In Piazza S. Marco a Venezia, è sbocciato un immenso bocciolo (bocolo) d'amore. Mille veneziani hanno incarnato il progetto artistico Una Rosa per Venezia.
Boccioli di rosa dipinti sulla pelle per onorare la più alta nobiltà di una leggenda. Un coro corporeo per scandire l'amore verso una città. Per la storica festività veneziana di San Marco del 25 aprile, la “Festa del bocolo”, oltre mille veneziani hanno formato un maestoso bocciolo umano in Piazza San Marco. A ideare e tradurre il tutto in magica realtà, il progetto artistico Venezia Rivelata.
“…Dentro le onde dei passi neo-protagonisti cromatici hanno abbandonato le cornici, e ora i grattacieli sono ancor più lontani/... i tanti gradini del mare sono il manuale in cui giace la custodia di quanto ci è appena accaduto… nacque così una strada che avrebbe iniziato il resto della mia vita...”
Venezia, Piazza S. Marco. Nella tarda mattinata di un caldo 25 aprile i face-painters sono già all'opera. Dipingono rose rosse su guance, teste e braccia. C'è chi è vestito di rosso e chi di verde. Sono in mille circa, pronti per occupare gran parte della piazza. 850 metri quadrati di petali rossi e 150 di gambo e foglie verdi. A dirigere le operazioni, i due deus ex-machina di Venezia Rivelata: la coreografa bodypainter Elena Tagliapietra e lo scrittore Alberto Toso Fei.
“La leggenda del bocolo è una storia senza tempo capace, nella sua apparente semplicità, di toccare le corde più profonde delle emozioni, recando in sé quei caratteri che la rendono universale e in grado di raggiungere chiunque” sottolinea lo scrittore veneziano Alberto Toso Fei, “Le storie d'amore d'altronde sono sempre attuali. Quelle che hanno anche un intreccio tragico poi, sembra siano irresistibili. Giulietta e Romeo docet”.
I partecipanti sono carichi di un'allegria contagiosa. Mostrano orgogliosi i propri bocoli. Più donne che uomini, ma tra questi ultimi c'è chi si fa notare. Un ragazzo si presenta con un voluminoso accappatoio purpureo. Altre ragazze-donne si mettono in posa, spensierate e gioiose come germogli appena fioriti. C'è spazio anche per i più piccini. Sono tutti lì, insieme alle loro mamme. Per raccontare al turismo cosmopolita la Venezia della tradizione.
Dopo il facepainting, tocca al flash reading. Il fondatore del "Festival del Mistero", Alberto Toso Fei si sposta in tre punti della piazza neo-floreale per altrettante letture della leggenda degli innamorati Maria Partecipazio e Tancredi. Racconta in italiano, inglese e dialetto veneziano. Per conquistare il proprio amore, il cantastorie Tancredi si reca in guerra così a dimostrare il proprio valore al rigido padre di lei. Morrà, ma riuscirà a mandare un ultimo dono alla sua bella: un bocciolo di rosa macchiato del suo sangue. Ricevuto, e deposto sopra il suo cuore, la fanciulla sarà rinvenuta morta il giorno successivo, il 25 aprile.
“Il web negli ultimi anni ha contribuito molto alla diffusione di tutto
(anche storie e vicende del tutto inventate)” spiega Alberto Toso Fei, “in
linea di massima però, non è da moltissimo che la leggenda del bocolo abbia
trovato una nuova diffusione anche nella stessa Venezia. Fino a pochi
anni fa infatti, migliaia di veneziani regalavano la rosa senza conoscere bene
l'origine – vera o presunta – di tale gesto. Oggi c'è più
consapevolezza”.
Una storia Luhrmanniana nel senso più romanticamente tragico, dove la morte non è la fine ma un incrocio fatale di destini e l'amore è memoria senza tempo. Due anime gioiose in meno nel mondo, due ispirazioni in più da onorare ogni giorno. Nella Serenissima cosmopolita, Venezia Rivelata racconta al mondo la storia di un sogno diventato eternità.
