogni parte del mondo. C'era anche l'informazione, lì, per raccontare qualcosa di davvero prezioso. Non era facile tenere accese le candele, esattamente come lottare per i diritti umani, ma ci riuscimmo.

Nella placida isola del Lido di Venezia furono letti gli articoli in lingue differenti e quella gelida brezza, molto poeticamente sembrava essere lì per una ragione. Portarli ovunque, e così è stato.

Lido di Venezia, i diritti umani illuminano il mondo © Luca Ferrari
La Fabbrica dei Giorni, libro edito dalla Granviale Editori
La Fabbrica dei Giorni, il racconto della Giornata Internazionale dei Diritti Umani al Lido di Venezia
Lido di Venezia, tutti insieme per i diritti umani © Luca Ferrari

venerdì 15 novembre 2019

Un aiuto subito per Pellestrina

Uno scorcio lagunare sull'isola di Pellestrina (Ve) © Luca Ferrari
Venezia in ginocchio per l'acqua alta. Il mondo guarda e si mobilita. All'isola di Pellestrina è andata anche (e molto) peggio. È tempo di agire in modo concreto e istantaneo.

di Luca Ferrari

Martedì 12 novembre a Venezia è stata raggiunta una marea di 187 cm. Era dal 1966 che non si verificava una disastro simile. La notizia fa il giro del mondo. Venezia e il suo immenso patrimonio artistico guadagnano le prime pagine su tutte le principali testate, nazionali e internazionali. A pagare il prezzo di promesse mai mantenute, opere inutili e costose, anche e soprattutto la placida isola di Pellestrina, che insieme al Lido di Venezia protegge la Serenissima dagli umori del Mare Adriatico.

D'improvviso le case e le famiglie di Pellestrina si ritrovano in primo piano. Come per altre tragedie la domanda è inevitabile: poteva essere evitata? Non c'è tempo per riflettere e arrabbiarsi. Uomini, donne e bambino hanno bisogno di tutto. L'isola meno note alle masse dell'arcipelago lagunare, non riceve le attenzioni delle varie Murano e Burano. Qui, a Pellestrina, i milioni di turisti che affollano Venezia, non ci arrivano mai e ciò in particolare perché nonostante le incessanti richieste della popolazione da decenni, a oggi non esiste una linea di navigazione diretta che colleghi Pellestrina a Venezia.

Adesso più che mai il turismo può diventare la leva per ricominciare ma senza questo tipo di collegamento, non si potrà nemmeno incominciare a ragionarci. Pellestrina, isola di rara bellezza, è facilmente raggiungibile da Chioggia, con la differenza che il turismo che arriva dalla suddetta località non è neanche paragonabile a quello dell'antica Repubblica Marinara. A oggi per andare da Pellestrina a Venezia, una persona qualunque deve fare un autentico tour:
  • Autobus di linea per attraversare l'isola
  • Ferry boat per raggiungere l'isola del Lido
  • Attraversare tutto il Lido in autobus (9-10 km circa): il pontile per Venezia è al capo opposto
  • Prendere il vaporetto e dunque raggiungere le fermate varie di Venezia. Per arrivare in terraferma, siamo a più di un'ora e mezza di sola andata così come dalle varie fermate Tronchetto - Piazzale Roma - Stazione
Quale turista che sta due-tre giorni di media a Venezia si ritaglierebbe una giornata intera per andare a Pellestrina? Nessuno.

L'impegno del Governo, a quanto pare, si è tradotto in un conguaglio di cinquemila euro che le famiglie potranno ricevere tra due anni. Se fosse vero, sarebbe una scelta al limite della barzelletta di cattivo gusto. Le famiglie di Pellestrina hanno bisogno di un aiuto concreto, ora e subito. Qualcuno intanto ha cominciato a muoversi, chiamando a raccolta l'intera popolazione e chiunque voglia contribuire per risollevare uomini, donne e bambini. Salvare le opere d'arte dall'acqua alta è un dovere, aiutare le persone è un obbligo civico e morale.

