martedì 25 giugno 2013

Dear Me, Seattle and You

Seattle © Luca Ferrari
Cronaca del viaggio atteso da una vita intera. Rimandato e pure dimenticato, ma rimasto lì. Nella parte più vera di ciò che sono. Sto partendo per Seattle.

di Luca Ferrari

Andare a Seattle, quante volte l'ho immaginato senza fare nulla. Articoli di giornali/riviste ritagliati e incollati in diari personali. Seattle, una delle città più vivibili d'America. Seattle, la città di Jimi Hendrix e del rock anni Novanta. Poi un giorno accadde, ma ad attendermi nell’altro capo del mondo non c’era la solitudine di un paio di cuffie ma dei nuovi amici e una persona molto speciale al mio fianco. Comunque è deciso. Si parte per Seattle.

il biglietto del volo Parigi-Seattle © Luca Ferrari
È lunedì 25 giugno 2012. La sveglia suona prestissimo. Verso le quattro. La mattinata veneziana è di quelle afose che non lasciano scampo né respiro. A Piazzale Roma c’è il primo autobus di linea (n. 5) che porta all’aeroporto Marco Polo. Con sorpresa lo trovo stracolmo. Non proprio l’ideale visto che l’aria condizionata va a singhiozzo e il vestiario indossato fa grondare sudore.

Se già nel Nordovest americano non troverò certo 30 gradi, nemmeno in volo incontrerò chissà quali miti temperature. Ancora memore dell’esperienza indiana quando ripartito da Bangalore, una volta sedutomi, passai in un amen da semplice t-shirt a più strati fatti di camicia, felpa, foulard e giacca jeans, questa volta gioco d'anticipo. Un po' troppo.

L'ispirazione prende il volo prima ancora del velivolo, e per uno che dal 19 luglio 1994 scrive testi/composizioni, in questo caso, e con un laptop sulle ginocchia, è tutto magicamente naturale ed emozionante.

...la sincerità non è mai
abbastanza… la fotocopia
della propria esperienza non è solo qualcosa
che voglio poter raccontare… la pelle
dell’oscurità è sempre e solo stata un emblema
da rivendere gratuitamente
per un consumo immediato…  ho
sempre dormito poco
pensando a un domani migliore… è ancora presto
per svelare
tutto quello che ho dentro… sono
un bambino che vola
e si ambienta ogni volta che può sorridere
in disparte”…
                                          (Tessera [Ve], aeroporto Marco Polo, 6.18, 25 Giugno ’12)

Arriva il momento del decollo, fase del viaggio aereo che amo meno. Sarebbe più facile dire che la detesto. Una mano si stringe al sedile. La sinistra si tiene stretta a un portachiavi del Gallo Nero del Chianti. Occhi chiusi. Vado avanti così finché il velivolo si sistema sulla pista. Poi, quando i motori iniziano a pompare, la mia faccia passa dal paonazzo al - statemi lontano tutti 10 km.

Partito. Il volo dell'Air France è in perfetto orario. Nessun fastidioso vuoto d'aria. Dopo neanche due ore ho già varcato le Alpi e sono in terra francese all’aeroporto Charles de Gaulle di Parigi. Poco più di un’ora ancora e guadagnerò i cieli per un salto di migliaia e migliaia di chilometri. Ancora non riesco a crederci. Ancora non riesco a crederci che sia passato così tanto tempo da quando ho immaginato questo momento. E sono certo di aver giurato che ci sarei andato. Si, perché l'avevo anche scritto su carta. Questa carta:

carta e parole datate 1996 quando giuro che verrò a Seattle © Luca Ferrari
E sono certo di essermi sicuramente rassegnato a lasciarla lì. Adesso però il passato non conta più. Adesso il passato conta anche più di prima. Novello Heimdall, mi sono appena lasciato andare verso un altro mondo. E lo attraverso. Supero la Manica e dall’oblò celeste saluto la cara vecchia Inghilterra con una dedica al verde Cheshire. Addio Europa, hello United States. Here I'm coming, Seattle.

