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venerdì 26 giugno 2015

Le mie amiche danza orientale

(da sx) le danzatrici veneziane Giulia, Elena, Monica e Khalida © Luca Ferrari

Non sapevo niente di danza orientale, poi un giorno incontrai delle persone speciali che ebbero la pazienza di raccontarmela. Iniziò così, un incredibile viaggio nell'anima umana.

di Luca Ferrari

Contaminazioni emotive. Culture millenarie. Affinità interiori. Storia di un incontro casuale che divenne legame. C'era una volta, in una calda giornata estiva... E mentre presidiavo lo stand di un’associazione umanitaria al Festival dei Popoli al Lido di Venezia, nel chiostro di S. Nicolò, d’improvviso fu annunciato che di lì a poco sarebbe cominciato lo spettacolo di danza orientale del locale Gruppo Shams. Tra le protagoniste c’erano Elena Zamborlini, che conoscevo già da qualche anno, e altre danzatrici tra cui Giulia Giamboni e Monica Zacchello. A fine performance m’invitarono al saggio finale dei corsi che tenevano al Lido, davanti alla spiaggia del Pachuka Beach. Giacché all’epoca mi occupavo di cronaca sull'isola lagunare, presi due piccioni con una “danza”. Fu il mio primo e casuale incontro con la danza orientale.

Prima di procedere, una doveroso passo indietro. Fino al 2005 non sapevo proprio niente di danza orientale, danza del ventre e/o danza mediorientale che fosse. Se qualcuno mi avesse chiesto cosa fosse, mi sarebbe (forse) venuta in mente una danzatrice vista parecchi anni prima nel video Numb della rock band irlandese U2 o tuttalpiù qualche movenza di una giovane Shakira. Qualcosa nell'estate 2005 però, cambiò. Non fu tanto l'aver assistito a uno spettacolo, più che altro furono le parole di chi (e come) me le raccontò. Già, le parole. Qualcosa che “conoscevo” piuttosto bene ma non perché facessi (solo) il giornalista. All’epoca erano già 11 anni che scrivevo in modo incessante poesie/testi di matrice anglofona rock. Una strada questa, poi fusasi con la danza orientale e da cui nacque il libro Belly Roads – parole di danza, sentieri d’Oriente (2012, Granviale Editori)

Detto fatto, un bar del Lido fece da anfiteatro alla prima intervista multipla a delle danzatrici. Monica, Elena Giulia si aprirono al mio rudimentale registratorino mentre sul block note mi segnavo qualcosina, raccontandomi entusiaste ciò che facevano e di quanto fosse speciale. Impossibile non lasciarsi contagiare. L’anno successivo feci ritorno lì, al Pachuka Beach per assistere a un loro nuovo show, e così pure 365 giorni dopo. Nel frattempo conobbi la “quarta moschettiera” della bellydance lidense, la più giovane Khalida. Alla stregua delle sue più navigate colleghe, fu sempre molto cordiale e disponibile per qualsiasi informazione danzante le chiedessi.

Da allora è passato molto tempo. Per qualche anno io e la carovana della danza orientale abbiamo "navigato" fianco a fianco. Mi ero talmente appassionato a questa disciplina, da lanciarmi nell'ambizioso progetto di fondare il primo giornale specifico italiano online, il defunto Bellydance Italia che, dispiace ammetterlo, poco interessò la rispettiva comunità italiana. Il mio primo sito sul mondo della danza orientale però, Belly Roads, è rimasto. Tra articoli e reportage, spesso spaziavo anche sulle poesie, molte delle quali poi finite nell'omonimo libro, Belly Roads (2012). Di recente gli articoli di Belly Roads sono stati traslati qui, su "Viaggi del Mondo (in costante working progress), per continuare a tenere in vita e raccontare questo incredibile e variegato mondo così ricco di storia, cultura e arte umana. 

No, se su quel palco nel giugno 2005 non ci fossero state loro, probabilmente la danza orientale avrebbe occupato solo un piccolo spazio nel mio lavoro giornalistico. Se non avessi incontrato Elena, Giulia, Khalida e Monica, non mi sarei fatto contagiare. L'arte ha il potere di comunicare nei modi più immaginabili, ma sono le persone poi a fare la differenza. Il tempo è passato, e a parte un'incursione sulle pagine del settimanale internazionale L'Italo-Americano, è da parecchio tempo che ormai non mi occupo più di bellydance. Chissà, magari un giorno tornerò a raccontarla. Magari proprio a uno spettacolo di queste incredibili donne, e allora sarà anche l'occasione di poterle salutare. E allora potrò ringraziarvi, perché senza di voi, la vostra sincera amicizia e ispirazione, non avrei mai iniziato a scrivere di danza orientale.