Sabato 16 novembre (ore 9-13) intanto, la Proloco del Lido Pellestrina allestisce un gazebo in Gran Viale, nell'area pedonale d'inizio Piazzetta Lepanto (a neanche 5 minuti a piedi dall'imbarcadero di Santa Maria Elisabetta) dove si effettuerà raccolta di alcuni beni come elettrodomestici per aiutare le famiglie di Pellestrina. Si raccoglieranno anche donazioni e diverse attività commerciali forniranno prodotti dolciari da poter acquistar, con offerta per poter colmare un po' di spese che le famiglie colpite sono costrette ad affrontare. In particolare, si richiedono:
  • elettrodomestici (priorità)
  • mobilio
  • donazioni
  • offerta libera per acquisto prodotti dolciari
Anche l'informazione è scesa in campo in modo concreto. Promosso dal suo stesso direttore Enrico Mentana, il TgLa7 in collaborazione con il quotidiano Corriere della Sera, ha lanciato una raccolta fondi proprio per aiutare le persone colpite da questa mareggiata. "Per quanto riguarda la sottoscrizione Un aiuto subito per Venezia, mi faccio personalmente garante di ogni euro raccolto" ha sottolineato il giornalista. Questi i dettagli per chi voglia contribuire:

  • IBAN: IT23G0306909606100000169236  
  • c/c n. 1000/169236 presso IntesaSanpaolo, Filiale Terzo Settore Milano Città 
  • In alternativa è possibile usare un «codice semplificato» che va inserito nel campo «beneficiario» per versamenti e bonifici senza commissioni esclusivamente da Intesa Sanpaolo: 09754.
  • Per le donazioni dall’estero vale lo stesso Iban con il codice Bic BCITITMM.
Ora vi voglio invitare a guardare tutte le foto di Pellestrina. Molti di questi scenari non si vedono più. È tempo di agire subito. Nuove mareggiare sono in arrivo. È tempo di agire adesso.

Un aiuto per Venezia
Venezia e Palazzo Ducale sommerse dall'acqua alta
Il lungo murazzo sull'isola di Pellestrina (Ve) © Luca Ferrari
La placida vita sull'isola di Pellestrina (Ve) prima del disastro © Luca Ferrari
Il lungomare Pellestrina (Ve) © Luca Ferrari
Pellestrina (Ve) © Luca Ferrari
Pellestrina (Ve) © Luca Ferrari
Pellestrina (Ve) © Luca Ferrari

venerdì 1 novembre 2019

Venezia, il ponte dei Morti

Venezia, il ponte galleggiante che collega le Fondamente Nove all'isola-cimitero di San Michele 
Dopo 70 anni si rinnova un'antica tradizione a Venezia. In occasione della celebrazione dei Defunti, il ponte galleggiante tra Fondamente Nove e il cimitero di San Michele in Isola.

di Luca Ferrari

Una tradizione interrotta nel 1950 si rinnova a Venezia dopo quasi 70 anni. In occasione della Commemorazione dei Santi e dei Defunti giovedì 31 ottobre è stato inaugurato il ponte galleggiante di barche (peate) che unisce le Fondamente Nove al portale monumentale del cimitero di San Michele, consentendo così a veneziani e turisti di arrivarvi a piedi. La struttura sarà transitabile fino alle 15.30 di domenica 10 novembre (l'utilizzo del ponte sarà riservato ai soli residenti o possessori della tessera Venezia Unica fino a domenica 3 novembre incluso).

La passerella, realizzata da Insula, lunga 407 metri e larga 3,60 metri, si compone di 20 moduli di 20 metri lineari ciascuno, costituiti da una struttura in telaio d'acciaio con piano di calpestio in doghe di legno. Lungo il corrimano sono predisposte lampade per l'illuminazione. Al centro del ponte è stato previsto un varco alto 3,5 metri e largo 10 per il transito dei natanti. Ci vogliono circa cinque minuti di cammino per attraversare il ponte e raggiungere il luogo del ricordo e della preghiera.

Venezia, il ponte galleggiante che collega le Fondamente Nove all'isola-cimitero di San Michele  © Luca Ferrari
Venezia, il ponte galleggiante che collega le Fondamente Nove al cimitero di San Michele  © Luca Ferrari
Venezia, il ponte galleggiante che collega le Fondamente Nove all'isola-cimitero di San Michele 
Venezia, l'inaugurazione del ponte galleggiante (sullo sfondo le Fondamente Nove)
Venezia più di 70 anni fa, il ponte galleggiante di barche (sullo sfondo il cimitero di San Michele)
Venezia più di 70 anni fa, il ponte galleggiante di barche (sullo sfondo il cimitero di San Michele)