Penso. Leggo. Ascolto musica ma soprattutto scrivo:

“l’inchiostro era sbavato quanto basta
perché le mie mani non potessero intorpidire
ogni iniziale supposizione… la giovinezza
è tipica degli spiriti a seconda
di come ci rapportiamo con le tasche inutilizzate
sulle nostre alture onniscienti/”…
                                                  aereo Parigi/Seattle, 14.36, 25 Giugno ’12

Nella mia dimensione creativa il cinema ha preso il posto della musica (salvo qualche rara e fondamentale eccezione), così quando iniziano a passare film in alta quota, per il sottoscritto è una doppia festa. Ancora di più quando scopro trasmettere La mia vita è uno zoo (2012), visto appena pochi giorni prima al cinema Palazzo di Mestre (Ve). Un tempismo perfetto. Dietro la telecamera c’è infatti Cameron Crowe, regista di Singles (1992), storia d’amore/amicizia con di sfondo la nascente scena musicale di Seattle, e Pearl Jam Twenty (2011), dedicata all’omonima rock band formatasi proprio nella meta del mio viaggio.

Culmine della più recente pellicola, quando i tre protagonisti principali Benjamin (Matt Damon), Lily (Elle Fanning) e Kelly (Scarlett Johansson) si ritrovano nella quiete rurale di un bar-pub e dal jukebox si sprigionano le note di Hunger Stirke, intimo manifesto della Seattle più poeticamente amichevole targato Temple of The Dog

Tocca poi a un’altra commedia appena sbarcata sul grande schermo, Una spia non basta (This Means War), con la bella Reese Whiterspoon (premio Oscar 2006 come miglior attrice per Walk the Line) contesa dagli amici/agenti segreti Tom Hardy e Chris Pine.

Guardo il film e scrivo:

“un tripudio che non si spiega con il colore
di un fiume…  gli amanti del cielo
non sono poi così decisi
a fare del proprio ritorno una comunicazione
d’esperienza comune… non è stato
così difficile rimettere insieme i pezzi… è stata
la mia impresa personale
riuscire a scoprire
la giusta inclinazione di un ago
nascosto in una memoria che non parlava altro
che il participio singolare
di una comunanza
consumata in pochi attimi… quello
che un tempo amavo
non ha mai saputo andare oltre le intenzioni di un disegno
senza paesaggio né interpreti”…
                                                        aereo Parigi/Seattle, 17.42, 25 Giugno ’12

Da ore sto attraversando i cieli del Canada, altra nazione che amo e nei miei sicuri progetti esplorativi, sponda Vancouver, una volta atterrato a Seattle. Inizia la discesa. In stato di emersione da quello che può volutamente accadere. Quello che c’è decisamente da riconoscere. Per quello che sono e il modo in cui mi sono espresso, provo ancora a dire quello ciò che non si può raccontare con i semplici numeri incanalati nell’intimità di un racconto.

Era il 10 aprile 1996 quando scrissi sul pezzo di carta sottostante che sarei venuto a Seattle. Sta accadendo...

è il aprile 1996 quando scrivo che un giorno verrò a Seattle © Luca Ferrari
Ci sono. Resta solo la dogana. Una coda lunga. Trovo cortesia ma non tengo l’adrenalina. Sono nervoso. Quasi di cattivo umore. Devo scrivere qualcosa. Qualcosa che aspettavo. In quella lettera di sedici anni fa c'era uno spazio bianco. C'è ancora. Uno spazio da riempire con le mie prime parole appena sbarcato all'aeroporto Sea-Tac È arrivato il momento e così faccio:

aeroporto Sea-Tac: riempio lo spazio bianco © Luca Ferrari
La prosa non basta più, la poetica esce dai ranghi:

"Adesso che devo fare con te?
Devo ricopiare l’ora segnata o posso andare avanti?...
Il sangue è rimasto lo stesso… Il rituale
non appartiene alla mia esigenza
di non credere al tempo che passa… Quando
passavo le mie notti a sognare
quello che non mi poteva accadere, non ero ingenuo
né tanto meno prodigo di ipotesi
volenterose… La violenza di un unico fiore
dinnanzi alla tempesta
che si nasconde dentro le mie stesse pagine
è una continuazione per cui
non ci sono campane di libertà
né dichiarazioni sostitutive del proprio animo
umano
...
Arrivato a questo punto della mia vita
posso dire che non ho ancora chiaro
quello che mi è successo
per andare oltre questo stesso momento…
                                                             (Seattle, aeroporto Seat-Tac, 25 Giugno ’12)

Stati Uniti d'America, aeroporto Seattle/Tacoma © Luca Ferrari
Ancora non riesco a crederci. Sono a Seattle. No, non è stato nulla come lo avevo immaginato. Ma per questo c’è ancora tempo per raccontare, vivere. Continuare... 