“Parto dalla tua voce, il nostro ricordo/... Oggi non scomoderò tutti quegli accordatori di talento che continuo ad additare come pietre miliari lontane/... mi dilungo in un messaggio il cui vento ha già coccolato milioni di conchiglie/... A dispetto del colore del proprio sangue, al momento di fondersi con i propri sentimenti , ecco irrompere il fato... Si alzi pure il sipario, il suo sguardo appartiene a voi tutti...”
Una Rosa per Venezia - Time Lapse Venice 25.04.2014
l'Associazione Nazionale Partigiani d'Italia a Milano il 25 aprile
Un nuovo 25 aprile per dire no alle correnti xenofobe che insozzano l’Europa. Il 25 aprile 2014 per agire nel Presente e Liberarci dall’odio e dal razzismo.
La Storia non basta più, e da un pezzo ormai. Non è mai stata sufficiente. Non è mai stata davvero maestra. Oggi avremmo (abbiamo) tutti gli strumenti per condurre l'umanità in una nuova era di pace e rispetto reciproco, e invece si vedono gli stessi tragici errori. La stessa perseveranza nello scavare muri spigolosi su cui uccidere e farsi ammazzare. Oggi, in questo nuovo 25 aprile, la parola Liberazione è sempre più lontana dal temp(i)o del Presente.
Ungheria. Francia. Italia e non solo. Nomi diversi, matrice comune. Xenofobia. Razzismo. Tentativi d'isolamento. Giorno dopo giorno l’Europa è sempre più terra di conquista di correnti fratricide decise a stuprare quanto dolorosamente conquistato. L'Europa guarda senza agire.L'Europa si lascia contaminare da quello stesso cancro che l'ha devastata.
Il 25 aprile 1945 vennero liberate le città di Milano e Torino dall'occupazione nazista, e via via poi tutta l'Italia. Oggi, 25 aprile 2014, è un nuovo giorno per ripensare e rievocare la Liberazione dal Nazi-Fascismo, eppure l’Europa è sempre più volgarmente impregnata di correnti, partiti e movimenti xenofobi senza che le istituzioni agiscano in modo deciso e concreto. Che futuro ci aspetta? Un futuro di odio e divisioni. Un futuro di Terza Guerra Mondiale?
Ogni giorno c’è una nuova Liberazione da conquistare. Liberazione dalla povertà, dittature e sfruttamento. La Memoria ci rende tutti felici paladini di ideali che nella vita presente sono messi all’ultimo gradino delle priorità. La Memoria è l’ultimo baluardo prima del collasso delle società, sempre più ostaggio di ignoranza collettiva e incapacità di comprendere la realtà contemporanea.
Oggi più che mai ho voglia e sento il dovere di cantare il canto partigiano Bella ciao. Parafrasando quelle parole di riscossa, mi sento però di suggerire questo: “Non voglio trovare invasori in nessuna mattina/ Non voglio scappare né morire/ Voglio che i fiori ornino le porte di ciascuno/ Voglio che ciascuno regali un bel fior all'altro”.
Viaggio in Calabria lungo l'antica “via dei mulini” di Corigliano Calabro, di cui oggi rimangono ancora tracce della passata attività molitoria della zona.
“In lontananza, una città sulle colline/ Estesa fino al punto del non ritorno/ Un volo di realtà su di una terra spazzata dal vento/ Mentre ero solo, i miei sensi hanno vacillato/ Un'attrazione fatale mi sta trattenendo con forza/... Non riesco a distogliere i miei occhi dai cieli che girano in tondo/ Muto per lo stupore e agitato/ Sono uno lunatico essere terreno, io”. Sono le parole “riadattate" di Learning to Fly (Pink Floyd), accompagnamento ideale per attraversare l'antica “via dei mulini” a Corigliano Calabro (Cs).
Storia e territorio. Riscoperta e valorizzazione. A nord come a sud d'Italia, la società civile non si piega alle regole del cemento e rilancia la (grande) bellezza della propria terra con escursioni ecologiche. Nell'entroterra cosentino, da anni ormai la Pro Loco Città di Corigliano Calabro, in collaborazione con la Cooperativa Sociale Sinergie e l'Associazione Onlus Coriglianesi nel Mondo, organizza la Passeggiata Ecologica nel Parco del Coriglianeto con annessa Festa della Pizza.