Le danzatrici veneziane Monica, Elena, Giulia e Khalida

martedì 11 settembre 2012

Belly Roads – parole di Danza, sentieri d’Oriente

Luca Ferrari e il suo libro di poesie Belly Roads
La poesia più istintiva erede delle lyrics rock si tinge di bellydance. È uscito il libro Belly Roads - parole di danza, sentieri d'oriente (2012, Granviale Editori).


"...ventagli avvicinano le rive a un’esibizione/ 
che ha cambiato la mitologia delle storie  
fin qua tramandate/ ...care sorelle sirene di torrente, 
nel delicato incanto 
di un inconscio tangibile/ 
vi confido che la condivisione dello spazio/ 
ha magicamente accerchiato/ 
ciò che zampilla dalle Vostre iniziali più noir ..."

Dopo articoli e reportage sul mondo della Danza Orientale, l’ispirazione gitana carezza il linguaggio primordiale. Plasmandosi in  parole istintive e immediate, dentro il solco tracciato dalle lyrics rock. È il momento di Belly Roads – parole di Danza, sentieri d’Oriente (Granviale Editori, 2012), il nuovo libro di poesie del giornalista - scrittore veneziano Luca Ferrari.

L'avventura inizia durante il Festival dei Popoli, al Lido di Venezia, in occasione della performance del Gruppo Shams. Una fondamentale intervista con le protagoniste e un attimo dopo è già l'inizio di una nuova Storia (infinita) dove dagli appunti emerge uno stato d’animo che s’immedesima nell’ascolto della musica di sottofondo, assimilando delicatamente i passi e i movimenti del bacino. 

Uno spazio dove la ragazza/donna inizia un percorso di crescita. Prende consapevolezza di ciò che ha dentro. Negli anni successivi ci furono le esperienze dei palchi internazionali del Silk Road Project, il folclore multietnico dell’Heshk Beshk Festival, fino a sbarcare nel cuore globale della città eterna, con il Roma Tribal Meeting. Lì nel mezzo e oltre, un percorso intenso. Inatteso, per certi versi. Un viaggio che ha reso ogni incontro, conversazione. Quel sentiero oggi, è diventato una strada.

Dopo il tema dei viaggi del precedente Latitudini V (2011), al centro dei testi di Belly Roads c'è dunque la Danza Orientale. Un libro di 27 poesie la cui copertina è stata realizzata dalla talentuosa artista siciliana nonché danzatrice Viviana Ammannato, e impreziosito dalla prefazione di una delle pioniere della danza orientale in Italia, Jamila Zaki, direttrice di Zagharid, il primo circolo culturale italiano interamente dedicato all’arte della danza orientale.

L'ispirazione chiede conferma alla visione di ciò che è stato immortalato. Avanti così allora,
“…non fa ancora abbastanza freddo 
per poter dire a gran voce quello che ho provato...
 arrivato a questo punto delle mie suole, 
un medaglione è la sola ninnananna 
pensata per un orto/ 

Adesso ha preso un fiore 
e se l’è posato in equilibrio 
sopra un polpastrello… se proprio 
ne avete bisogno, 
chiamatela transumanza” ... e adesso, danzate ancora una volta. Fino alla fine dei tempi.

l'autore Luca Ferrari e il libro Belly Roads - parole di danza, sentieri d'oriente
Giulia Giamboni (Gruppo Shams), performance al Lido di Venezia © Luca Ferrari
Silk Road Festival 2011, Estelle Chao © Federico Roiter
Silk Road Festival 2011, Valentina Manduchi © Federico Roiter
Roma Tribal Meeting 2011, Ilhaam Isabel de Lorenzo © Luca Ferrari
Roma Tribal Meeting 2011, Rustiqua © Luca Ferrari
Roma Tribal Meeting 2011, Shadì & Carlotta © Luca Ferrari
Eshta show 2012, Gruppo Tribal preparato da Ingrid Zorini © Luca Ferrari
Eshta show 2012, Tribal Fusion di Ingrid Zorini © Luca Ferrari

lunedì 10 settembre 2012

L'unione fa la danza

Eshta show 2012, le giovanissime protagoniste di Gioco Danza © Luca Ferrari

Culture, ispirazioni e generazioni unite, passando anche per l'animazione più innocente, danzano insieme. Un linguaggio universale si snoda e si racconta.

di Luca Ferrari

Mestre (Ve), Centro Culturale Candiani. È di scena il saggio spettacolo dell’Associazione Eshta Centro di Danza Orientale. Si comincia con il gruppo Fanveils, dietro la cui coreografia c’è l’esperta regia di Emanuela Camozzi. Il tepore dell’arancione indossato dalle danzatrici si sposa alla perfezione con i colori più glaciali dei veli. E la sensazione finale, è quella di essere parte un nucleo dall'energia appena agli inizi della sua intera e primaverile esistenza.

