(da sx) le danzatrici veneziane Giulia, Elena, Monica e Khalida © Luca Ferrari |
Non sapevo niente di danza orientale, poi un giorno incontrai delle persone speciali che ebbero la pazienza di raccontarmela. Iniziò così, un incredibile viaggio nell'anima umana.
di Luca FerrariContaminazioni emotive. Culture millenarie. Affinità interiori. Storia di un incontro casuale che divenne legame. C'era una volta, in una calda giornata estiva... E mentre presidiavo lo stand di un’associazione umanitaria al Festival dei Popoli al Lido di Venezia, nel chiostro di S. Nicolò, d’improvviso fu annunciato che di lì a poco sarebbe cominciato lo spettacolo di danza orientale del locale Gruppo Shams. Tra le protagoniste c’erano Elena Zamborlini, che conoscevo già da qualche anno, e altre danzatrici tra cui Giulia Giamboni e Monica Zacchello. A fine performance m’invitarono al saggio finale dei corsi che tenevano al Lido, davanti alla spiaggia del Pachuka Beach. Giacché all’epoca mi occupavo di cronaca sull'isola lagunare, presi due piccioni con una “danza”. Fu il mio primo e casuale incontro con la danza orientale.
Prima di procedere, una doveroso passo indietro. Fino al 2005 non sapevo proprio niente di danza orientale, danza del ventre e/o danza mediorientale che fosse. Se qualcuno mi avesse chiesto cosa fosse, mi sarebbe (forse) venuta in mente una danzatrice vista parecchi anni prima nel video Numb della rock band irlandese U2 o tuttalpiù qualche movenza di una giovane Shakira. Qualcosa nell'estate 2005 però, cambiò. Non fu tanto l'aver assistito a uno spettacolo, più che altro furono le parole di chi (e come) me le raccontò. Già, le parole. Qualcosa che “conoscevo” piuttosto bene ma non perché facessi (solo) il giornalista. All’epoca erano già 11 anni che scrivevo in modo incessante poesie/testi di matrice anglofona rock. Una strada questa, poi fusasi con la danza orientale e da cui nacque il libro Belly Roads – parole di danza, sentieri d’Oriente (2012, Granviale Editori).
Detto fatto, un bar del Lido fece da anfiteatro alla prima intervista multipla a delle danzatrici. Monica, Elena e Giulia si aprirono al mio rudimentale registratorino mentre sul block note mi segnavo qualcosina, raccontandomi entusiaste ciò che facevano e di quanto fosse speciale. Impossibile non lasciarsi contagiare. L’anno successivo feci ritorno lì, al Pachuka Beach per assistere a un loro nuovo show, e così pure 365 giorni dopo. Nel frattempo conobbi la “quarta moschettiera” della bellydance lidense, la più giovane Khalida. Alla stregua delle sue più navigate colleghe, fu sempre molto cordiale e disponibile per qualsiasi informazione danzante le chiedessi.
Da allora è passato molto tempo. Per qualche anno io e la carovana della danza orientale abbiamo "navigato" fianco a fianco. Mi ero talmente appassionato a questa disciplina, da lanciarmi nell'ambizioso progetto di fondare il primo giornale specifico italiano online, il defunto Bellydance Italia che, dispiace ammetterlo, poco interessò la rispettiva comunità italiana. Il mio primo sito sul mondo della danza orientale però, Belly Roads, è rimasto. Tra articoli e reportage, spesso spaziavo anche sulle poesie, molte delle quali poi finite nell'omonimo libro, Belly Roads (2012). Di recente gli articoli di Belly Roads sono stati traslati qui, su "Viaggi del Mondo (in costante working progress), per continuare a tenere in vita e raccontare questo incredibile e variegato mondo così ricco di storia, cultura e arte umana.
No, se su quel palco nel giugno 2005 non ci fossero state loro, probabilmente la danza orientale avrebbe occupato solo un piccolo spazio nel mio lavoro giornalistico. Se non avessi incontrato Elena, Giulia, Khalida e Monica, non mi sarei fatto contagiare. L'arte ha il potere di comunicare nei modi più immaginabili, ma sono le persone poi a fare la differenza. Il tempo è passato, e a parte un'incursione sulle pagine del settimanale internazionale L'Italo-Americano, è da parecchio tempo che ormai non mi occupo più di bellydance. Chissà, magari un giorno tornerò a raccontarla. Magari proprio a uno spettacolo di queste incredibili donne, e allora sarà anche l'occasione di poterle salutare. E allora potrò ringraziarvi, perché senza di voi, la vostra sincera amicizia e ispirazione, non avrei mai iniziato a scrivere di danza orientale.
Le danzatrici veneziane Monica, Elena, Giulia e Khalida |
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