lunedì 23 dicembre 2013

Vancouver, il giardino Ming

Vancouver, il Dr. Sun Yat-Sen Classical Chinese Garden © Antonietta Salvatore
Viaggio nel primo giardino cinese Ming realizzato fuori dalla Cina. Il Dr. Sun Yat-Sen Classical Chinese Garden di Vancouver, in Canada.

di Luca Ferrari

L’ampia pagoda. Rigogliosi salici piangenti. Lo stagno con pesci rossi e tartarughe. Le ninfee. I fiori di loto. La Cina in tutto il suo splendore arboreo della tradizione Ming in pieno Canada, poco distante dagli ordinati grattacieli di Vancouver. È il Dr. Sun Yat-Sen Classical Chinese Garden, il primo giardino formale a essere stato mai costruito lontano dalla madrepatria.

Prima la tradizione dei nativi americani nordamericani con i totem dello Stanley Park, ora un nuovo viaggio culturale. Teatro aperto per l’opera umana, l’ospitale Vancouver, la principale città della provincia canadese della British Columbia. A dispetto di un Oceano (Pacifico) che li divide, Canada e Oriente si sono sempre guardati e scambiati. E oggi la comunità cinese rappresenta il maggiore gruppo etnico della metropoli.

Qui nel 1981, al 578 di Carrall Street nella Chinatown locale, l’associazione senza scopo di lucro The Dr. Sun Yat-Sen Garden Society diede vita alla costruzione di un giardino, completando così il parco adiacente, e intitolato a Sun Yat-Sen (1866-1925), politico rivoluzionario nonché padre della Cina moderna.

Il giardino Ming venne edificato nel biennio 85-86 grazie a una sinergia tra Governo Canadese e Cinese nonché donazioni di privati e associazioni. Fu inaugurato il  24 aprile 1986 in occasione dell’Expo - Esposizione Internazionale di Vancouver (2 maggio – 13 ottobre 1986) incentrato sul tema "Mondo in movimento – Mondo in contatto".

Realizzato per mantenere e accrescere la conoscenza culturale tra Cina e culture occidentali, il giardino venne progetatto dall’architetto Wang Zu-Xin in collaborazione con lo Studio di Architettura Paesaggistica di Suzhou (Cina). E proprio da questa città, celebre per pagode e giardini, arrivarono 52 maestri artigiani che lavorarono insieme ai colleghi d’oltreoceano.

Un perfetto lavoro di falegnameria portato a termine con eleganza senza uso di chiodi, colla e viti. Secondo lo stile della Dinastia Ming (1368-1644), il Giardino si presenta con una disposizione asimmetrica di rocce fossili calcaree (provenienti dal lago Tai, in Cina) e piante, traendo spunto dal ritmo di Madre Natura. Energia e contemplazione si scambiano di posto nei tre acri (circa o,12 ettari) di dimensione.

La Cina ha messo solide radici in Canada. Qui, a Vancouver i grattacieli sono alti e sono tanti ma non asfissianti. Tutt’altro. Molti di essi alla base sono arricchiti da piccoli giardini di chiaro stile orientale che conferiscono una volto più delicato alle imponenti costruzioni della metropoli.

Esco dall’elegante giardino e prima di fare tappa nell’ampio Chinese Cultural Center, trovo il busto dell’uomo cui è intitolato l’opera. Sun Yat-Sen. Uno sguardo fiero ma gentile. L’opera scultorea venne collocata il 12 novembre 1993 dall’Associazione sopracitata For Friendship with Foreign Countries (trad. Per amicizia con i governi stranieri).

Mi congedo dal Dr. Sun Yat-Sen Classical Chinese Garden di Vancouver. Il cielo azzurrastro è sporco di nuvole in capriola libera. Oggi ai tramonti non ho nulla da dire né capolinea da farmi commentare. A prescindere dei posti disponibili e Peter Pan nascosti, sono deciso a pianificare l’uscita di nuove miglia.