Tocca poi all’insegnante e coreografa Emanuela Camozzi. Dopo una prima performance di gruppo e un delicato accompagnamento (che ha intenerito l’anima di tutti i presenti) alle giovanissime generazioni di 4-5 anni, al loro debutto “danzante”, fa il suo ingresso solista.

Come una nuvola di sabbia dorata, vola da un confine all’altro del mondo-palco. Incessante. A scandire i suoi passi e movimenti, musica persiana che come gli accordi del vento, non cede a niente. Il suo folklore schizza come gemme di sole. Le mani battono sul tamburello. Le labbra sorridono. E alla fine, c’è solo il tempo di un ultimo fragoroso inchino.

È il momento del Gruppo Intermedio 1 guidato da Camilla Lombardi. Stile classico, seguendo l’ispirazione della canzone Inta Omri. Farfalle immobili con le ali aperte. Il viso rivolto verso l’ignoto Sale in cattedra l’iride. Le tonalità degli indumenti si rincorrono. Rosso. Rosa. Viola. Bianco. Oro. Codici arcaici si rinnovano ogni volta una danzatrice incrocia un’altra creatura.

La musica irrompe. Gli occhi sono alla ricerca di un nuovo blocco di partenza. I braccialetti lungo le braccia suggeriscono. Le monete accanto al ventre tintinnano sopra l'ombelico. C’è chi si muove scalza. Tutto quello che deve essere detto, è qui. Davanti a noi. Dentro di loro, le interpreti danzanti.

“There comes a time when we need a certain call/ When the world must come together as one – Arriva il momento in cui abbiamo bisogno di una chiamata particolare/ Quando il mondo ha bisogno di diventare una cosa sola” … iniziava così l’immortale We Are the World, scritta nel 1985 da Michael Jackson e Lionel Richie e incisa a scopo benefico dal supergruppo USA for Africa.

Durante la performance/spettacolo dell’Associazione Eshta c’è stato un doppio momento che ha raccontato qualcosa di diverso e dolcemente speciale. Prima e dopo la performance solista dell’insegnante Olga Acerboni e del Gruppo principianti preparato da Emanuela Camozzi, danzante lo stile classico con eleganti veli rosa e lunghe gonne arboree verdeggianti, hanno fatto il loro debutto piccole creature di 4-5 anni. Giocando. Ballando. Sorridendo. Muovendo i piedini sulla pedana come piccoli Bambi.

Attraverso la favola e la colonna sonora del celebre film Disney, Aladdin (1992), un giovanissimo e affiatato gruppo multietnico di bambine e un maschietto, hanno ricreato un percorso di magica fantasia, dando i primi colpi d’anca e facendo tintinnare le prime monetine. Qualche tempo fa però qualcuno, dall’alto della sua impeccabile posizione istituzionale e con tanto di avallo di una stampa evidentemente faziosa e poco documentata, definì la Danza Orientale uno spettacolo “poco adatto alle famiglie”.

E sempre dall’immortale We Are the World, “There's no way we can fall Well, well, well, let's realize/ That one change can only come/ When we stand together as one – Non potremo mai fallire/ Bene bene capiremo/ Che le cose potranno cambiare soltanto/ Quando saremo uniti come se fossimo una cosa sola” … esattamente come quelle bambine laggiù al centro della pedana.