Seattle © Giovanni Ligresti

lunedì 24 giugno 2013

Chianti, Spirit(o) selvaggio

Chianti (Si), località Gaggiole – cavalli © Luca Ferrari
Dall’animazione dreamworksiana di Spirit alla realtà della campagna senese di Castellina in Chianti. Un fischio, ed ecco una madria di cavalli.

di Luca Ferrari

Otto esemplari castani scuro. Lì nella quiete agreste del Chianti. Perso nella campagna senese, con il centro abitato di Castellina in Chianti ancora lontana nel mio orizzonte. Con i poggi a ridicolizzare l’infinito e le stelle mimetizzate nel cielo a ricorrersi invisibili (per ora).

Si avvicinano senza timore con il grosso muso oltre il recinto. Si protendono per mangiare l’erba che gli porgo. L’istinto sarebbe quello di saltare il filo spinato, attaccarmi alla criniera di uno di essi e partire al galoppo senza più fermarmi (ok, forse il cavallo non sarebbe così d’accordo).

Troppo forti le reminescenze sonore (colonna) scandite dal canadese Bryan Adams, il compositore americano Hans Zimmer e l’italiano Zucchero. Non ho nemmeno bisogno di azionare l’mp3. A ogni ruminata erbivora risuona una sferzata di libertà. Ogni volta che mi perdo nelle loro gigantesche pupille vedo qualcosa capace di volare da qui all'Eternità. 

Chianti (Si), località Gaggiole – cavalli © Luca Ferrari
Chianti (Si), località Gaggiole – cavalli © Luca Ferrari
Chianti (Si), località Gaggiole – cavalli © Luca Ferrari
Chianti (Si), località Gaggiole – cavalli © Luca Ferrari
Chianti (Si), località Gaggiole – cavalli © Luca Ferrari
Chianti (Si), località Gaggiole – cavalli © Luca Ferrari
Chianti (Si), località Gaggiole – cavalli © Luca Ferrari
Chianti (Si), località Gaggiole – cavalli © Luca Ferrari
Chianti (Si), località Gaggiole © Luca Ferrari
Chianti (Si), località Gaggiole – cavalli © Luca Ferrari
Chianti (Si), località Gaggiole – cavalli © Luca Ferrari

mercoledì 12 giugno 2013

Iran 1975-1995: Un Golfo, uno Stretto, un Mare

Golfo, uno Stretto, un Mare (Iran 1975-1995) © Riccardo Zipoli
Riccardo Zipoli in Iran. Tre differenti esperienze temporali nell'antica Persia e un unico grande percorso. L’arte umana al servizio dell’immortalità comune. 

di Luca Ferrari

L'acqua si fa largo tra la dune. La cupola squarcia il viola di qualche pinnacolo di Madre Natura. Grotte di pietra condensano pertugi nella via della propria ricerca. Tinte tardo-glaciali sfidano a equi duelli di sfumature il resto della terra, e qualche pozza di sole galleggiante è lì a osservare il futuro. Il cielo è un elemento. L'orizzonte rincorre l'uomo nei suoi viaggi.

Originario di Prato, Riccardo Zipoli, fotografo e docente di Lingua e letteratura persiana e di Ideazione e produzione fotografica presso l’Università Ca’ Foscari Venezia, imbraccia l'obbiettivo per raccontare una storia dalle traiettorie tanto personali quanto soggettive. Il risultato è Un Golfo, uno Stretto, un Mare (Iran 1975-1995), esposizione fotografica pronta a sbarcare anche a Venezia (14 giugno-15 ottobre), dopo le tappe nell’isola di Hormoz nel Golfo Persico e a Belo Horizonte in Brasile.