Vancouver, Dr. Sun Yat-Sen Classical Chinese Garden © Antonietta Salvatore
Vancouver, Dr. Sun Yat-Sen Classical Chinese Garden © Antonietta Salvatore
Vancouver, Dr. Sun Yat-Sen Classical Chinese Garden © Antonietta Salvatore
Vancouver, Dr. Sun Yat-Sen Classical Chinese Garden © Antonietta Salvatore
Vancouver, Dr. Sun Yat-Sen Classical Chinese Garden © Luca Ferrari
Vancouver, Dr. Sun Yat-Sen Classical Chinese Garden © Luca Ferrari
Vancouver, Dr. Sun Yat-Sen Classical Chinese Garden - pesce rosso © Antonietta Salvatore
Vancouver, Dr. Sun Yat-Sen Classical Chinese Garden - ninfee © Antonietta Salvatore
Vancouver, Dr. Sun Yat-Sen Classical Chinese Garden © Luca Ferrari
Vancouver, busto del Dr. Sun Yat-Sen fuori dall'omonimo Chinese Garden © Luca Ferrari

venerdì 20 dicembre 2013

L'Oriente del Royal Mongolian Ballet

Vento d'Oriente, Royal Mongolian Ballet
Viaggio di luci, colori e culture. L’Oriente di Thailandia, Giappone, Corea e Mongolia in un unico show. Narrato con le danze del Royal Mongolian Ballet.

di Luca Ferrari, ferrariluca@hotmail.it
giornalista/fotoreporter – web writer

Bagliori lunari penetrano in piccole offerte umane. Nel tumulto delle ombre avvicinatesi, le candele rigenerate dalle azioni non hanno mai smesso di sognare. Sgorgano nuove formule di poesia. Infiniti filamenti di movimento appaiono. Il Royal Mongolian Ballet danza l’Oriente.

I libri hanno cominciato. La televisione ce le ha mostrate. Internet ci ha avvicinato. Il mondo è un costante brulicare di culture. Non basta certo un viaggio per poterle conoscere. Meno che meno un incontro. Può essere però l’inizio di una scoperta. Per gli amanti d’Oriente, un’occasione da non perdere. Il Royal Mongolian Ballet sta per sbarcare in Italia.

Studiata e istintiva. Semplice e coreografata. Lei è la danza. In ogni suo passo. In ogni suo sguardo c’è un racconto da sentire e condividere. Domenica 22 dicembre (h. 21) al Teatro La Fenice di Senigallia (An) scende in pedana lo spettacolo danzante Vento d’Oriente del Royal Mongolian Ballet.

Dalle culture tribali mongole alle danze thailandesi e coreane con ventagli e pugnali. Un lungo e intenso viaggio nella storia millenaria dei popoli dell’Asia Orientale e del Sudest Asiatico, facendo tappa finale nell’isola nipponica con le sue inimitabili atmosfere immerse nella spiritualità delle cerimonie buddiste e shintoiste.

Leggende e miti antichi sono gl’indiscussi protagonisti di queste danze orientali. Tra i momenti più attesi dello show portato on stage dal Royal Mongolian Ballet. A cominciare dall’ipnotica e suadente danza del Bodhisattva dalle mille mani, quindi il Respiro del Lago, Le Dee del Dunkhuan e La Perla nera del Dragone d’oro.

Nella mitologia orientale il Dragone è un simbolo di saggezza e della forza del Grande Cielo. La leggenda narra che l’uomo più fortunato sarà quello capace che di conquistare la Perla Nera del Dragone , vedendosi dunque aprire tutte le porte, esaudirsi i desideri e così raggiungere la perfezione.

A dispetto dell’errato significato attribuito dalla cultura occidentale alle danze orientali, storpiate in “danza del ventre di seduzione”, l’origine delle suddette si richiamano al contrario a mere danze femminili tra donne. E proprio il Legong, proposto dal Royal Mongolian Ballet, è una danza celeste delle ninfe divine, rappresentante la quintessenza della femminilità e della grazia. Un tempo interpretata per allontanare spiriti maligni e fate cattive, oggi è arricchita da coreografie incentrate su bellezza e amore tra uomini e donne.


