Seattle e lo Space Needle/ Venezia con Palazzo Ducale e il campanile di San Marco © Luca Ferrari |
di Luca Ferrari
Le onde del Pacifico arrivate fino al Puget Sound. I fondali sabbiosi dell'Adriatico che spingono le acque dentro la laguna veneta. Una città patria della Microsoft, Boeing e Starbucks. Una città che non ha eguali al mondo i cui simboli sono il ponte di Ri' Alto e piazza San Marco. Seattle, avamposto dei cercatori d'oro. Venezia, antica porta d'Oriente. Seattle e Venezia. Venezia e Seattle, due città dall'insospettabile legame (personale).
Sono da poco passati tre anni da quando feci il mio primo sbarco a Seattle, tornando così negli Stati Uniti dopo un'assenza di otto anni e mezzo. Eppure, nonostante tanti viaggi successivi tra Gran Bretagna, Grecia e perfino a Cuba, il mio pensiero tornava sempre lì. In quell'anomala cittadina degli Stati Uniti nord-occidentale, più canado-giapponese che non a stelle e strisce. E ogni volta che il mio cielo veneziano si tinge di un grigio striato, lei mi torna in mente e sale la nostalgia. Sale davvero.
L'avevo desiderato tanto quel viaggio e forse quegli 11 giorni non sono stati abbastanza per rendersi davvero conto che fossi lì, a Seattle. La permanenza in terra americana infatti venne anche divisa con l'Oregon dei Goonies, il mito di Twin Peaks a North Bend e pure la Vancouver della British Columbia (Canada). Fin dal giorno del mio ritorno però, mentre ero ancora a Parigi per prendere la coincidenza che mi avrebbe riportato in Italia, qualcosa borbotttava forte. Ero soddisfatto, ma non del tutto. Come se non avessi fatto tutto ciò che dovevo fare.
E ne ho fatte di cose. La prima cosa che ho fatto è stato essere felice in un modo alquanto anomalo. Mica poco. In realtà nemmeno sapevo quanto lo sarei stato, ma il merito non è stato certo tutto mio. Per quanto desiderata, una meta non sarà mai in grado di regalarti l'esperienza meravigliosa della vicinanza umana. E si, stare su di una scogliera fumandosi una sigaretta e ascoltandosi una canzone ripensando agli anni passati è qualcosa che lacera e innalza ma ci può essere perfino di meglio. La felicità è reale solo quando è condivisa, tramandò all'eternità lo sfortunato e morente Chritopher McCandless, poeticamente raccontato da Sean Penn nel film Into the Wild (2007).
Mercoledì 8 luglio è stata una giornata alquanto movimentata in Veneto, con violenti nubifragi alcuni anche con risvolti tragici. A Venezia è scesa un po' di grandine ma solo verso sera inoltrata il vento ha cominciato a soffiare freddo-fresco, così l'indomani, uscito di mattina presto ho incontrato un cielo dolcemente plumbeo con venature azzurro-biancastre che mi hanno subito ri-catapultato a Seattle, al punto che mi chiedessi dove mi trovassi. Ed ecco la voce amica che mi risponde - sei a Venesseattle - (in dialetto locale Venezia si pronuncia Venessia).
Così, ogni qual volta soffia il vento con un cielo di codeste tonalità, io mi sento uno di quei ragazzini spensierati alla fine del video Stardog Champion dei Mother Love Bone che danzano davanti alla baia di Seattle. E immagino di svegliarmi lì. Insieme a voi. A noi. Avamposto umano-italiano nello stato di Washington dal sangue mediterraneo ansioso di scrivere una storia che potrà essere unica. Una storia comune che comunque vada è già stata unica.
Venezia, lungo il Canal Grande © Luca Ferrari |
Seattle, il Puget Sound © Antonietta Salvatore |
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