Corigliano paese, piazza del Popolo. Si comincia da qui. Il sole è caldo. Una brezza dalle generalità multietniche si bilancia tra brusii verbali e l'invisibile avanzare di nuvole mutanti. La stragrande maggioranza dei presenti è gente del posto, con le sue eccezioni. Inizia la camminata in direzione Sila, ed è subito una piacevole discesa dai tratti "danteschi". Passo dopo passo i caseggiati si fanno sempre più radi. La natura selvaggia e in parte coltivata dirige spazio, germogli e riflessioni.
Steccati di legno proteggono la strada sul lato opposto al sotto-monte. Giù da basso, una cascina prosegue la vita rurale tra prodotti agricoli e l'acqua del torrente Coriglianeto. Da ciottoloso-compatto il percorso si fa sentiero, inoltrandosi nel ventre di Madre Natura. Solo alberi, terra, acqua e piante. L'essere umano qui è un ospite. Nell'assidua presenza di fichi d'India, irrompe un delicato viola floreale.
Tra le specie arboree più presenti, il lime. Onnipresente in più varietà di cocktail, qui è solo un frutto dalla scorza verde scuro. A toglierci la buccia dà l'idea di spruzzarti diritto in faccia il liquido. L'immagine di una brezza che li fa dondolare nel silenzio della vallata coriglianese si traduce in un linguaggio ancestrale dai vocaboli comprensibili in modo differente.
Se nella prima parte della passeggiata, un paio di sandali chiusi sono più che sufficienti, con l'inoltrarsi nel verde, la pelle potrebbe risentirne. Vista anche la presenza di una minima salita, meglio calzare scarpe più resistenti (vanno bene anche semplici All star e snickers varie). Corigliano è sempre lì dietro, a guardarti le spalle. L'antica via dei mulini consente di mirarne panoramiche mozzafiato che faranno (di sicuro) la gioia della condivisione sui vari Instagram o Facebook che sia.
Misteriosa. Cruda. Intensa. Prosaica. L'antica “via dei mulini” di Corigliano Calabro potrebbe essere la scenografia naturale di un film di fantascienza con i presenti a mo' di sopravvissuti alla ricerca di una qualche medicina naturale per salvare l'umanità. Si potrebbe immaginare anche una serie più oscura alla I segreti di Twin Peaks (1990-91, di David Lynch) o al contrario, più leggiadramente inforcare pennello e telecamera ricreando una vita bucolica in stile Il profumo del mosto selvatico (1995, di Alfonso Arau). Non c'è limite a cosa una terra possa trasmettere.
Sull'antica “via dei mulini” di Corigliano Calabro siamo in rotta tra le recenti radici di un città. E quando da una struttura ormai diroccata e senza più traccia di presenza umana, appare inequivocabile il segno lasciato da un forno per il pane, è naturale lasciarsi coinvolgere. E commuovere. Rivedendo nella propria mente l'esistenza fornaia quaggiù, dove i raggi gialli paiono distendersi in modo più fertile.
Sopra un piccolo ponticello si cammina a ridosso di una cascata, anch'essa di piccole dimensioni. La sua acqua è fresca. Giusto quello che ci vuole per rigenerarsi. L'atmosfera, i colori, tutto fa venire voglia di fare un tuffo ma il suo letto ha poca profondità e ci si farebbe male. Si riprende il sentiero, alternandosi tra un assaggio di more e lamponi dei numerosi rovi tutt'intorno.
La luce si va diradando e ad attendere i passeggiatori c'è un gustoso rinfresco con prodotti locali, inclusa pizza in quantità cotta nel forno a legna. Molto soffice e di ampio spessore. Poco sotto, un nitrito di un magnifico esemplare equino ha qualcosa da aggiungere. È solo questione di tempo (poco), e l'infinito prato celeste vira in tonalità sempre più scuro-bluastre da cui emerge una quasi luna piena.