Fanveils group © Luca Ferrari
Fanveils group © Luca Ferrari
Fanveils group - Luisa Galati © Luca Ferrari
Fanveils group © Luca Ferrari
Eshta show 2012, Emanuela Camozzi © Luca Ferrari
Eshta show 2012, Emanuela Camozzi © Luca Ferrari
Eshta show 2012, Emanuela Camozzi © Luca Ferrari
Gruppo Intermedio 1, stile Classico © Luca Ferrari
Gruppo Intermedio 1, stile Classico © Luca Ferrari
Gruppo Intermedio 1, stile Classico -
le monete tintinnano sull'ombelico e il ventre danzante © Luca Ferrari
Gruppo Intermedio 1, stile Classico © Luca Ferrari

Eshta show 2012,  danzatrice del Gruppo Principianti preparato da E. Camozzi © Luca Ferrari
Eshta show 2012, danzatrice del Gruppo Principianti preparato da Emanuela Camozzi © Luca Ferrari

venerdì 10 agosto 2012

Roma Tribal Meeting, carovana globale

Roma, Carovana Trbale e Ilhaam © Luca Ferrari

Viaggio in una nuova edizione del Roma Tribal Meeting. A tu per tu con alcune delle protagoniste e le storie delle loro performance e stili.

di Luca Ferrari

(20.11.2011) La Tribal Bellydance è una danza basata sui movimenti di Danza Orientale che include anche elementi di danza indiana, flamenco, danze del Nord Africa, danze meditative e di trance e danza contemporanea. Ha come tratti distintivi l’improvvisazione e l’esecuzione in gruppo” spiega Cinzia Di Cioccio, fondatrice della prima compagnia italiana professionale di Tribal Bellydance, Les Soeurs Tribales “Questo stile è nato alla fine degli anni ’80 nella West Coast, idealmente come danza per unire tutte le donne del mondo. Porta in sé il messaggio che l’unione fa la forza. Danzare insieme significa rispettare le persone con cui si sta ballano. Sostenerle. Non prevaricarle, e lavorare tutte insieme per un fine comune, ovvero l’armonia nella danza”.

È l’alba di una nuova tecnica e un nuovo stile. È la Tribal Bellydance. Al San Lo’, Centro di Danze Etniche in San Lorenzo, si è svolta la seconda edizione del Roma Tribal Meeting (18-20 novembre 2011), tra workshops, una tavola rotonda e due spettacoli serali con protagoniste artiste soliste, gruppi internazionali ed esponenti della giovane scena Tribal italiana e europea.

“Ogni percorso artistico è anche interiore. Estetico e morale. Fisico e metafisico” sottolinea l’organizzatrice del festival, la danzatrice brasiliana Isabel De Lorenzo, “il Tribal ha un’estetica così elaborata, accattivante, ricca di riferimenti ed eclettica, che a volte ci si dimentica il percorso quasi filosofico che porta all’interno. La condivisione è forse l’aspetto etico più importante del Tribal. L’essenza del festiva è basata sulla volontà di creare una comunità della Tribal Bellydance in Italia: dalla danza a un mondo migliore”.

Tra molte e coinvolgenti performance presentate alla seconda edizione del festival, la statunitense Aepril Schaile ha presentato un originale lavoro di Dark & Gothic Fusion, mentre la collega francese Gwenael LaSirène, ha virato in direzione Indian Fusion. L’artista transalpina, prima di scoprire il Tribal, ha viaggiato moltissimo, soprattutto in mare e dentro il mare. Un imprinting questo, rivelatosi decisivo nel suo avvicinamento alla danza Tribal.

“Abbandonata l’Asia e una certa vita nomade, sono tornata a casa e ho incominciato a praticare la danza orientale classica con Julie de St Blanquat, una delle precorritrici del Tribal in Francia” racconta Gwenael, “Per me è stato un vero colpo di fulmine perché la maniera di muoversi, le ondulazioni, la fluidità della danza nel corpo intero, mi hanno ricordato le ore passate sott’acqua. E anche se ero a Parigi, mi ricollegavo con il mare, a quella forza tranquilla che mi ha sempre accompagnata. Il mio modo di danzare attinge da elementi estetici e narrativi dalle danze classiche indiane e si fonde con la fluidezza e gli staccati corporei del Tribal per chiamare a idealizzazioni collettive dell’India eterna. Una danza spirituale, solare e dinamica”.

Teatro. Sciamanesimo. Poesia. Mitologia. Musica (antica, gotica, metal). Spiritualità. Sono i molti elementi del mondo espressivo di Aepril Scahile. Un viaggio composito, fatto di mappe di vita e d’energia intesa come Luce e Oscurità. Un’artista sciamano in grado di comunicare con il lato destro/intuitivo del suo cervello, e valorizzare i dettagli e la ricerca del suo lato sinistro, per portare nei tempi moderni una bellydance rituale-teatrale.

