martedì 28 aprile 2015

Venezia, il percorso della Memoria

Venezia, campiello Bruno Crovato – l’antifascista  Carlo Bullado © Luca Ferrari
È il 25 aprile 2015, il 70° anniversario della Liberazione dal nazifascismo. Viaggio lungo il percorso della Memoria, a Venezia, in ricordo dell’eccidio di Cannaregio.

di Luca Ferrari

Le Brigate Nere si organizzarono presto. Uno dei loro era stato assassinato e bisognava fargliela pagare. A tutti, senza distinzione. Comunisti, cattolici, liberali o agnostici. La rappresaglia scattò secondo il modello 1-10: per ogni morto nazifascista, 10 uccisi tra le file del nemico. Oggi, nel 2015, a settant'anni dalla Liberazione del 25 aprile 1945, Venezia ricorda l'eccidio di Cannaregio con il percorso della Memoria. Un evento organizzato da IVESER - Istituto veneziano per la storia della Resistenza e della società contemporanea, in collaborazione con ANPI - Associazione Nazionale Partigiani d'Italia, Comune di Venezia, ANPPIA, FIAPP e Comunitá Ebraica.

Venezia, 25 aprile 2015. Non sono neanche le 10 del mattino quando una folla sempre più numerosa si sta radunando in campiello Bruno Crovato, dedicato a uno dei caduti del suddetto massacro. Fu il primo, nel cuore della notte, ad andare ad aprire alla porta ai suoi assassini. Ciò che si trovò davanti infatti non fu un pellegrino o un amico, ma una pistola (nera) che lo colpì a morte senza nessuna pietà. Al centro del campo ci sono l'antifascista Carlo Bullado e Bruno Gamacchio (Partigiano Bianco), con l'ANPI - Associazione Nazionale Partigiani d'Italia.

Il 25 aprile a Venezia è sempre un giorno speciale. Non solo si celebra la festa della Liberazione dal nazifascismo ma è anche il giorno del patrono San Marco, durante il quale i maschietti regalano alla propria amata un bocciolo (bocolo) di rosa. Ma in questo giorno di memoria e amore, c'è stato spazio anche per l'ignoranza. Sfruttando la storia di una città aperta, orde senza il benché minimo straccio di ideologia hanno sventolato la bandiera del leone di San Marco commentando con volgarità e becera inciviltà il passaggio dei partigiani e i festeggiamenti della Liberazione.

Passano gli anni eppure sono tanti gl'italiani che ancora rimpiangono il duce Benito Mussolini. Ne vanno fieri. Lo ostentano con penosa tracotanza. Un insulto all'Italia, alla Costituzione e ai più basilari diritti dell'Uomo. Tralasciando questa degenerazione di sostenitori di morte, si comincia con la prima posa di fiori sopra la lapide di Bruno Crovato, preceduta da l'inno di Mameli e la partigiana Bella ciao, suonate e cantate dal coro 25 Aprile insieme ai presenti. 

Adolescenti e anziani. Genitori e bambini piccoli. Ci sono tutti a vivere il percorso della Memoria. Abbandonato il primo campiello, si prosegue verso per la seconda commemorazione, presso il ponte dei Sartori, davanti alla lapide in memoria di Luigi Borgato. È poi la volta di Giuseppe Tramontin (si prese anche lui una pallottola alla testa ma si salvò) in calle Priuli, quindi in Fondamenta S. Felice per Ubaldo Belli, in calle Colombina per Piero Favretti, in campiello del Magazin per Augusto Picutti e in corte Correr per il Capitano Manfredi Azzarita, originario di Cannaregio e ma perito nell'eccidio delle Fosse Ardeatine.

Dopo aver percorso per calli e lungo tutta la Strada Nuova, il corteo si dirige verso il ghetto ebraico, nel cui campo del Ghetto Novo ogni anno si celebra la Festa della Liberazione. Prima di entrarvi però, c'è un'ultima lapide verso cui rivolgere i propri pensieri. Quella di Adolfo Ottolenghi, rabbino capo di Venezia, prelevato dai nazifascisti ormai malato e anziano, e mandato a morire nel campo di sterminio di Auschwitz.

Le guerre non si sono fermate con la fine della II Guerra Mondiale. Sono continuate in modi ancor più subdoli. Almeno un giorno l'anno qualcuno (più di) ripensa a quel giorno. Un momento storico in cui la tirannia nazista finì nel fango, strozzata dal suo stesso sangue che tanto aveva orrendamente versato in tutta Europa. Una parte d'Italia si ribellò a quel giogo. Loro, i partigiani. Orgoglio di una nazione ancor oggi laconicamente divisa.

Non è un giorno come gli altri il 25 aprile, a Venezia, come in tutto il resto della penisola. Se ne facciano una ragione quei politici (tanti) e quelle persone che vorrebbero riscrivere la Storia. Non accadrà. L'Italia si è sollevata al nazifascismo e ha reagito. Cessa il vento, calma è la bufera/ Torna a casail fiero partigian/; sventolando la rossa sua bandiera; vittoriosa, al fin liberi siam! Qui, da Venezia, buon 25 aprile e buona festa della Liberazione a tutti.

W la Libertà. W la Resistenza. W l'Italia libera e unita.