Vento d'Oriente, Royal Mongolian Ballet
Vento d'Oriente, Royal Mongolian Ballet
Vento d'Oriente, Royal Mongolian Ballet
Vento d'Oriente, Royal Mongolian Ballet
Vento d'Oriente, Royal Mongolian Ballet

giovedì 19 dicembre 2013

L’Autunno Veneziano al gusto d’Oca al melograno

(da sx) Maurizio Drago, i vincitori e l'Assessore Gianni con il piatto prescelto 
Preceduta dall’incoronazione del Piatto Autunno Veneziano, a Dolo si conclude la rassegna "I Funghi incontrano le tipicità alimentari e la cultura del territorio".

di Luca Ferrari, ferrariluca@hotmail.it
giornalista/fotoreporter – web writer

Venerdì 20 dicembre a Villa Ducale di Dolo (Ve) avrà luogo la serata di gala e di premiazione in conclusione di I Funghi incontrano le tipicità alimentari e la cultura del territorio, rassegna proposta dall’assessore alle Attività produttive e Agricoltura della Provincia di Venezia, Lucio Gianni.

Ocal al melograno, il piatto vincitore
Mercoledì scorso intanto, sempre nella medesima location, l'oca al melograno dell’agriturismo Lunardelli di Musile di Piave (Ve) è stato proclamato “Il piatto autunno veneziano sapori, colori, profumi e gusto della Provincia di Venezia”. Una prelibatezza questa che ha raccolto i punteggi più alti in sapore, colore, profumo e gusto.

A decretare il vincitore, una giuria altamente specializzata formata da giornalisti e tecnici del settore, a cominciare dal suo presidente, Maurizio Drago, giornalista di Sapori d’Italia, Di Tutto e Di Tutto cucina.

Insieme a lui:
  • Alessandro Ongarato, giornalista TG5
  • Fabrizio Stelluto, presidente Ass.ne Reg. Giornalisti Agroalimentari e Ambientali
  • Romina Savi, enogastronoma Agenzia Blanc de Noirs (Milano)
  • Antonio Trentin, giornalista il Giornale di Vicenza
  • Nadia Donato, collaboratrice del portale on line intavola tour
  • Emanuele Cenghiaro, giornalista della rubrica il Quadrifoglio di Bluradio Veneto
  • Mirka Cameran, enogastronomia
  • Marina Meneguzzi, agenzia Gaiares Informazioni di Padova
  • Enrico Bellinelli, collaboratore Corriere del Veneto
  • Orfeo Meneghetti, collaboratore del portale Vino e Cibo
  • Mauro Bilei, funzionario settore Attività produttive della Provincia di Venezia
  • Albino Marchiori, funzionario settore Agricoltura della Provincia di Venezia.

“Stiamo concludendo una manifestazione che ha raggiunto livelli d’importanza e attenzione che non mi sarei aspettato sei mesi fa quando abbiamo iniziato a progettarla” ha sottolineato l’assessore Lucio Gianni.

“Sono state dodici serate che hanno prodotto una grandissima attenzione ai prodotti del nostro territorio” ha poi concluso Gianni, “Protagonista indiscusso, la Provincia di Venezia con le sue eccellenze e la sua gastronomia, quest’ultima fiore all’occhiello su cui gli operatori turistici e le amministrazioni possono costruire il primo biglietto da visita qualificante per formulare nuove proposte di richiamo turistico”.

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lunedì 16 dicembre 2013

Chester, il Dee d’Inghilterra

Chester (UK), voga all'inglese sul fiume Dee © Luca Ferrari
Viaggio a Chester, capoluogo della contea del Cheshire (Inghilterra). Passeggiando lungo il fiume Dee tra soffice verde, arte di strada e placide vogate.

di Luca Ferrari

I remi s’inzuppano nelle acque fluviali al ritmo della tradizione. Battelli, kayak e pedalò rendono l’uomo sempre più vicino al mondo marino. Anatre e cigni fanno la gioia dei bambini. Dal Galles all’Inghilterra scorre il fiume Dee. E lì, in terraferma, sotto le antiche mura di Chester, un placido passeggiare tra quotidianità e artisti di strada.  

Sbarcato nella contea del Cheshire a ridosso del confine gallese, dopo una visita nella Cattedrale della Vergine Maria Purificata di Chester, niente di meglio di una rilassante e fresca camminata lungo le sponde fluviali sotto le ampie coperte verdi che poggiano sui tanti alberi.