La sua performance, dedicata in memoria della sorella da poco scomparsa, si richiama a Lilith, la dea mediorientale, prima donna ad entrare nell’Eden, e la cui cacciata l’ha trasformò in Energia rabbiosa e distruttiva. “È la parte di tutte quelle donne che si ribellano contro ogni costrizione. È la parte di noi che grida di essere ascoltata quando ci negano la verità. Lilith è anche una Dea dell’Oscurità, e rappresenta il potere della trasformazione attraverso il confronto e l’accettazione dei propri demoni interiori”. Il suo ballo viaggia attraverso l’oscurità per diventare luce. E’ il tempo della rinascita.

Inizia un’altra performance. Ogni passo è un popolo che avanza. Si guarda intorno. Il mondo sboccia insieme a nuove esperienze di vita. Il tempo si fa traghettatore di melodie dal volto umano. Una forma indefinita prende possesso del proprio posto. La mimica assorbe il respiro. Il corpo si scrolla di dosso i tuoni intrappolati nel cielo. È quello che si prova. È quello che sentirò ancora.

“Il Tribal unisce un linguaggio comune attraverso il movimento, permettendo così la connessione di ogni individuo a un livello più profondo” conclude Geneva Bybee, danzatrice statunitense di Tribal Fusion, co-organizzatrice del Roma Tribal Meeting, “La Tribal Dance onora le strade nomadi del Mondo Antico con la musica, la danza e l’abbigliamento. Crescendo e rigenerandosi, questa danza sostiene l’ideale di una famiglia universale”.

giovedì 9 agosto 2012

Venezia Mediorientale, nel nome della Danza

Monica Zacchello (Gruppo Sham) con le ali di Iside © Luca Ferrari
Venezia terra di danza orientaleLido di Venezia, anfiteatro della sempre seguitissima performance del Gruppo Shams.

di Luca Ferrari

(27.06.2011) Dallo stile classico con il velo sharky al popolare baladi, passando per la danza saidi con il bastone. A pochi passi dalle onde adriatiche della spiaggia di San Nicolò del Lido, il Gruppo Shams ha dato vita a un nuovo viaggio nella danza del ventre, mescolandola con flamenco, danza moderna hip pop, e creando nuovi generi quali l’oriental pop e lo stile arabo gipsy.

A incantare il pubblico con le loro performance, le esperte danzatrici Monica ZacchelloElena Zamborlini e Giulia Giamboni, passando per le giovani leve come Khalida Chiara BergaminHasya Gaia ManziChiara MelisRachele Angiolin e Carlotta Valdo, fino alle nuovissime gerazioni come la piccola Viola.

Gruppo Shams, live Pachuka 2011: Rachele Angiolin (al centro) e Carlotta Valdo (dx) © Luca Ferrari
Gruppo Shams, live Pachuka 2011: Hasya Gaia Manzi © Luca Ferrari
Gruppo Shams, live Pachuka 2011: Carlotta Valdo © Luca Ferrari
Gruppo Shams, live Pachuka 2011: Carlotta Valdo © Luca Ferrari
Gruppo Shams, live Pachuka 2011: Arianna Sambo © Luca Ferrari
Gruppo Shams, live Pachuka 2011 - Chiara Melis © Luca Ferrari
Gruppo Shams, live Pachuka 2011: Khalida Chiara Bergamin © Luca Ferrari
Gruppo Shams, live Pachuka 2011: Chiara Melis e Khalida Chiara Bergamin © Luca Ferrari
Gruppo Shams, live Pachuka 2011: la giovanissima Viola © Luca Ferrari
Gruppo Shams, live Pachuka 2011: Giulia Giamboni Monica Zacchello © Luca Ferrari
Gruppo Shams, live Pachuka 2011: Elena Zamborlini © Luca Ferrari
Gruppo Shams, live Pachuka 2011: Giulia Giamboni © Luca Ferrari
Gruppo Shams, live Pachuka 2011: Giulia Giamboni (sx) e Chiara Melis © Luca Ferrari
Gruppo Shams, live Pachuka 2011: Monica Zacchello © Luca Ferrari
Gruppo Shams, live Pachuka 2011: Monica Zacchello © Luca Ferrari
Gruppo Shams, live Pachuka 2011: Monica Zacchello © Luca Ferrari

mercoledì 8 agosto 2012

La danza della Via della Seta

Amira Németh al Venice Dance Festival © Alessandro Voltolina

Viaggio nel mondo della danza orientale, dall'Asia più remota alle correnti hindi più commerciale, passando per tutta la tradizione lungo il Nord Africa e l'Europa orientale.

di Luca Ferrari

(21.03.2011) Danze Persiane. Bollywood. Flamenco Orientale. Bellydance Turco. Balli sciamanici. Tribal Bellydance Emozionale. Fusione Cinese. Danze Zingare Turche e Russe. L’Occidente e l’Oriente si scoprono impetuosi innamorati. Un infinito percorso dove ogni luogo diventa fermata e ricerca di un nuovo viaggio, pronto per dare il proprio contributo alla perfezione della fertilità e della trasformazione. La Danza si svela come arte essenziale per trasportare la fragranza del pensiero collettivo.

