lunedì 22 dicembre 2014

Belly Christmas, auguri di buon natale

 

da sx - le danzatrici Alice PattiJenny MinisiniSilvia ScottiAntonella Rubino,
Manuela Minardi, Monia Allocchio e Virginia Danese 

Per gli auguri più danzanti si è fatto avanti un neo-gruppo di Belly-Babbe Natale, tra pensieririflessioni e speranzeBelly Christmas a tutte/i.

di Luca Ferrari

“Ho iniziato a praticare danza del ventre quest'anno, per ritagliarmi un momento tutto mio al di fuori della routine lavorativo-familiare e i tanti stress quotidiani” si confessa Manuela Minardi, “la danza mi ha dato un motivo in più per sorridere e conoscere nuove amiche. Spero che nel 2015 continui a farmi star bene e mi dia più sicurezza in me stessa: riuscire in movimenti e coreografie lontani dalla mia tradizione mi dà molta soddisfazione. Spero che sempre più persone possano avvicinarsi alla cultura araba, anche solo attraverso la danza, per abbattere preconcetti e barriere infondate”.

InterioritàScoperta di nuovi linguaggiAccettazioneRinascita. Anche a natale la danza orientale fa ciò che ha sempre fatto. Accoglie nuove adepte che subito rispondono con entusiasmo e curiosità. Sotto la guida dell'esperta danzatrice Virginia Danese (membro dell'ensemble Tribal Troubles), un nuovo gruppo di danza del ventre si è formato. Registratore aperto dunque ai perché/percome di queste nuove allieve della grande famiglia bellydance.

“Ho incontrato la danza per caso e sono bastate poche lezioni per farmi sentire meglio” racconta Monia Allocchio, “auguro alla danza di entrare nella vita di tante donne e farle sentire un po' più belle e felici”. Sulla stessa lunghezza d'onda, la collega Jenny Minisini, che con estrema sincerità spiega: “Dopo momenti di malattia e tristezza, la danza del ventre mi sta aiutando ad accettarmi per quella che sono ora, Mi aiuta a sentirmi viva e il ritmo coinvolgente riesce a catapultarti in etnie completamente diverse dalla nostra. Mi auguro che la danza aiuti tutti e soprattutto che unisca popoli di tutto il mondo”.

“Ho deciso di sperimentare la danza del ventre perché ero incuriosita da questa realtà così diversa dai miei percorsi intrapresi negli anni precedenti (ho praticato kung fu per 14 anni)” racconta la giovane Silvia  Scotti, “per la prima volta ho dovuto usare il mio corpo cercando di essere femminile e aggraziata. Con mia grande sorpresa la cosa si è rivelata divertente e in un certo senso stimolante. Credo che questa danza sia molto utile per ogni donna per incrementare la sensualità e l'autostima di ognuna di noi”.

“Questo tipo di danza e musica mi ha sempre affascinato. Appena ho raggiunto l'età per poterla apprendere, ho fatto una giornata di prova e anche se ero abbastanza impacciata, me ne sono subito innamorata perché mi sentivo a mio agio: un benessere sia fisico ma soprattutto mentale” si analizza nel profondo Alice Patti, “grazie a essa mi sento già più sicura di me stessa. Un buon proposito per il 2015, per me è diventare sempre più capace come la mia bravissima maestra. Virginia infatti non si limita a insegnarci la pratica in sé, ma ci rende partecipi delle curiosità sulle origini e tradizioni usate in questo ballo (Virginia è anche mediatrice culturalendr). Alla danza auguro di essere sempre di più conosciuta per come è nata”.

Infine Antonella Rubino, per la quale l'aver iniziato a imparare la danza del ventre ha equivalso al realizzare un autentico sogno nel cassetto, definendo la suddetta pratica “un momento per se stessi dove si ritrova serenità,  gioia e ti fa apprezzare il tuo corpo”. “Per l'anno prossimo” ha poi concluso, “mi auguro continui a regalarmi questo benessere e ancora altri bellissimi momenti condivisi con il gruppo che si è creato”.

Last but not least, lei. Virginia Danese, da dieci anni in prima linea sul fronte bellydance. Pensieri alla mano, fa molto di più che augurare altri 365 giorni di danze a tutte, guardando al rapporto di chi viene da lei per imparare, “Per quanto lavorare con una passione sia molto bello, non significa automaticamente che sia facile. Al contrario lavorare con le persone è tanto bello quanto impegnativo".

“Le allieve sono tante e diverse, ognuna con i propri tempi, i propri punti di forza e le proprie fragilità. Ognuna con aspettative differenti” prosegue poi la danzatrice milanese, "Tu sei lì e hai il dovere di rispondere ai loro diversi bisogni e non sempre è facile. Quindi ringrazio la danza perché ogni giorno mi fa lavorare su me stessa  richiedendomi un grande lavoro in termini di metodo, capacità di comunicazione e, perché no, anche di pazienza.