Il fiume Dee (in gaelico Afon Dyfrdwy) nasce nel Galles dal monte Dduallt (662 m s.l.m.), nella regione settentrionale del Snowdonia nel Merionethshire. Ha una lunghezza di 70 miglia (110 chilometri circa). Attraversa il lago Bala (Gwynedd, Galles) e sfocia nel Mare d’Irlanda, nell’estuario compreso tra il Galles e la penisola inglese di Wirral.

La corrente di un fiume. Cigni (tutti di proprietà della Regina) e anatre. Giovani generazioni spensierate. I riflessi del sole nelle acque. Come potrebbe tutto questo non esaltare e ispirare l’arte? Fin dai miei primi passi lungo il fiume Dee, dipinti d’arte classica e moderna attendono i futuri passanti. Poco più avanti, un solitario cantautore armato di chitarra e minuscolo amplificatore, intona leggere serenate popolari.  

Piccoli chioschi di gelati e succulenti cheeseburger al ritmo dei Rolling Stones scandiscono gran parte del lungo Dee, rigorosamente pedonale. Sul fiume intanto c’è chi si dà al kayak e chi alla più tipica voga all’inglese. Per chi non avesse voglia di faticare, battelli dai nomi caratteristici (Lady Diana e Mark Twain) portano a zonzo i turisti. Viaggi per due ore facendo “vela” anche verso il ponte di ferro e la casa del Duca e la Duchessa di Westminster, il tutto per quattordici sterline (sei, i bambini).

Ci sono anche i più ecologici pedalò mentre sulla strada a ridosso del fiume, sotto le antiche mura, gl’immancabili pulmini giracittà. Il City Sightseeing è già carico di turisti e pronto per condurre alla scoperta di Chester & Cheshire. Sempre lì vicino, a ridosso del Grosvernor Park, ecco spuntare la cella dell’anacoreta in pietra arenaria. Risalente alla metà del XIV secolo, il piccolo edificio fu realizzato come luogo di ritiro religioso per monaci o eremiti.

Dopo una suggestiva cavalcata a due gambe, attraverso il Dee sopra il celebre Queens Park Bridge, ponte inaugurato il 18 aprile 1923 alla presenza del sindaco di Chester e della cittadinanza. Ed è lì che i miei sforzi passeggeri trovano il loro apice. Come pervaso da un'antica sensazione, davanti a queste acque qualcuno o chiunque, proprio in questo giorno, potrebbe aver mosso i primi passi d’inchiostro bagnato. Riprendo il cammino.

La luce si fa tenue. Adesso me ne posso andare. Ho appena riconosciuto qualcuno in grado di parlare e sognare/... Il contatto con la faccia delle nuvole mi ha fatto immaginare di volerti parlare/... la somma del fondo ha fermato la tardività del fato/...vivere per sempre non sarà poi così nuovo per me 

Chester (UK), il fiume Dee © Luca Ferrari
Chester (UK), il fiume Dee © Luca Ferrari
Chester (UK), il Queens Park Bridge sopra il fiume Dee © Luca Ferrari
Chester (UK), la cella dell'anacoreta © Luca Ferrari
Chester (UK), la Boat House sul fiume Dee © Luca Ferrari
Chester (UK), musicista lungo il fiume Dee © Luca Ferrari
Chester (UK), la quiete pedonale lungo il fiume Dee © Luca Ferrari
Chester (UK), i cigni di Sua Maestà nel fiume Dee © Luca Ferrari
Chester (UK), il fiume Dee © Luca Ferrari
Chester (UK), il battello Lady Diana salpa sul fiume Dee © Luca Ferrari
Chester (UK), il Queens Park Bridge sopra il fiume Dee © Luca Ferrari
Chester (UK), il fiume Dee © Luca Ferrari
Chester (UK), il fiume Dee © Luca Ferrari

giovedì 12 dicembre 2013

Veneto, in viaggio verso i Parchi Naturali

Lago del Mis (Bl), Parco Nazionale Dolomiti Bellunesi
Dalle Dolomiti agli ambienti collinari fino alle zone pianeggianti e lagunari. Oggi le autostrade venete promuovono l’ampio panorama naturalistico protetto della Regione.

di Luca Ferrari, ferrariluca@hotmail.it
giornalista/fotoreporter – web writer

Dolomiti, upupa © N. Martino
Fossili di decine di milioni di anni fa. Cime di oltre 3000 metri. Specie botaniche e di fauna. Dall’inestimabile tesoro naturalistico d’Italia la regione del Veneto può a ragione dire la sua, proponendo una varietà paesaggistica non comune a tutte le colleghe della penisola. E in questo micro-universo hanno trovato spazio ampie aree protette.