Per il secondo anno consecutivo, il Lido di Venezia si è trasformato nella capitale dell’arte della danza, con performance di artisti internazionali giunti da tutto il mondo. Al Teatro Perla del Palazzo del Casinò, dal 18 al 20 marzo, è andato in scena una nuova edizione del Convegno Internazionale di Danze Orientali, tra workshop e spettacoli coinvolgenti.

“La danza del ventre è la mamma di tutte le danze. È la danza da cui è cominciato tutto. È la danza con cui la donna ha iniziato a essere donna” racconta Marina Dimitrova, in arte Shams, una delle protagoniste del festival, “La mia è una danza balcanica, che affonda le sue radici nella storia ottomana che praticavano i gitani. A differenza della tradizione araba, ha un movimento più veloce e pulito, ed è meno coreografica. Io ascolto la musica. La reinterpreto in ogni esibizione”.

Quando è il turno di Shams di calcare il palco, si presenta vestita di bianco. Si sposta come se ogni istante dello spazio non le fosse sufficiente. La sua ricerca disarciona ogni bussola avvistata nel cosmo traboccante. La musica poi cambia. Il ritmo si fa più incalzante, e lei sale in cattedra come direttrice d’orchestra di nuove emozioni. Pronta a passare il testimone a una nuova contaminazione globale.

Così, dopo un’intensa sosta nell’Europa Orientale (Amira NémethShams ed Evelina Papazova), con una significativa incursione in Grecia (Maria Aya), ecco il profumo delle immense distese asiatiche. Sono nell’Uzbekistan. I colori blu della camicia, la gonna lunga bianca e il velo bianco con pennacchio, rendono l’incantevole Schachlo una sposa brindante alla propria felicità, immersa tra festanti carrozze, dove le donne tramandano di madre in figlia i segreti dell’amore.

Senza allontanarmi troppo, sbarco in Cina. Una visione al ciclamino si attanaglia senza freni migratori. Il violino percuote il ventaglio. Estelle Chao indossa il velo come benvenuto. Accompagnatore. Interlocutore. C’è la decisione nel suo sguardo. Come due spade di un’artista dalla grafia simbolica, oltrepassa l’acqua con rette di seta. Senza colpo ferire ad alcun cielo. Nella morbidezza del suo ventre si sente il vento gelido attutito dalla vita che sgorga da una cascata. In circolo. A ripetizione. Perché noi siamo fatti di questo.

Tra un workshop e uno spettacolo, mi affaccio all’energia ancestrale di Francesca Pedretti. Dove l’interazione con le sue compagne della Compagnia De Nuova Luce è uno stimolo ad andare oltre la propria solista felicità. Mentre prova e mostra, sembra quasi nuotare. E nascosta tra le sue mani, fa sparire e riapparire piume invisibili per incidere un testamento che ognuno deve saper trovare dentro di sé.

“Il pezzo che ho proposto durante lo spettacolo è ispirato al celebre dipinto – la zattera della Medusa (1819 di Théodore Géricault, ndr)–” si racconta Francesca, “come per altri miei lavori, l’idea è nata da un immaginario. Un’idea visiva. Insieme alle mie compagne abbiamo poi elaborato piccole parti coreografate e gesti che richiamano l’opera. Il naufragio. Il mare. Il disastro. Il corpo umano è già eccellente. Nella danza i corpi fanno cose differenti in tempi uguali, e cose uguali in tempi differenti. Io interpreto la danza. Non mi pongo freni. L’istinto deve parlare”.

