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Il ponte di Mostar © Ilse su Unsplash
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Il 9 novembre 1993, durante la guerra dei Balcani, le Forze Secessioniste Croate distrussero il
ponte di Mostar. Vent’anni dopo, il turismo di massa si affianca alla memoria di guerra.
di
Luca Ferrari
Ricordi di guerra e voglia di andare avanti. Testimonianze dello scontro fratricida dell’
ex -Jugoslavia tra i colori dei souvenir. A
Mostar, nello stato di
Bosnia Erzegovina, tutt’attorno il ricostruito ponte
Stari most, oggi
Patrimonio Mondiale dell’Umanità, il business commerciale ingolfa la memoria della storia bellica più recente.
Lasciata l’Italia da un pezzo e oltrepassata
Spalato (Croazia), procedo lentamente alla ricerca di una deviazione per evitare di arrivare fino a
Metkovic, puntando a varcare quanto prima il confine croato e così prendere la statale E73 che porta diritta a
Mostar, centro del cantone di Erzegovina-Neretvanska. Uscito dalla strada principale, dopo
Vrgora e
Prolgg sono alla dogana e finalmente entro in terra bosniaca.
Imboccata la strada per
Medjugorje e superata
Ljubuski,’immetto sulla statale all’altezza di
Carljina. In questo prima parte della
Federazione di Bosnia Erzegovina, una delle due entità politico-amministrative (a maggioranza croato-musulmana) in cui fu suddivisa l’ex-regione slava di Bosnia (l’altra è la
Repubblica Srpska) dopo gli accordi di Dayton (1995), è palese la maggiore influenza del Governo di Zagabria. Bandiere rosso-bianco-blu con lo stemma al centro a quadratini bianco-rossi, sventolano fiere su molte abitazioni.
Ancora qualche kilometro e raggiungo la meta del mio viaggio,
Mostar. In un attimo le immagini dei libri diventano reali. Per orientarmi seguo il corso del fiume
Narenta che attraversa la città. Un piccolo parcheggio a ridosso dell’indicazione Stari Grad XVI st. e mi trovo a ridosso del celeberrimo ponte, fatto saltare in aria dalle Forze Secessioniste Croate il
9 novembre 1993. Un ponte senza chissà quale valore artistico particolare, al contrario del chiaro messaggio umano: noi da una parte, voi dall'altra.
A ridosso del ponte, oggi ricostruito sotto l’egida dell’
UNESCO, un po’ a sorpresa scopro un piccolo quartiere molto affollato. Negozietti d’ogni sorta. Dai veli della
danza orientale alle magliette dell’idolo calcistico
Edin Dzeko, classe ’86 e originario di
Sarajevo, attaccante della nazionale bosniaca attualmente in forza al team inglese del Manchester City. Ristoranti arabeggianti con tanto di graziosi inviti a entrare. Bancarelle di braccialetti, collane e artigianato locale in ferro battuto.
Tra le varie t-shirt, c’è spazio anche per la Storia con la faccia in primo piano di
Josip Brof, meglio noto come
Tito, capo della
Repubblica Iugoslava dalla fine della II Guerra Mondiale alla sua morte (1980). Non manca l’ironia da indossare, con un eloquente frase impressa su tessuto:
I am muslim, don’t panic (trad. Sono musulmano, niente panico). Anche la cultura si ritaglia il suo posto a ridosso del ponte: c’è una mostra fotografica sulla guerra e negozi con documenti cartacei e video sui conflitti balcanici passati e recenti in più lingue: slavo, tedesco, italiano, etc.
In un televisore all’interno di una libreria vengono mostrati filmati della guerra dei Balcani, incluso l’abbattimento del ponte di Mostar. C’è silenzio. Come se si stesse entrando in un luogo sacro. Il forte ciarlare esterno si spegne di fronte a immagini di distruzione e morte. E lì davanti, un’opera artistica come monito. Una semplice pietra con una scritta nera in stampatello: DON’T FORGET ’93 (NON DIMENTICARE 1993).
Il tempo di allontanarmi un attimo e un trenino “Disneylandiano” con carrozze a ruote invade bruscamente i miei pensieri. Non mi piace. Quasi non lo accetto. Col passare dei minuti capisco che è stato un giudizio affrettato. In fin dei conti dopo una guerra si cerca la normalità di vita. Perché allora sorprendersi di un simile mezzo turistico? Avrei avuto gli stessi pensieri in una Parigi o Londra che sia? Eppure anche loro furono bombardate.
Cammino nervoso su e giù per lo Stari most. Un ponte la cui distruzione rappresentò ben più dell’abbattimento di un’opera architettonica (o strategica). La sua demolizione fu una sentenza di divisione tra etnie conterranee. Nell’indifferenza dell’Europa, la Bosnia sprofondò nell’orrore genocida. Sul ponte di Mostar passo da una sponda all’altra del Narenta. Oggi, qui, in questo angolo di Bosnia ed Erzegovina nessuno spara. Chissà domani cosa faremo...
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Mostar (Bosnia ed Erzegovina) e il fiume Narenta © Luca Ferrari |
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Bosnia ed Erzegovina, il ponte di Mostar © Luca Ferrari |
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Bosnia ed Erzegovina, il ponte di Mostar © Luca Ferrari |
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Bosnia ed Erzegovina, il ponte di Mostar © Luca Ferrari |