Meta principale del viaggio fotografico, la provincia dello Hormozgân con incursioni anche a Bandar-e ‘Abbâs, nelle isole di Qeshm e di Hormoz, e più a est, nella zona di Châh-Bahâr, in Balucistan. 36 scatti totali con il fine di costruire un repertorio che oltre a essere un diario personale di terre lontane, offre un’idea di quei luoghi in un misto di memoria e documentazione. 

L'esposizione propone un percorso in cui fotografie, musiche, poesie, mappe e descrizioni scientifiche si alternano in un itinerario che lascia emergere aspetti del Golfo Persico lontani dallo stereotipo contemporaneo dominato (e viziato) da tematiche economico-militari. Il quadro che ne esce dunque è quello di una zona estranea alle contese di cui è stata ed è oggetto. Una zona bella, affascinante e pacifica. I brani musicali, inediti, sono stati registrati dal grande iranista Ilya Gershevitch (1914-2001) nel Golfo Persico nel 1956, il tutto realizzato grazie alla generosità dell’Ancient India and Iran Trust di Cambridge (Regno Unito), in collaborazione con il Conservatorio Musicale veneziano Benedetto Marcello.

Il video, con la voce recitante dell'attrice Ottavia Piccolo raccoglie alcuni materiali della mostra ed è stato realizzato in collaborazione con il Dipartimento di Scienze Ambientali, Informatica e Statistica dell’Università Ca’ Foscari Venezia. Le poesie, tradotte in italiano da Riccardo Zipoli stesso, sono di Shamsoddin Mohammad Hâfez (1320-1390), il più importante poeta lirico di lingua persiana. Le schede scientifiche infine, che descrivono da vari punti di vista le zone oggetto della mostra, sono a cura di Gerardo Barbera

Golfo, uno Stretto, un Mare (Iran 1975-1995) © Riccardo Zipoli
L’ultimo viaggio compiuto dall’autore a Hormoz risale al vicino 2012, e ha permesso la realizzazione di ulteriori fotografie, alcune delle quali (una ventina) dedicate alla singolare Valle del Sale con le sue combinazioni di forme e colori, e altre realizzate alla miniera della terra rossa. Quest’ultime, accostate a quelle analoghe scattate nel 1975, testimoniano i cambiamenti ambientali avvenuti in questo intervallo di tempo. Alcuni di questi scatti hanno trovato posto nella mosra venezian.

La mostra “Un Golfo, uno Stretto, un Mare (Iran 1975-1995)” è visitabile da venerdì 14 giugno a martedì 15 ottobre 2013 presso il palazzo di Ca’ Cappello, sede della sezione del Vicino e Medio Oriente, Caucaso e Subcontinente Indiano del Dipartimento di Studi sull'Asia e sull'Africa Mediterranea dell'Università Ca' Foscari di Venezia, con il seguente orario: lunedì – venerdì h. 9-19; sabato 9-12. Chiuso 12-17 agosto. Ingresso libero.

Aspettami mondo, la durezza del tuo cuscino è la bilancia dei miei occhi. La mia corsa non finirà con la dieta della sabbia. Sull'altra sponda ci arriveremo insieme all’oceano…

Golfo, uno Stretto, un Mare (Iran 1975-1995) © Riccardo Zipoli
Golfo, uno Stretto, un Mare (Iran 1975-1995) © Riccardo Zipoli
Golfo, uno Stretto, un Mare (Iran 1975-1995) © Riccardo Zipoli

venerdì 7 giugno 2013

Galles, dolce agreste Hawarden Farm Shop

Galles, l'Hawarden Estate Farm Shop © Luca Ferrari
La prima volta fu come reporter di viaggi, le (tante) successive per piacere. Viaggio in Galles, nella bucolica Hawarden Estate Farm Shop.


Atmosfera da fiabe, gote rosse e caminetto. Incespicano i venti, si soffermano i raggi del sole. Pertugi d'acqua dolce senza il neon dell'ignoto. Un sentiero si fa esigenza. Un sogno si fa deposito nella Madre Terra. Un sorriso si dilunga nel verde del Galles, a poca distanza da Chester (Inghilterra). Tra i sapori e la natura dell'Hawarden Estate Farm Shop.