Nuove storie sorgono. Io sono lo spettatore. Tabula rasa per una nuova e aggiornata memoria. Una favola dove le giravolte hanno sempre un fiore che ti spunta tra i capelli. E da ogni tinta scaturisce un’ulteriore melodia a cui affidare la nostra speranza di un’eterna giovinezza. E le strade adesso sembrano più popolose. E per le strade sembra che da ogni finestra qualcuno ci stia salutando. E il vento di un grande percorso umano non è mai stato così vicino a ciascuno dei nostri sorrisi senza confini.

martedì 7 agosto 2012

Tribal Bellydance, Roma Tribal Meeting

l'ensemble Carovana Tribale © Federico Roiter
L’antica femminilità prende forma in un nuovo movimento moderno. Il tratteggio di una dolce oscurità aperta è sprofondato nella comunità di un bagliore mutevolmente perpetuo. È stato improvvisato un gesto tribale, e simultaneamente la casa è stata invasa dalle finestre. Una per ogni millimetro del mondo. Fusione. Tradizioni. Innovazione. Esplorazioni artistiche. Al suo primo festival italiano, il Tribal Bellydance si racconta.

di Luca Ferrari

(18.11.2010) Creato in California alla fine degli anni ‘80 a partire dal lavoro creativo di Carolena Nericcio, la danza del ventre Tribal ha saputo unire elementi di danza mediorientale, folklore nordafricano, elementi di altre tradizioni provenienti dai gitani, quindi dall’India del Nord (Rajasthan), Spagna (Flamenco), passando per la Turchia, l’Europa orientale, i Balcani e infine per l’Egitto, dove le zingare chiamate Ghawazee diffusero la danza del ventre.

Tribal è unione. È improvvisazione di gruppo in perfetta sintonia. È il carattere corale di ogni performance e di ogni tribù (o tribe) che danza insieme e crea comunità. Fondamentale allo sviluppo del movimento Tribal negli USA, e poi nel mondo, è stata la musica, anche questa aperta simultaneamente alla tradizione orientale e al moderno dell’elettronica.

Da venerdì 19 a domenica 21 novembre prende il via il Roma Tribal Meeting. L’evento sarà arricchito dalla presenza di un importante gruppo musicale legato alle origini del Tribal negli Stati Uniti: gli Helm, fondato da Ling Shien e Mark Bell. Gli stage si terranno nel cuore di Roma (zona San Lorenzo), presso il San Lo’, un contenitore culturale aperto alle danze de mondo, e realizzato dal gruppo Carovana Tribale.

Fra i molti e prestigiosi ospiti che si esibiranno, le italiane Francesca Pedretti e Silviah, quest’ultima partita dalla danza orientale e approdata nella Tribal Dark Fusion. Dall’estero, le statunitensi Kimberly Mackoy e Geneva Bybee, l’ensemble austriaca Nakari Dance Company il cui stile affonda tanto nelle arti marziali quanto nella danza classica, nell’afro e l’hip-pop.

C’è molta attesa anche per la performance del Saada Tribal Group, la prima compagnia professionale di Tribal Bellydance spagnola, con dodici danzatrici, musicisti e una cantante. Tra le partecipanti infine, sarà in prima linea la Carovana Tribale, compagnia di danza composta di sei elementi fondata nel 2003 da Isabel De Lorenzo e Lara Rocchetti.

Isabel De Lorenzo, come si è avvicinata al Tribal? Vengo dalla danza orientale classica e ho scoperto il Tribal attraverso internet negli anni ‘90. Mi ha subito affascinato lo stile, il look distante dai richiami talvolta volgari della danza del ventre, e più vicino a un’idea di femminile mitico, potente e atemporale, che immagino sia l’essenza della danza. Da allora ho iniziato a seguire il lavoro di Carolena Nericcio e a poco a poco ho reindirizzato il mio lavoro come danzatrice e insegnante di danza, dall’orientale al Tribal.

Che cosa prova a danzare Tribal? Amo la danza nelle sue varie forme, ma con il Tribal quello che più mi appassiona è il senso di comunità. Danzare insieme ad altre donne. Danzare e fare parte di una comunità internazionale che si muove insieme.

Nella schiena arcuata sento il canto di queste nuove emozioni, come se il loro ventre volesse inventare e donare un gesto universale. Cammino senza pensare all’orizzonte, seguendo il sentiero della storia umana. Voglio rispondere allo spazio occupato da sempre più radici. Insieme e mutevoli. Un’ombra attraversa la pelle, fino a diradarsi tra le vette più lontane. Un raggio notturno di sole illumina la bellezza dei loro colori.

sabato 4 agosto 2012

Gruppo Shams, sulle ali del Ventre di Iside

la danzatrice veneziana Monica Zacchello con le ali di Iside © Luca Ferrari
Cascate di colori. Monete ballerine. Braccia alate. A poca distanza dalle onde veneziane, è di scena un nuovo spettacolo di danza orientale del Gruppo Shams.

