venerdì 26 giugno 2015

Le mie amiche danza orientale

(da sx) le danzatrici veneziane Giulia, Elena, Monica e Khalida © Luca Ferrari

Non sapevo niente di danza orientale, poi un giorno incontrai delle persone speciali che ebbero la pazienza di raccontarmela. Iniziò così, un incredibile viaggio nell'anima umana.

di Luca Ferrari

Contaminazioni emotive. Culture millenarie. Affinità interiori. Storia di un incontro casuale che divenne legame. C'era una volta, in una calda giornata estiva... E mentre presidiavo lo stand di un’associazione umanitaria al Festival dei Popoli al Lido di Venezia, nel chiostro di S. Nicolò, d’improvviso fu annunciato che di lì a poco sarebbe cominciato lo spettacolo di danza orientale del locale Gruppo Shams. Tra le protagoniste c’erano Elena Zamborlini, che conoscevo già da qualche anno, e altre danzatrici tra cui Giulia Giamboni e Monica Zacchello. A fine performance m’invitarono al saggio finale dei corsi che tenevano al Lido, davanti alla spiaggia del Pachuka Beach. Giacché all’epoca mi occupavo di cronaca sull'isola lagunare, presi due piccioni con una “danza”. Fu il mio primo e casuale incontro con la danza orientale.

Prima di procedere, una doveroso passo indietro. Fino al 2005 non sapevo proprio niente di danza orientale, danza del ventre e/o danza mediorientale che fosse. Se qualcuno mi avesse chiesto cosa fosse, mi sarebbe (forse) venuta in mente una danzatrice vista parecchi anni prima nel video Numb della rock band irlandese U2 o tuttalpiù qualche movenza di una giovane Shakira. Qualcosa nell'estate 2005 però, cambiò. Non fu tanto l'aver assistito a uno spettacolo, più che altro furono le parole di chi (e come) me le raccontò. Già, le parole. Qualcosa che “conoscevo” piuttosto bene ma non perché facessi (solo) il giornalista. All’epoca erano già 11 anni che scrivevo in modo incessante poesie/testi di matrice anglofona rock. Una strada questa, poi fusasi con la danza orientale e da cui nacque il libro Belly Roads – parole di danza, sentieri d’Oriente (2012, Granviale Editori)

Detto fatto, un bar del Lido fece da anfiteatro alla prima intervista multipla a delle danzatrici. Monica, Elena Giulia si aprirono al mio rudimentale registratorino mentre sul block note mi segnavo qualcosina, raccontandomi entusiaste ciò che facevano e di quanto fosse speciale. Impossibile non lasciarsi contagiare. L’anno successivo feci ritorno lì, al Pachuka Beach per assistere a un loro nuovo show, e così pure 365 giorni dopo. Nel frattempo conobbi la “quarta moschettiera” della bellydance lidense, la più giovane Khalida. Alla stregua delle sue più navigate colleghe, fu sempre molto cordiale e disponibile per qualsiasi informazione danzante le chiedessi.

Da allora è passato molto tempo. Per qualche anno io e la carovana della danza orientale abbiamo "navigato" fianco a fianco. Mi ero talmente appassionato a questa disciplina, da lanciarmi nell'ambizioso progetto di fondare il primo giornale specifico italiano online, il defunto Bellydance Italia che, dispiace ammetterlo, poco interessò la rispettiva comunità italiana. Il mio primo sito sul mondo della danza orientale però, Belly Roads, è rimasto. Tra articoli e reportage, spesso spaziavo anche sulle poesie, molte delle quali poi finite nell'omonimo libro, Belly Roads (2012). Di recente gli articoli di Belly Roads sono stati traslati qui, su "Viaggi del Mondo (in costante working progress), per continuare a tenere in vita e raccontare questo incredibile e variegato mondo così ricco di storia, cultura e arte umana. 

No, se su quel palco nel giugno 2005 non ci fossero state loro, probabilmente la danza orientale avrebbe occupato solo un piccolo spazio nel mio lavoro giornalistico. Se non avessi incontrato Elena, Giulia, Khalida e Monica, non mi sarei fatto contagiare. L'arte ha il potere di comunicare nei modi più immaginabili, ma sono le persone poi a fare la differenza. Il tempo è passato, e a parte un'incursione sulle pagine del settimanale internazionale L'Italo-Americano, è da parecchio tempo che ormai non mi occupo più di bellydance. Chissà, magari un giorno tornerò a raccontarla. Magari proprio a uno spettacolo di queste incredibili donne, e allora sarà anche l'occasione di poterle salutare. E allora potrò ringraziarvi, perché senza di voi, la vostra sincera amicizia e ispirazione, non avrei mai iniziato a scrivere di danza orientale.

Le danzatrici veneziane Monica, Elena, Giulia e Khalida

martedì 23 giugno 2015

Belly Charity, la danza orientale per i rifugiati

Lo show al Belly Charity vol. III © Stefania Cicirello

Belly Charity-Dance for Refugees vol. III, la danza orientale per i rifugiati nel nome della fratellanza e l'accoglienza.

di Luca Ferrari

Danza del ventre. Tango argentino. Danza indiana. Danza polinesianaPercussioni afro. Tribal bellydance e Tribal fusion. Ognuno di questi stili ha preso forma, cuore e movimento venerdì 19 giugno per celebrare la terza edizione di Belly Charity – Dance for Refugees, evento benefico con protagonista il variegato mondo delle danze orientali, tornato on stage in occasione della Giornata Mondiale del Rifugiato 2015. Uno spettacolo arricchito quest’anno anche dalle danza afgane che ha visto scendere in pedana danzatrici singole e gruppi con grande e calorosa partecipazione  del pubblico.