Allo stesso tempo mi rende spettatrice dei cambiamenti di chi la pratica e ti ripaga di tutte le fatiche. Io vedo le allieve che iniziano come boccioli che piano piano si rinforzano per poi sbocciare e trasformarsi in bellissimi fiori. Ogni donna ha tutte le potenzialità per farlo e la danza aiuta in questo senso, basta accoglierla e accettare di impararla con i propri tempi.

È una danza per donne di tutte le età e sono contenta che anche ragazze molto giovani decidano di avvicinarvisi. Non è mai troppo presto per imparare ad apprezzarsi e a sentirsi più sicure di sé, così come non è mai troppo tardi per regalare un po' di tempo a se stesse. In una società che ci vuole perfette mi auguro che la danza orientale riesca a rompere queste costrizioni e a insegnare a sempre più donne che siamo belle anche con la pancetta e anzi, come dico sempre, che la pancetta è necessaria e – va coltivata – per fare lo shimmy”.

le belly Babbe Natale
(da sx in alto) - Jenny MinisiniAntonella RubinoMonia AllocchioSilvia Scotti,
(da sx in basso) - Alice Patti, Virginia Danese e Manuela Minardi

sabato 13 dicembre 2014

Volo, me la faccio sotto e atterro

In volo da Londra a Venezia, sopra le Alpi © Luca Ferrari
Ho volato e volerò ancora. Nel mio bagaglio a mano però, lei non manca mai: la cosiddetta “cacarella”. Storia di un anomalo trasvolatore.

di Luca Ferrari

A ridosso del natale 2003 m'imbarcai all'aeroporto Amerigo Vespucci di Firenze destinazione New York Newark. Neanche tre anni dopo me ne andai dalla parte opposta del mondo, a Bangalore in India. Passa qualche anno durante i quali scorrazzo su e giù per l'Europa a fare reportage di viaggi ed eccomi di ritorno negli States, raggiungendo questa volta l'amata Seattle. Quindi pochi mesi fa riprendo il largo dei cieli, sbarcando sull'isola di Cuba. Liberi di non credermi, ma io non amo “particolarmente” volare. Anzi, ogni volta che parto sono alquanto nervoso.

Lo stress della partenza. Le prime curve nel cielo. I classici vuoti d'aria più o meno forti in fase di atterraggio. Volare non è per tutti. Per la maggioranza non è nulla di diverso dal prendere un autobus, per altri è uno sforzo immane (celebre il caso dell'ex-calciatore olandese Dennis Bergkamp che ne aveva talmente paura che non partecipò mai alle trasferte dell'Arsenal qualora si prendesse un aereo). Io appartengo alla terra di mezzo. Volo, e tanto anche, ma sono sempre alquanto agitato.

La mia attività di trasvolatore dei cieli è iniziata nel giugno 1992, atterrando nell'allora aeroporto Punta Raisi di di Palermo, oggi dedicato ai giudici assassinati Paolo Borsellino e Giovanni Falcone. Già, Falcone. Arrivai in Sicilia neanche un mese dopo la sua barbara esecuzione  di stampo mafiosa. Un viaggio che non potrò mai dimenticare, così come la partenza per la quale rischia lo svenimento da paura quando il velivolo di Alitalia prese possesso dello spazio celeste.

Fu l'inizio. In fede però posso confidarvi che nei voli successivi non ebbi lo stesso reverenziale timore del vuoto, anzi. Di nuovo Sicilia, Parigi e la mia prima calata londinese furono ordinaria amministrazione. Quel viaggio in terra britannica (cui ne seguirono negli anni altri dieci fino a oggi), settembre 1997, fu a dir poco tranquillo. Prima volta che viaggiavo da solo in aereo. Da solo si fa per dire, pieno di cassette a farmi godere il panorama senza problemi dall'alto.

Passano cinque anni e ritorno nella City ma qualcosa s'è alterato. Volare inizia a prendere nuovi significati. E se qualcosa dovesse andar male? Ho solo 26 anni ma di vita alle spalle sento di averne già abbastanza e posso dire che non tutto è andato come avrei voluto. Stesso pensiero che provo ancora oggi, dodici anni dopo (così evito di scrivere l'età che ho, ndr). Ogni volta che parto sono sempre (troppo) a pensare a tutto quello che non ho ancora fatto.

Non che con la macchina alle volte non ci sia da sudare, ma è la sensazione dell'alto che mi manda nel panico (idem in seggiovia). E poi c'è la partenza. Quella è la peggio. Quando il velivolo è ormai lanciato sul rettilineo sono sempre a ripetermi nella mente “... e tira su questa carabattola!”. Poi a un certo punto sento che i miei piedi non hanno più la percezione della terra e allora, con lo sguardo dalla parte opposta al finestrino, rimango in costante stato di stress fino a quando il mezzo non si piazza orizzontale e le hostess iniziano a servire la “merenda” il che significa che è tutto tranquillo. Più o meno. Apro il pc. Mi guardo qualcosa, scrivo.