Modena City Ramblers - Fischia il vento

Venezia, campiello B. Crovato – i fiori sulla lapide di Bruno Crovato © Luca Ferrari
Venezia, campiello B. Crovato – ANPI presente © Luca Ferrari
Venezia, campiello B. Crovato – si ascolta l’inno di Mameli e Bella ciao © Luca Ferrari
Venezia, il corteo si muove lungo il percorso della Memoria © Luca Ferrari
Venezia, lapide in memoria di Luigi Borgato © Luca Ferrari
Venezia, lapide in memoria di Giuseppe Tramontin © Luca Ferrari
Venezia, il corteo lungo il Percorso della Memoria © Luca Ferrari
Venezia, lapide in memoria di Piero Favretti © Luca Ferrari
Venezia, lapide in memoria del Capitano Manfredi Azzarita © Luca Ferrari
Venezia, lapide in memoria del rabbino Adolfo Ottolenghi © Luca Ferrari
Venezia, campo del Ghetto Novo © Luca Ferrari

domenica 26 aprile 2015

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mercoledì 22 aprile 2015

M'illumino di Firenze

Firenze © Luca Ferrari
Viaggio nel capoluogo toscano, Firenze. Dalla chiesa di S. Maria Novella, passando per Ponte Vecchio fino a raggiungere il col di Fiesole.

di Luca Ferrari

Un viaggio più lungo del previsto. Come di attesa. Lì, c’è qualcosa che ti aspetta. Sotto la cattedrale brunelleschiana. Il caldo si fa sentire. Uno strano appetito di contrade si fa breccia nei miei pensieri. Le mie tasche sono più leggere. Ma c’è posto anche per il mare. Anche se sarà un po’ lontano. Google Map non mi serve per raggiungere il mercato di San Lorenzo, ma non ci arriverò dalla strada più ovvia. Dovrò lasciare a casa un paio di stufe e prendere confidenza con una nuova vita. E cominciare dal di dentro del ventre stesso di Firenze.

Se sarò abbastanza fortunato o saggio, oggi è uno di quei giorni che tra dieci anni potrò guardare con smisurato orgoglio. Le bancarelle si aprono lentamente. Il sole non dà tregua. Qualche petalo di fiore è sfuggito ai ligi spazzini. C’è una sedia vuota. Sarà la mia bibbia di riferimento mentre m’innalzo a cercare di catturare quelle nuvole ostaggi del cielo che si nascondo dietro i sontuosi edifici che popolano il capoluogo toscano.

Senza tante remore e fermate intermedie (e ce ne sarebbero da fare) volo diritto verso Ponte Vecchio, concedendomi appena qualche respiro tirato lungo il loggiato della Galleria degli Uffizi. Lui, l’unico ponte che non venne fatto saltare in aria dai Nazisti durante la Seconda Guerra Mondiale. E subito su. A scrutare la Torre dei Mannelli, senza farsi tentare dalle botteghe degli Orafi, ma soprattutto lui. Il fiume. L'Arno. Vi scorre sotto. Custode silenzioso.

Cambio di prospettiva immediato. Arrivo fino là, a Piazzale Michelangelo. Sede della movida turistica estiva. Più panoramica che non effettiva. Per il resto, ci sono locali lungo l’Arno e nel cuore della città. Arrivano i pullman. Ancora e ancora. Di spazio ce n’è. Il Duomo di Santa Maria del Fiore, il Campanile di Giotto e Palazzo Vecchio si vedono chiaramente. Fiori all’occhiello di una città simbolo indiscusso del Rinascimento. Tablet, iPad e iPhone sono il presente. Catturano scorci luminosi a ripetizione. Primi piani. Panoramiche che in un attimo sono già su Facebook o spedite ad amici/familiari lontani.

Sarò nostalgico ma io avrei voglia di scrivere una lettera a mano. Avvalendomi di tutti quei particolari che ho assaporato per la prima volta attraversando via dei Ginori, Borgo San Lorenzo quindi arrivando fronte Battistero di San Giovanni. Ho fatto tutto questo senza collocare anticamere sui miei occhi, e così alla fine mi sono accorto di avere ancora spazio per un’ultima fotografia. Senza dover cancellare nulla dai frettolosi calchi della mia immaginazione.

Mi resta ancora una cosa da fare prima di dire addio al mio primo e ultimo giorno. Salire lassù. Sul colle di Fiesole. E magari godermi insieme a qualche pagina di un buon libro la Città nella conca. E così è. Un autobus pubblico preso poco distante dallo stadio di calcio Artemio Franchi mi fa smontare come capolinea proprio nella piazza centrale. Il tempo di arrivare lì, sulla terrazza naturale con una strada leggermente in salita, e accuso una sensazione di preludio frastornato. Da lassù si vede il verde. L’arte che colpisce è quella di Madre Natura.

Dopo una fermata fatta di corsa a perdifiato in discesa, proseguo il tragitto ancora in bus fino a ritrovarmi in zona centro. Quando sto per riprendere la via verso la stazione, un giovane su di una sgangherata bicicletta mi taglia quasi la strada. Non ha l’aria di chi sappia di preciso dove stia andando, anzi. Appare un po’ disorientato. Forse è uno di quegli studenti venuto a mettere radici qui, nella ‘ulla del Rinascimento. Io glielo auguro. Firenze non è una città per tutti. E non tutti siamo destinati a vivere a Firenze. 

Firenze, la chiesa di S. Maria Novella © Luca Ferrari
Firenze, Duomo - Cattedrale di Santa Maria del Fiore © Luca Ferrari
Firenze, dal Duomo con vista sul Campanile di Giotto © Luca Ferrari
Firenze, dal Duomo con vista sulla Basilica di Santa Croce © Luca Ferrari
Firenze, Palazzo Vecchio © Luca Ferrari
Firenze, verso Ponte Vecchio © Luca Ferrari
Firenze, Ponte Vecchio sull'Arno © Luca Ferrari
Fiesole legge Firenze © Luca Ferrari
Firenze vista da Fiesole © Luca Ferrari