Mondo, 2015. Sono in fuga dalla guerra. Sono in fuga da spietate dittature dove il dissenso è punito col carcere e tortura. Centinaia di migliaia di esseri umani si mettono in viaggio dando tutto quello che hanno e se riescono ad arrivare vivi aldilà del Mediterraneo, cosa trovano? InsofferenzaPopulismoOdio razzistaMercificazione. Mai come nel 2015 la Giornata Mondiale del Rifugiato ha rappresentato un importante momento di riflessione e confronto. Un terreno dove anche la danza orientale ha voluto dare il proprio contributo.

Organizzatrice di Belly Charity – Dance for Refugees vol. III, l'ensemble milanese Tribal Troubles di cui fa parte Virginia Danese. Danzatrice si, ma non solo come lei stessa ha avuto modo di spiegare. Un'edizione questa che alla luce dei sempre più numerosi sbarchi sulle coste italiane accolti spesso da frasi oltraggiose e atteggiamenti inqualificabili anche da una certa classe politica, la giornata è risultata ancor più decisiva per lanciare messaggi precisi.

“Come mediatrice culturale, lavorando con i rifugiati politici da tanti anni, non posso che essere indignata con l'atteggiamento che si è sviluppato attorno al tema dell'asilo politico e che peggiora anno dopo anno” ha analizzato Virginia, “Quando si parla di profughi si parla solo di numeri. Si è persa l'umanità. Non ci si ferma neanche un secondo a pensare che ciò che spinge una persona verso una morte quasi certa è proprio quella probabilità di sopravvivenza”.

Come le due edizioni precedenti, anche Belly Charity: Dance for the Refugees vol. III è stato realizzato per raccogliere fondi la cui intera somma è stata poi devoluta all'Associazione Sviluppo e Promozione Onlus a supporto della gestione del Centro Welcome, centro diurno per rifugiati politici (uomini e donne) e richiedenti asilo con caratteristiche di vulnerabilità. Così, mentre la politica sbraita e la UE sonnecchia facendo finta di non vedere, la danza orientale agisce.

“Ogni anno cerchiamo di offrire al pubblico uno spettacolo di danze di diversa provenienza”, prosegue Virginia, “Crediamo sia un mezzo utile per far avvicinare anche i più scettici o anche i meno esperti alla ricchezza che ogni cultura ha dentro di sé e riesce a esprimere anche attraverso la danza. Personalmente, avere avuto tra il pubblico anche alcuni dei ragazzi rifugiati che frequentano il Centro Welcome, di cui alcuno erano anche Ramadam, mi ha dato un'emozione indescrivibile”.

Mentre c'è chi approfitta della sciagura umanitaria per fare becera propaganda elettorale, l'altra faccia di Milano è quella multietnica del Teatro Edi Barrio's con famiglie, ragazzi e ragazze delle etnie più disparate che applaudono e assistono alle performance delle numerose danzatrici intervenute. Tra le varie artiste che hanno calcato il palco, Jamila Zaki, quest'ultima pioniera della danza orientale in Italia, nonché direttrice di Zagharid, il primo circolo culturale italiano interamente dedicato all’arte della Danza Orientale.

A raccontare i colori e la storia millenaria della danza indiana, ci ha pensato invece Daria Mascotto: antropologa, danzatrice, danzeducatrice e insegnante. “A Belly charity ho portato il lavoro di alcune mie allieve” ha spiegato l'artista, “Una danza che è un'offerta di fiori e di sé, come sincera espressione artistica della gioia di donare, e un brano che ho danzato da sola, dedicato al Dio bambino Krishna, archetipo dell'amore incondizionato per la vita”.

“In un contesto di solidarietà come quello di Belly charity”, ha poi proseguito Daria, da dieci anni ormai attiva sul fronte della danza indiana, “ho voluto portare un messaggio di gioia e umiltà, di vicinanza all'essere umano e al divino che lo abita. É stata una serata dalla splendida atmosfera, ricca di artiste generose. Davvero un piacere collaborare con tante danzatrici sapendo che la propria passione può aiutare a sostenere una giusta causa”.

Lo spettacolo, aperto da una performance di Indian fusion delle padrone di casa, le Tribal Troubles, si è poi chiuso con una performance corale interpretata dal suddetto gruppo, Jamila Zaki e le allieve di Virginia, quest'ultima seduta a suonare le percussioni lasciando alle due colleghe Nicole e Nausicaa la guida della coreografia. Un pezzo questo mai provato prima, del tutto improvvisato. Un nugolo di donne guidate dall'istinto. Quello stesso, ma di sopravvivenza, che spinge ogni giorno migliaia persone a cercare l'impossibile per ricominciare a vivere. E oggi, almeno oggi, il linguaggio universale della danza orientale li ha accolti con amore.

Belly Charity vol. III - Tribal Troubles (sx) e Daria Mascotto © Stefania Cicirello
Belly Charity vol. III - le Tribal Troubles © Stefania Cicirello