Era l'8 ottobre 2010, aeroporto Bergamo Orio al Serio. Dopo un fantastico siparietto di turisti pronti per ricongiungersi con un tale Ciccio Formaggio nella città nei Fab Four, sbarco all’aeroporto John Lennon nella contea del Merseyside. Indicazioni e piantina s’incespicano tra di loro e così, invece di prendere la strada dell’Ovest mi ritrovo ad attraversare l’intera Liverpool per poi ritrovare la direttrice (Manchester) per il Galles.

Con una pratica guida cartacea sotto mano, mi sento il padrone delle strade della piccola nazione britannica. Riscontro comunque una certa difficoltà nel leggere i cartelli, molto spesso coperti dalla fitta vegetazione. Miglio dopo miglio il panorama si fa sempre più verde. Ad Hawarden, nel Flintshire, domina l’atmosfera rurale. La mia prima meta è l’Estate Farm Shop

C’era aria di Halloween allora. Tutto improntato sulle zucche. Scopro un mondo coltivato a zucche e mele con la vendita di prodotti naturali, mentre poco dietro la fattoria, pecore, pollame e maiali razzolano e grufolano per la gioia dei bambini. I fiori di zucca tinteggiano di giallo il panorama. Sullo sfondo, un castello racconta di epiche memorie.

Now I start again. Here. Hawarden, here I go...

Oggi è un altro giorno. Un altro anno. Un altro clima. Un caldo sole estivo splende nel cielo gallese. Gl'ingredienti ideali per godersi l'atmosfera all'aria aperta dell'Hawarden EstateFarm Shop. L'erba verde domina lo spazio. Placidi grugniti si rincorrono nello spazio recintato spaparanzati al sole. Una placida passeggiata tutt'intorno fino al New Hawarden Castle e poi l'ingresso nella fattoria.

Sarà il clima, saranno i maiali, sarà l'atmosfera rurale britannica o saranno i bambini che corrono lì fuori ma la mia memoria viene dolcemente condotta alle immagini divertente videoclip Stop (1998) delle Spice Girls, dove le cinque ragazze ballavano e cantavano in una placida cittadina di provincia tra giochi di un tempo e passeggiate in pony.

Rientro nella realtà, e nella Farm. Basta un passo e subito vengo invaso dai sapori più disparati, dolci e salati. Qualche acquisto rivolto in particolare a gustose marmellate di verdura, ideali per irrobustire un piatto d'insalata o spalmarle a fianco di carni, e poi mi siedo leggiadro lì fuori. Su comode panche di legno con tavolini, facendosi cucinare alla piastra un semplice quanto essenziale cheesebuger.

E se poi si volesse chiudere in bellezza, spazio anche al caffè con i tipidi dolci della tradizione britannica.

C'è tutta l'atmosfera British agreste nel video "Stop" delle Spice Girls

Galles, i dintorni dell'Hawarden Estate Farm Shop © Luca Ferrari
Galles, si cucina anche all'aperto all'Hawarden Estate Farm Shop © Luca Ferrari
Galles, maiali grufolano subito fuori l'Hawarden Estate Farm Shop © Luca Ferrari
Galles, l'ingresso all'Hawarden Estate Farm Shop ai tempi di Halloween © Luca Ferrari
Galles, i bambini all'Hawarden Estate Farm Shop © Luca Ferrari
Galles, le zucche coltivate dell'Hawarden Estate Farm Shop © Luca Ferrari
Galles, i fiori di zuccha coltivati all'Hawarden Estate Farm Shop © Luca Ferrari
Galles, meleti coltivati all'Hawarden Estate Farm Shop © Luca Ferrari
Galles, i dintorni subito fuori l'Hawarden Estate Farm Shop © Luca Ferrari
Galles, il New Hawarden Castle poco distante l'Estate Farm Shop © Luca Ferrari
Galles, i dintorni subito fuori l'Hawarden Estate Farm Shop © Luca Ferrari
Galles, il New Hawarden Castle poco distante l'Estate Farm Shop © Luca Ferrari
Galles, l'interno dell'Hawarden Estate Farm Shop © Luca Ferrari
Galles, un dolce british dell'Hawarden Estate Farm Shop © Luca Ferrari
Galles, l'interno dell'Hawarden Estate Farm Shop © Luca Ferrari