 di Luca Ferrari

citazione che scompone il tramonto purpureo in tante notti non ancora condivise…qualche fulmine passeggero si è disteso lungo la fertilità dell’alba ancora lontana…sento gonfiarsi un’angelica energia che da sola farebbe echeggiare qualsiasi monocromatismo dalle spalle scoperte…il merito è delle mirabili protagoniste

Attraverso la notte. Una brezza salmastra mi viene incontro mentre in bicicletta incappo nelle strade semi-deserte del Lido di Venezia. Qualche anarchico granello di sabbia m'insegue nella mia cavalcata verso il Pachuka, noto locale dell’isola, situato sulla spiaggia di San Nicolò. Un posto dove guardare le onde di notte, e da dove sembra che le stelle siano a portata di mano. Un posto perfetto per uno spettacolo di danza orientale.

Il silenzio del pedalare viene d’improvviso soppiantato dal frastuono di una numerosa folla umana. Sono tutti là, per l’esibizione di danza orientale del Gruppo Shams  che si esibirà nel saggio di fine anno dei corsi di danza del ventre, e che da anni ormai è diventato questo un appuntamento consolidato (e molto apprezzato) nel panorama artistico locale.

La speaker parla che assisteremo a una festa egizia.L’antica tradizione di questa danza risale alle feste popolari fra donne. Fra le tante danzatrici che si esibiranno, ci sono anche le due istruttrici: Monica Zacchello (corso avanzato) ed Elena Zamborlini (medio/principianti). La prima pratica la danza del ventre da più di sedici anni e da sette, l’insegnamento. Si è esibita in moltissimi e prestigiosi contesti, non di meno in occasione delle selezioni di Miss Italia ‘07 al Lido di Venezia, dove fu l’unica ballerina ad esibirsi in questa specialità.

Inizia lo show. Simile a quegli astronauti futuri Fantastici 4, vengo letteralmente investito da un’energia sconosciuta. Ma invece da una tempesta spaziale, nel mio caso, a colpire i miei sensi è un’inarrestabile cascata di colori. Soffici coperte d’azzurro mi avvicinano al mare. Ballerine monete su cintura giocano a nascondino con scale di differenti rosa dai modi gentili.

Smeraldi violacei e ricami dorati ondeggiano come se nuvole sbarazzine si fossero prese il (piacevole) disturbo di scendere al piano terra del Mondo. I corpi delle protagoniste si muovono in totale libertà e dolcezza, guidato quasi dalle braccia che sembrano dipingere quello che solo le donne riescono ad esprimere e percepire.

Danze di gruppo e solitarie. Vengono proposti vari stili. Lo Sharqi (il classico), il Baladi, Sa’idi, d’origine alto-egiziana e in quest’occasione viene usato il bastone. Non c’è solo la tradizione, nell’era della contaminazione culturale e artistica, spazio anche al fantasy, con danza del ventre mescolata ad altri ritmi. Il gruppo storico sono, oltre a Monica ed Elena, ChiaraLorenaNorinaLeaFiorellaMichelaValentinaAriannaIsabella. Nelle principianti ci sono invece Giulia, Roberta, Elisa, Anna, Elisa e Cecilia.

Poi arriva l’assolo di Monica Zacchello, Le ali di Iside. Quando calca la pista sembra un cirro d’argento. Il largo velo che fa volteggiare, sprigiona armonia. Lei si avvolge dentro in queste ali di cristallo. E dopo avere tratteggiato nuove direttrici d’orizzonte, se ne esce come una farfalla in tutta la sua bellezza.

Tornano tutte in pedana per il saluto finale. Nelle loro gote appena arrossate, c’è una fresca soddisfazione. Sembrano creature felici. Ed è in effetti ciò che sono. Nel sorriso di Isabella trovo conferma di quanto spiegatomi. La danza del ventre del Gruppo Shams non è solo sport o performance. E’ dimensione di femminilità. E’ il piacere di condividere. E’ stare bene insieme fra amiche.

lo spettacolo ha inizio © Luca Ferrari
le danzatrici Elena Zamborlini e Monica Zacchello © Luca Ferrari
la spettacolo della danza orientale © Luca Ferrari
la spettacolo della danza orientale © Luca Ferrari
la danzatrice veneziana Monica Zacchello con le ali di Iside © Luca Ferrari
le danzatrici Isabella Gasparoni ed Elena Zamborlini © Luca Ferrari