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mercoledì 27 aprile 2022

Il 27 aprile in Slovenia si celebra la Giornata dell'Insurrezione contro l'occupatore

Lago di Bohinj (Slovenia), lapide II Guerra Mondiale © Luca Ferrari

Il 27 aprile si celebra in Slovenia la Giornata dell'Insurrezione contro l'occupatore. Sulle sponde del lago di Bohinj, una lapide traccia memoria e germogli di pace.

di Luca Ferrari

Un tuffo nella natura lacustre della verde Slovenia, a tu per tu con la Storia del Secondo Conflitto Mondiale. A una mezz'oretta scarsa dal placido lago di Bled, c'è un altro specchio acqueo tra i più celebrati della giovane Repubblica Slovena (1991), il lago di Bohinj, nel cuore del Parco Nazionale del Triglav, tra i più antichi d'Europa. Incastonato nelle Alpi Giulie, si trova a poche miglia dall'altopiano di Pokljuka, piccola meta sciistica frequentata soprattutto dai locali e totalmente immersa nel verde. Un'oasi di pace il lago di Bohinj, all'inizio della quale si erge la chiesetta di San Giovanni Battista, finemente affrescata, e raggiungibile (anche in macchina) attraverso un caratteristico e panoramico ponte di pietra.


Parcheggiata la macchina lì nei paraggi, vengo subito attirato da qualcosa di molto particolare, posto proprio davanti al lago: la statua del camoscio di Zlatorog, la cui leggenda affonda nella magia e nell'amore più sofferto. Tempo di arrivare a ridosso dell'edificio sacro, ed è ancora l'opera umana a catturare la mia attenzione. Una lapide incisa sulla pietra, con raffigurante una stella (rossa) e una dedica ai caduti della II Guerra Mondiale. Una tetra pagina di storia dove, a partire dal 1941, furono spietatamente protagonisti i fascisti italiani di Mussolini insieme ai nazisti di Hitler, costruendo nella nazione slava anche campi di concentramento di cui il più tristemente noto è quello dell'isola di Rab (Arbe in italiano), in Croazia.

Difficile se non impossibile slegare i fatti della II Guerra Mondiale dalla tragedia delle foibe, l'ennesima pagina nera bellica-post bellica che ha visto negli ultimi anni la Destra fascista italiana appropriarsi di quella memoria. Una situazione paradossale che può trovare proseliti solo nella propaganda più squallida e nell'ignoranza piu laida. È indubbio che migliaia di italiani pagarono un prezzo atroce per mano slava, ma oltre a guardare alle appurate responsabilità di Tito, bisognerebbe iniziare ad ammettere anche le nostre. L'Italia invase il proprio vicino, e operò in modo barbaro e spietato. Crimini su cui, inspiegabilmente, gli arroganti eredi delle camicie nere (e non solo) fanno finta di non sapere nulla o peggio, minimizzano, facendo così di noi un popolo di sole vittime. Un'autentica mistificazione della Storia.

Mi sono trovato a passeggiare per la Slovenia il 25 aprile, una data storica per l'Italia. Il giorno in cui celebriamo (quasi tutti) la fine della spietata dittatura nazifascista. Quello però su cui pecca il Bel paese, è il ricordare che anche noi abbiamo fatto parte di quella abominevole realtà e non basta la ribellione partigiana per riabilitarci e sotterrare i crimini di cui si macchiò l'Italia fascista, specialmente verso quelle nazioni che la subirono senza pietà né colpe, proprio come la ex Jugoslavia, per altro neutrale e dunque non "nemica" dell'Asse. Oggi invece è il 27 aprile e in Slovenia si commemora la Giornata dell'Insurrezione contro l'occupatore nazifascista.

Piangere le proprie vittime è un atto dovuto. Onorare i morti caduti per propria mano, è un dovere civico e una lezione che può cambiare il corso della Storia.

Lago di Bohinj (Slovenia) © Luca Ferrari

mercoledì 1 maggio 2013

Emilia Balbi, il ricordo dei 40 giorni Titini

Trieste, piazza dell'Unità © Luca Ferrari
La II Guerra Mondiale stava volgendo al termine. Il 1 maggio 1945 arrivò l'esercito jugoslavo a Trieste. L'allora diciassettenne Emilia Balbi racconta "I 40 giorni Titini".


“Sono entrati a Trieste da Opicina il 1 maggio 1945. Sono scesi in città e si sono fermati davanti alla mia casa, in via Udine 40, a fianco della caserma della Finanza e l’hanno occupata”. Inizia così il racconto di Emilia Balbi, classe ’27, nel suo viaggio indietro nel tempo. Nel primo giorno dell’occupazione delle forze slave, verso la fine della II Guerra Mondiale, in quel periodo storico che venne chiamato – I 40 giorni Titini –.

Trieste, come la Venezia Giulia, era sotto il comando nazista. Dopo una prima parte del conflitto favorevole all’asse italo-tedesco, ora l’azione era passata sempre più in mano agli Alleati. Josip Broz, detto Tito, capo dei partigiani comunisti iugoslavi, una volta liberata la propria terra dal nemico, marciava spedito verso zone di confine italo-slave. 

Superata una tenace resistenza delle SS tedesche, il 1 maggio 1945 la Seconda Armata comandata da Tito entrò a Trieste, anticipando di qualche giorno le truppe alleate neozelandesi. Ne scaturì un’inevitabile caccia al “fascista”, senza lesinare processi o esecuzioni sommarie anche a persone estranee a qualsiasi tipo di azione militare. Questo clima di guerra/vendetta continuò fino al 12 giugno 1944 quando l’esercito slavo si ritirò, lasciando il controllo dell’area all'amministrazione anglo-americana.

Alberto Ciancimino
Il giovane fidanzato di Emilia, Alberto Ciancimino, alle prese con il servizio obbligatorio di leva, lavorava negli uffici della Finanza, adiacenti la casa della famiglia della donna. 

“Non appena vide i Titini arrivare, temendo il peggio, scavalcò il muro di cinta interno e si nascose in casa mia, dentro una stretto cunicolo dove mio padre poco tempo prima aveva dato rifugio a un ebreo” racconta Emilia “I Titini intanto fecero subito uscire tutti dalla caserma, e li portarono fino a piazza Obardan. Alti furono portati in un bosco di Opicina. Da lì in poi non si è più saputo nulla di loro”.

Spesso in guerra gli eserciti si macchiano di crimini contro l’inerme popolazione. I Titini e Trieste non furono un’eccezione. 

“Il loro arrivo fu il momento peggiore per me. Durante la loro permanenza poi, fecero retate. Venne mandata gente al confino” continua la signora, “In più di un’occasione vidi civili malmenati di brutto. Una volta, vicino al piazzale della stazione, un uomo venne circondato e vidi pezzi di vestiti e carne schizzare dappertutto. Per protestare tutti noi ci mettemmo delle coccarde tricolori che i militari slavi ci strappavano appena vedevano. Così li riempimmo di spilli. Quando si pungevano, alzavano le mani contro chiunque. Io stessa mi presi due ceffoni. Ma c’è a chi andò molto peggio”.

La storia della giovane Emilia e del suo futuro sposo ha avuto un lieto fine. Forse il migliore che si potesse immaginare. Sopravvissuti entrambi alla guerra e convolati a felici nozze, la loro primogenita nacque proprio il 1 maggio, nel 1951. Sette anni esatti dopo l’ingresso dei Titini a Trieste. Come per regalare all’umanità la miglior eredità possibile: il trionfo della vita e l'amore sull'orrore della guerra.

una cartolina d'epoca di via Udine, a Trieste