Ma in quei momenti di panico sotto silenzio, che si può fare? Nulla. Ormai si è in ballo. Spremuto fino al limite del consentibile l'mp3, passo poi a qualche giochetto mentale. Da irriverenti ma rilassanti frasi di amici, a ricordi più variegati passando per citazioni cinematografiche, su tutte le gag dei due trasvolatori Bud Spencer e Terence Hill alle prese con lo spiritosone di turno che li sbeffeggia per essere precipitati vivi nel Maranhão (rif. Più forte ragazzi). E ovviamente non manca il classico, “se tutto va bene, prometto che cambierò...” sapendo benissimo che ciò non accadrà.

Ultimo acquisto delle mie tecniche anti-stress, immaginare una persona che m'ispira fiducia che mi parli nella mente garantendomi che tutto andrà bene, che non stiamo facendo nulla di particolare e così via. Chi è questa persona? L'ex-allenatore di calcio Fabio Capello. Non l'ho mai incontrato e non sono tifoso né del Milan né della Juventus, ma quell'uomo mi ispira sicurezza e durante il decollo me lo immagino sempre accanto a me mentre mi parla come se non stessimo facendo nulla di speciale. Capello, un cui articolo trovai proprio sul giornale il giorno che partii per un reportage nel Canada orientale

Perché volo allora? Perché insisto a prendere aerei? Sarò banale ma la risposta è la più semplice che esista: perché voglio vedere il mondo e anche se fremo ogni volta che inizio anche solo a pensare alle ore che passerò sopra le nuvole, non voglio certo lasciare alle mie paure il gusto di impedirmi di muovermi. Perché poi, una volta atterrato e con in bocca quella fantastica sigaretta post-stress (dicasi la cicca della vecchia, prossimamente su questo magazine), ti rendi sempre conto che ne è valsa davvero la pena. If you want to be hero, well just follow me...

Più forte ragazzi, a ripensarci in volo ci si rilassa...

Una lettura "adrenalinica" prime del decollo © Luca Ferrari
Venezia, aeroporto Marco Polo - in partenza per Monaco © Luca Ferrari
Il velivolo sta già correndo verso Monaco © Luca Ferrari
A bordo nei cieli © Luca Ferrari
Partito da Milano, inizia a vedersi la Danimarca © Luca Ferrari
Partito da Copenaghen, inizia a vedersi la Svezia © Luca Ferrari
Partito da Copenaghen, ormai sono sopra la visibile Italia © Luca Ferrari
Partito da Milano, si vedono le pale eoliche della Danimarca © Luca Ferrari
Partito da Londra-Gatwick, sto sorvolando le Alpi © Luca Ferrari
Partito da Londra-Gatwick, sto sorvolando le Alpi © Luca Ferrari
Partito da Londra-Gatwick, sto sorvolando le Alpi © Luca Ferrari
Partito da Bergamo, l'aereo sta frenando all'aeroporto di Goteborg © Luca Ferrari
Partito da Londra-Gatwick, eccomi atterrato a Venezia © Luca Ferrari

martedì 9 dicembre 2014

Sticky Walnut, tu il buon cibo lo conosci

Sticky Walnut, rombo con riso di zucca © Luca Ferrari
Non si vive di solo cheese-burger in Inghilterra. Se si avesse la fortuna poi di "pascolare" in quel di Chester, le specialità dello Sticky Walnut vi attendono.

di Luca Ferrari

“Questo (locale) mi è nuovo, non ci ho mai mangiato prima”. Può sembrare assurdo, ma a dispetto di una frequentazione ormai quinquennale della città di Chester, non mi ero ancora accomodato allo Sticky Walnut. Il contatto finalmente c'è stato, in un freddo sabato sera di dicembre con le luci natalizie di Charles Street ad augurare a tutti un costante Merry Christmas.

Una volta aperta la porta, il calore, in senso proprio letterale, è subito avvolgente. Da maglione e cappotto si resta in banalissima camicia (bagno escluso). Il locale è a due piani ma i coperti sono limitati, esattamente come le portate del menù, direttamente proporzionali alla bontà delle suddette. Spazi ristretti in cui le giovani cameriere saettano instancabili.

Ricette elaborate ma non per questo tronfie. Si spazia tra pesce e carne con scelte interessanti anche tra gli antipasti, preceduti da una soffice e oliata focaccia al rosmarino. Consigliabile il rombo (roasted brill) con riso di zucca, tanto gustoso quanto delicato. Un posto da farci ritorno. Magari in un'occasione speciale come un compleanno, comunque in compagnia. Cheers!

Sticky Walnut (Chester),  il pesce haibut © Luca Ferrari
Charles Street (Chester),  addobbata per natale © Luca Ferrari