“I Parchi naturali del Veneto sono un valore per il territorio regionale e le comunità locali. Dobbiamo farli conoscere e valorizzarli” ha sottolineato Franco Manzato, Assessore all’Agricoltura della Regione Veneto “Non possono e non devono rimanere un’ottima meta solo per gli appassionati, ma diventare patrimonio di tutti”.

In Veneto si trovano cinque Parchi Regionali e un Parco Nazionale.

Sul sentiero della promozione, ecco l’idea. Lungo le tre autostrade che attraversano il Veneto (l’A4, l’A13 e l’A27) sono stati installati cartelloni (4x2 m) con immagini delle principali aree verdi. E lì resteranno per almeno due anni.


Nelle zone dolomitiche tutt’attorno Cortina d’Ampezzo si spazia tra la meraviglia di celebri colossi montuosi quali il Gruppo del Cristallo, dove l’omonimo monte raggiunge i 3221 m s.l.m. Sempre oltre i tremila metri il massiccio delle Tofane. Protagonisti animali delle suddette zone, alcuni dei simboli delle Dolomiti quali caprioli e camosci.

Molto particolare anche l’area euganea, caratterizzata da un paesaggio collinare di natura vulcanica, per lasciare occhi e anima sull’ampio delta del fiume Po dove nidificano oltre 400 specie di uccelli e si possono osservare oltre 1.000 specie di piante.

“Chi visita i parchi, entra in ambienti unici” ha concluso Manzato, “sintesi di natura e in alcuni casi millenaria presenza dell’uomo, dove si possono vedere fianco a fianco natura, storia antica e storia moderna, nonché  godere di straordinaria ospitalità e gustosa enogastronomia”.

Ninfee all'Oasi di Cervara - Parco del Fiume Sile (Tv)
Parchi Regionali e Nazionale in Veneto

sabato 7 dicembre 2013

A lezione dal Settecento Veneziano

 Il Settecento veneziano. La pittura (2012)
Decadenza politica e supremazia artistica. È il Settecento Veneziano con la sua straordinaria e multiforme stagione pittorica tra Canaletto, Tiepolo e altri grandi artisti. 

di Luca Ferrari, ferrariluca@hotmail.it
giornalista/fotoreporter – web writer

Venerdì 13 dicembre (h. 20) presso l'hotel Novotel di Mestre (Ve) si terrà la quinta lezione della Scuola di Formazione Politica sul libro Il Settecento veneziano. La pittura (di Francesco Pedrocco - 2012, Corbo e Fiore Editori).

Un evento questi organizzato dall'associazione culturale Il Circolo Veneto e che vedrà timonieri del viaggio artistico il dott. Marco Ladiana, coordinatore culturale del Circolo e la prof.ssa Michela Urban, architetto e docente di Disegno all’Università degli Studi di Trieste.

La stagione felice della pittura veneziana del Settecento si sviluppò in un contesto di crisi politica senza precedenti per la Repubblica Veneziana. Con la fine della committenza pubblica e le casse dello Stato ormai svuotate, i grandi ordini religiosi e i cosiddetti “nuovi nobili" ne presero il posto.

Il libro analizza la pittura di paesaggio, il vedutismo (anche nei cosiddetti minori, se così può definirsi tale un pittore come Michele Marieschi) con la punta estrema di Canaletto e poi di Bellotto, fino alla pittura di costume di Longhi, a quella satirica di Giandomenico Tiepolo e l’ultimo visionario del secolo, Francesco Guardi.

Il canal Grande verso Rialto (1723 circa, di Canaletto)

martedì 3 dicembre 2013

Civitella Alfedena, a spasso con Bambi

Civitella Alfedena (AQ), cervi a zonzo © Pietro Santucci
Nell’atmosfera fiabesca dell’Abruzzo montano, a Civitella Alfedena (1123 m s.l.m.) passeggiando per le viuzze del centro, si può perfino incontrare Bambi.

di Anna Maria Colonna, annamaria9683@libero.it
giornalista fondatrice del web magazine Terre Nomadi

il fiume Jannanghera
© Comune Civitella Alfedena
Civitella Alfedena (Aq) si specchia nella goccia d’acqua di Barrea. I fiocchi cadono sul lago ghiacciato mostrando in silenzio il volto invernale dell’Abruzzo.

