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Seattle © Luca Ferrari |
Pioverà anche nove mesi l’anno lassù, a Seattle, ma il clima umano che si respira nel capoluogo della contea di King (WA) è tutt’altro che gelido.
di
Luca Ferrari
Una città cordiale. In perfetta simbiosi con la delicatezza dell’immenso
patrimonio arboreo-marino da cui è circondata. Quasi sommersa.
Impregnata. E la sua linfa, isolata dal resto del continente, racconta
una storia dal volto multiculturale che guarda non solo oltre
all'immenso Oceano Pacifico che le carezza il golfo. Viaggio a Seattle.
Gli scenari statunitensi coprono ogni possibile fantasia paesaggistica. La mia destinazione questa volta è appena sotto l’estremo ovest canadese, a poco più di due ore (via strada) da
Vancouver oltre confine. Un volo che dal centro Europa è di circa undici ore. Fatto scalo a
Parigi, mi pare quasi impossibile poter coprire una simile distanza di migliaia di chilometri senza tappe intermedie. Ma così è. E in un attimo il velivolo conquista le infinite autostrade celesti, lasciandosi via via alle spalle
Gran Bretagna,
Islanda, quindi la
Groenlandia. Si supera la
Baia di Baffin e poi è tutto un assolo canadese fino a raggiungere la sponda pacifica, e l’atterraggio all’
aeroporto di Seattle – Tacoma.
L’impatto con la città inizia come se si fosse in provincia. In una caffetteria nel quartiere di
Georgetown. Musica jazz di sottofondo e il sapore di una gentile tazza di caffè caldo. Un autobus nelle vicinanze mi conduce poi verso
Downtown.
Non faccio tempo ad aprire la cartina per iniziare a orientarmi, che subito un poliziotto mi viene incontro per chiedermi se ho bisogno d’aiuto. Tra me e me penso sia il suo dovere. Sbaglio. Durante il mio rallentato vagare per le varie avenue, più di un cittadino si dimostra prodigo di attenzione. La prima meta intanto si avvicina. Tra
Pine Street e
Pike Street, punto al celebre
Pike Place Market.
Prima di arrivarci però, m’imbatto in un luogo cult per gli amanti della musica. L’Hard Rock Cafè. Se la città di Seattle richiama subito alla memoria il leggendario chitarrista Jimi Hendrix (1942-1970), tra fine anni ’80 e anni ’90, altri gruppi furono capaci di guadagnare le luci della ribalta internazionale, annientando il pomposo concetto di rock star e proponendo sonorità incisive legate a varie tradizioni (rock, metal, punk, pop) incarnate da band della porta accanto quali Mudhoney, Mother Love Bone, Soundgarden e in seguito Nirvana, Pearl Jam e Alice in Chains.
Saziato dunque l’appetito musicale, seguo l’istinto della buona tavola, immergendomi nei sapori ittici del suddetto mercato (PPM). Il pesce è il protagonista principale, ma il Market Center è un bazar globale che spazia dai gadget turistici a negozietti vintage di gusto. Un universo culturale tinteggiato dall’aria salmastra.
Lo spirito di conquista gli americani non l’hanno mai perduto. E quando i pionieri partirono alla corsa all’oro nella fredda terra dello Yukon, furono in molti a salpare proprio da Seattle. La città rende omaggio al loro spirito avventuriero in quella che fu una delle più grandi epopee, con il Klondike Gold Rush Museum (ingresso gratuito), poco lontano da Capitol Hill. Un imperdibile viaggio tra storia, sofferenze e ricchezza (per pochi) conquistata. Pannelli descrittivi e oggetti d’epoca riescono alla perfezione nel concretizzare il salto temporale, facendoci sentire tutti un po’ argonauti, nel gelo delle acque dei torrenti, alla ricerca delle agognate pepite.
E dai cercatori passo a un altro livello. Sulla 5th Avenue salgo a bordo della Monorail, direzione Space Needle, simbolo indiscusso della città di Seattle. Una torre alta 184 metri, realizzata nel 1962 in occasione dell’Expo. Si può raggiungere la quasi sommità del cosiddetto “Ago dello Spazio” attraverso l’ascensore in meno di un minuto. E lì sotto, a fianco del Seattle Centre e dei tanti negozietti, l’Experience Music Project and Science Fiction Museum and Hall of Fame (EMP/SFM), museo dedicato alla fantascienza e alla musica.
Se il sound di Seattle fu (è) un’ispirazione, ora è il suo stesso volto pulsante a dettare i tempi. Seattle, chiamata anche Emerlald City (città smeraldo), è collocata tra il Lake Washington e un braccio dell’Oceano Pacifico, il cosiddetto Puget Sound. Abbandono il moderno dello Space Needle, avvicinandomi sempre di più al mare.
Raggiunta l’Alaskan Way che costeggia le acque marine con tanti moli su cui sporgersi per fare un ritratto alle correnti, immetto nel mio quadro visivo anche la Ruota panoramica, la più alta degli Stati Uniti inaugurata il 1 luglio scorso, e le celebri gru rosse del porto, da cui il geniale regista Steven Spielberg trasse ispirazione per dare forma ai suoi terribili mostri del film La guerra dei mondi (War of the Worlds, 2005).
Avvicino le mani dentro l’acqua oceanica. Sto un po’ tremando. Nella profondità arborea di una collina da cui godermi questo panorama, trovo conferma di una legittima aspirazione onirico-sentimentale. Mi sento intenzionato a respirare tutta l’aria fresca a disposizione. Ho fatto le valigie senza trascendere. È tutto così continuativamente infinito. Dinnanzi ai tanti fiori che guardano la baia di Seattle, le pagine del proprio stato umano raccontano che cosa si vede. Si dice. Sopraggiunge.