Parafrasando ancora la "pinkfloydiana" Learning to fly, “Esseri del mondo, mi resta solo un saluto... Sotto le nuvole vedo la mia ombra arrampicarsi con la coda del mio occhio bagnato di pianto/ Un sogno non più minacciato dalla luce del giorno potrebbe far volare via quest'anima ben oltre il tetto della notte/… Non c'è sensazione che si possa confrontare con questa/ Animazione sospesa, uno stato d'estasi”.
Una festa. Un business. Verona ospita. Giulietta benedice. Alla 48° edizione del Vinitaly tutti i partecipanti avranno qualcosa di unico da tramandare.
Contadini e business men. Mani sporche di terra, dita da smartphone. Vecchie tribù futuristiche si scambiano testimoni, assaggi e accordi commerciali. Le correnti, la pioggia, le nubi. Ogni elemento ha il proprio posto in ogni singola goccia di vino. Verona è sempre più bella quando si prepara per la più grande manifestazione vitivinicola, il Vinitaly. Che la storia allora venga scritta.
Di nuovo in treno. Settima presenza inframmezzata nel tempo. Parto da qui, perché anche il viaggio vuole la sua parte e se la gente normale traccia i propri bilanci/confronti con le feste, al sottoscritto capita di farlo quando ritorna a cadenza annuale a certi appuntamenti. E il Vinitaly ha sempre un posto speciale nella mia memoria. Niente musica quest'anno ad allietarmi l'attesa. Solo letture e qualche passaggio multimediale.
Il Veneto è preda di un sole caldo, più che mai estivo. Mi è capitato di avvertire una primavera inoltrata in altre edizioni, ma girare fino alla fine della mia permanenza scaligera in maniche corte e nulla di più, ancora no. Per lo meno fino a questo 2014. Il treno Regionale Veloce è puntuale, il problema adesso è la navetta. Nonostante l'ora tarda di arrivo (mezzogiorno passato), la bolgia è sempre lì. Il primo autobus è già strapieno e lo lascio andare. Il secondo ritarda. Qualcuno fa cassa comune e prende il taxi. Poi arriva, e stipato in fondo al mezzo pubblico, alla buon'ora riesco a partire e fare il mio ingresso negli immensi spazi di VeronaFiere.
Sto ancora cercando di sistemare la borsa del Vinitaly e subito lancio la mia sfida. Captare un odore. Seguire una traccia. Tra mille e più stimoli, i primi a cedere sono gli occhi. Attratti da quella doppia Toscana liquido-vinacea disegnata, cogliendo alla grande quel sentire la terra come un qualcosa di totale. Un'appartenenza pronta a confrontarsi, crescere e conoscere.
Provo a fermarmi. Cammino controcorrente. Contromano. Una donna si avvicina. Parla con il titolare dell'azienda. Si scambiano parole. Poi le porge il calice. Scende il vino. Il rosso-violaceo esce dai ranghi. Occupa l'intero spazio a disposizione. Le narici si lasciano invadere. Il palato si lascia dominare. Una punta frizzante. Un rintocco più deciso del solito. Un alfabeto sempre differente.
Mosto. Pasta. Olive assortite. Dolcetti preparati sul momento. La fantasia tinteggia anche le confezioni. Solo in un padiglione si potrebbe restare molto più di una giornata. Per avere scattato una foto mi sento dire – la prima fetta di salame al signore che mi ha fotografato –. Il rumore dei tappi stappati è una sinfonia, con i sommelier direttori d'orchestra.
Un'oliva gigante mi saluta. Vinitaly aperto al mondo con sempre più spazio. E se il reparto Sol era una prerogativa in particolare del Sud Italia, quest'anno sono arrivate anche Argentina, Grecia, Marocco, Malta, Croazia, Algeria e Repubblica Ceca.
Sto ancora vagando, come se mancasse qualcosa. Lo sento. Non è un vino. Non è un liquore. Non è una qualità di Extravergine né qualche specialità da qualche ridente campagna italiana. Sono le parole interiori. E lei, è lì per raccontarmi una storia. Giulietta. Lei, ambasciatrice di Verona. Statuaria. Si confida. Prendo appunti. Cosa ci siamo detti? Ve lo rivelerò alla 49° edizione. Arrivederci al 22-25 marzo 2015.