Il cielo è bianco. Bianco il paesaggio. Sembra che qualcuno abbia steso una coperta di lana su alberi, vette e borghi abbracciati ai pendii. Il tappeto colorato dell’autunno è un ricordo sfumato da qualche foglia in bilico.

Dai comignoli delle case il fumo fa capriole nell’aria, lasciando il segno sul profumo bruciacchiato dei cappotti e dei cappelli. Nei camini, qualche castagna scoppietta ancora, accompagnata dal sapore degli arrosticini e dei formaggi arrostiti.

Il Montepulciano arrossisce al brindisi di un gruppo di amici. Il Trebbiano impallidisce per il freddo. La trattoria è già addobbata per il Natale e le luminarie strizzano l’occhio ad una coppietta, che si tiene la mano in attesa del piatto appena ordinato.

Trecento abitanti nel cuore del Parco nazionale di Abruzzo, Lazio e Molise. Civitella Alfedena rientra nella Comunità Montana dell’Alto Sangro e dell’altopiano delle Cinque Miglia, insieme a Pescocostanzo, Rivisondoli, Roccaraso, Pescasseroli, le maggiori località sciistiche del centro Italia. Paesi dal fascino senza tempo.

I pensieri restano sospesi sulle case asserragliate attorno al cuore di questo piccolo borgo appenninico. Nel Medioevo difesa contro i nemici, oggi abbraccio di pietra e di cemento contro il gelo della stagione che transita.

il magico Abruzzo © Comune di Civitella Alfedena
L’atmosfera richiama quella di una fiaba. Il centro storico si stringe alla torre cilindrica quattrocentesca ancora abitata, in piazza Pagliara, balcone di stalle e di vecchi fienili. Saliamo verso la fonte, nella parte più alta del paesotto.

Un parcheggio ha preso il posto della «calcara», luogo in cui si lavorava la calce cuocendo le pietre locali in grosse buche scavate nel terreno. Dalla Saettera, costruzione cinquecentesca che serviva a difendersi dai briganti con le saette, si può vedere tutta la valle. Immensità.

Diversi sentieri conducono nelle arterie dei monti. Dal centro storico si arriva alla Val di Rose, rifugio dei camosci, tra fitte faggete e abbondanti cespugli di rosa canina. Sempre partendo dalla parte vecchia, si può raggiungere Valle Jannanghera, nome dialettale con cui veniva chiamata la strega. Regno incantato e magico, è scavato da rivoli d’acqua e cascatelle.

In lontananza i monti della Camosciara fanno da sfondo insieme alla schiena incurvata di colle Pizzuto.

Un anziano del posto ci porta alla taverna. Racconta che in questa piazzetta c’era una vecchia locanda dove si giocava a carte, riscaldandosi con il vino. La vicina e attuale via Roma aveva il nome di «mandrelle». Qui venivano radunate le capre che ogni famiglia possedeva per mandarle tutte insieme al pascolo.

Il latte prodotto al momento della mungitura si versava in contenitori uguali. A turno ogni famiglia poteva avere del formaggio che, altrimenti, non avrebbe mai ottenuto con il solo latte della propria capra.

Civitella Alfedena (AQ), cervi © Pietro Santucci
Mentre ascoltiamo le parole dell’uomo, un gruppo di bambini suggerisce di affacciarci sulla stradina parallela per assistere alla magia. Un cervo con il suo cucciolo passeggia tranquillo e indisturbato tra le viuzze del borgo antico. Qualche abitante non ci fa caso. Noi restiamo a bocca aperta.

Sembra davvero una fiaba ma per l’Abruzzo è quotidianità. «Saranno venuti giù dal Monte Sterpidalto (1966 m, ndr), dove è facile vedere branchi di cervi al pascolo», aggiunge un passante, notando la nostra sfacciata curiosità.

Prendo appunti per il prossimo viaggio. L’Abruzzo si svela, restando un affascinante mistero.

I colori di Civitella Alfedena (AQ) © Comune di Civitella Alfedena